Cons. Stato Sez. IV, Sent., 15-12-2011, n. 6605 Procedimento e provvedimento disciplinari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado era stato chiesto dall’odierno appellante G. B. l’annullamento della determinazione del Comando Generale della Guardia di Finanza del 24 novembre 2004 con la quale era stato disposto nei suoi confronti il provvedimento disciplinare della perdita del grado per rimozione.

Questi aveva prospettato cinque motivi di censura incentrati sui vizi di eccesso di potere e violazione di legge.

Il Tribunale amministrativo regionale ha analiticamente e partitamente esaminato le doglianze proposte e le ha respinte.

Avverso la sentenza in epigrafe l’ originario ricorrente ha proposto un articolato appello evidenziando che la motivazione della impugnata decisione era apodittica e non teneva conto della labilità ed inconsistenza del supporto accusatorio a proprio carico.

Peraltro le accuse rivoltegli da un militare (F. S. D. M.) non erano mai state riscontrate, e questi era stato processato (ed assolto per prescrizione) per il delitto di calunnia ai suoi danni.

Il mero rinvenimento in un cassetto della propria scrivania di documentazione relativa al concorso per allievi finanzieri e sottufficiali della Guardia di Finanza non provava alcunché a suo carico (egli aveva accidentalmente rinvenuto la detta documentazione, e stava per accingersi a consegnarla).

Egli in sede procedimentale aveva peraltro fatto presente alla Commissione di disciplina che era stato in passato sanzionato per gli stessi fatti (in data 15 novembre 2001 gli era stata inflitta una sanzione "di corpo" concretatasi in due giorni di "consegna di rigore") e, con il secondo motivo di appello ha denunciato la violazione del principio del "ne bis in idem" in ambito disciplinare.

Con memoria ritualmente depositata l’appellante ha puntualizzato e ribadito le proprie doglianze.

L’appellata amministrazione ha depositato una articolata memoria chiedendo di respingere il ricorso perché infondato. Ha evidenziato che il supposto "bis in idem" disciplinare segnalato nell’appello in realtà non sussisteva (la precedente sanzione gli era stata applicata in relazione ad altro processo penale, per gli artt. 110 e 479 cp, conclusosi con l’archiviazione) ed in ogni caso costituiva motivo nuovo, inammissibile in appello.

All’adunanza camerale del 19 ottobre 2007 fissata per la trattazione dell’incidente cautelare la Sezione con ordinanza n. 5458/2007 ha respinto l’istanza di sospensione della esecutività dell’appellata decisione "ritenuto, prima facie, anche alla luce degli specifici precedenti della Sezione (v. decc. nn. 4392 e 4393 del 2007), che il contestato giudizio di incompatibilità con lo status di militare appare immune dai vizi dedotti".

Alla pubblica udienza del 6 dicembre 2011 la causa è stata posta in decisione dal Collegio.

Motivi della decisione

1.L’appello è infondato e merita di essere respinto.

1.1. Al fine di perimetrare il materiale cognitivo esaminabile e le doglianze devolute all’esame del Collegio, la prima questione da risolvere concerne la proponibilità (e la eventuale fondatezza) nell’odierno giudizio del secondo motivo di appello, con il quale si censura la violazione del principio del ne bis in idem disciplinare.

1.1.1. La detta censura è inammissibile, in quanto proposta per la prima volta in appello: in applicazione al giudizio amministrativo dell’art. 345 comma 2, c.p.c. (nonché, oggi, dell’art. 104, d.lg. n. 104 del 2010), infatti, in appello non possono essere prospettate eccezioni non proposte in primo grado.

1.2. In ogni caso, peraltro, l’appellante neppure ha documentato compiutamente che la sanzione "di corpo" concretatasi in due giorni di "consegna di rigore" applicatagli nel 2001 facesse riferimento alla stessa fattispecie che ha dato causa alla sanzione disciplinare in ordine alla quale si controverte nell’odierno giudizio.

Per completezza si osserva in proposito che tale supposta identità pare smentita per tabulas, in quanto la sanzione disciplinare del 2001 trovava causa in un procedimento penale (poi archiviato) per il delitto di cui all’art. 479 del codice penale, mentre quella odierna riguarda fatti che, in sede penale erano stati rubricati sub artt. 326 comma 3, 112, 56, 640 del codice penale.

2.Ciò premesso, in punto di fatto è incontestato che l’appellante era stato tratto a giudizio (procedimento penale n.16681/99) in ordine ai reati di cui agli artt. 112 e 326 3 comma, 112, 56 e 640 c.p. e che il relativo procedimento penale si era concluso con sentenza del Tribunale di Roma ex art.129 c.p.p. di non doversi procedere in ordine ai reati ascritti perché gli stessi erano estinti per maturata prescrizione.

L’ipotesi d’accusa riguardava le condotte asseritamente poste in essere dall’appellante verso la fine dell’anno 1995 (allorché egli prestava servizio presso il Centro di reclutamento del Corpo con le mansioni di addetto all’infermeria) consistenti nell’ avere rivelato a diversi partecipanti al concorso per il reclutamento di Allievi Sottufficiali e Allievi Finanzieri per l’anno 1995 e 1996 della Guardia di Finanza, le soluzioni dei relativi test psicoattitudinali e fornito ai medesimi numerosa documentazione attinente al concorso in parola al fine di agevolarli nel superamento delle prove concorsuali.

2.1. Secondo l’appellante l’intervenuto proscioglimento per prescrizione, unitamente alla labilità del quadro indiziario raccolto, rendevano evidente la sussistenza del vizio di istruttoria e ponderazione.

2.2.La doglianza non è persuasiva.

2.2.1. Rammenta in primo luogo il Collegio che l’intervenuta assoluzione in sede penale per prescrizione non osta alla sanzionabilità disciplinare delle medesime condotte.

Per la pacifica giurisprudenza amministrativa, infatti, "l’illiceità penale e quella disciplinare operano su piani differenti, ben potendo un determinato comportamento del dipendente rilevare sotto il profilo disciplinare, anche se lo stesso non è punito dalla legge penale; pertanto, il riconoscimento di attenuanti o l’applicazione della prescrizione in sede penale non impediscono la sanzionabilità del fatto sotto l’aspetto disciplinare, che può trovare preclusione soltanto nell’identità materiale tra fatto penale e fatto disciplinare sanzionato, quando il proscioglimento è pieno perché il fatto non sussiste o l’imputato non lo ha commesso."(Consiglio Stato, sez. IV, 15 settembre 2010, n. 6868).

Analoghi principi vigono perfino in ipotesi di intervenuta archiviazione (allorché quindi neppure è stata esercitata l’azione penale): "in tema di procedimento disciplinare è legittimo dare rilevanza a fatti che siano stati oggetto di precedenti procedimenti penali, in seguito archiviati, dal momento che il decreto di archiviazione racchiude valutazioni che afferiscono specificatamente al profilo penale, il che non può precludere un loro apprezzamento in sede disciplinare." (Consiglio Stato, sez. VI, 05 dicembre 2005, n. 6944).

Nel caso di specie, il giudice penale ha prosciolto l’appellante unicamente e a cagione dell’intervenuta prescrizione, applicando l’art. 129 del codice di procedura penale, dove si prevede che la causa estintiva venga dichiarata allorché non sussistano elementi per pervenire ad una pronuncia assolutoria più favorevole dimostrativa della insussistenza del fatto o della non attribuibilità dello stesso all’incolpato.

Si rammenta in proposito che per la pacifica giurisprudenza di legittimità penale

"il concetto di "evidenza" richiamato dall’art. 129 comma 2 c.p.p. non può essere inteso come prova "prima facie" dell’innocenza dell’imputato, immediatamente rilevabile dalla lettura degli atti, perché l’estraneità dell’imputato al fatto può anche costituire la conclusione logicogiuridica del percorso seguito dal giudice nella valutazione della prova. Perciò, in presenza di una prova insufficiente o contraddittoria in merito alla sussistenza del fatto, alla sua attribuibilità all’imputato, alla sua configurabilità come reato, all’imputabilità, deve essere adottata la formula ampiamente liberatoria in luogo della pronuncia estintiva del reato – nella specie, per prescrizione -"

(Cassazione penale, sez. I, 16 settembre 2004, n. 40386).

Ne deriva pertanto che dalla citata pronuncia di proscioglimento per prescrizione non possono discendere conseguenze preclusive dell’avvio del procedimento disciplinare, anche in considerazione del fatto che la predetta decisione trova causa in una conclamata condizione di carenza di evidenti elementi di infondatezza della notitia criminis.

3. Nel merito, l’appellante si duole della supposta inconsistenza del quadro probatorio a proprio carico ed introduce una serie di argomenti che, in parte, sono assolutamente non persuasivi e, per altro verso, sconfinano nel merito delle valutazioni demandate alla procedente amministrazione.

3.1. La questione deve essere esaminata muovendo dal consolidato orientamento – peraltro ben tenuto presente dal giudice di prime cure e dal quale la Sezione non intende discostarsi – secondo cui "la valutazione in ordine alla gravità dei fatti addebitati, in relazione all’applicazione di una sanzione disciplinare, costituisce espressione di discrezionalità amministrativa, non sindacabile in via generale dal giudice della legittimità, salvo che in ipotesi di eccesso di potere, nelle sue varie forme sintomatiche, quali la manifesta illogicità, la manifesta irragionevolezza, l’evidente sproporzionalità e il travisamento." (ex multis, si veda Consiglio Stato, sez. IV, 31 maggio 2007, n. 2830).

Il Consiglio di Stato, in particolare, ha di recente affermato che "le norme relative al procedimento disciplinare sono necessariamente comprensive di diverse ipotesi e, pertanto, spetta all’amministrazione, in sede di formazione del provvedimento sanzionatorio, stabilire il rapporto tra l’infrazione e il fatto, il quale assume rilevanza disciplinare in base ad un apprezzamento di larga discrezionalità – l’amministrazione dispone, infatti, di un ampio potere discrezionale nell’apprezzare autonomamente le varie ipotesi disciplinari, con una valutazione insindacabile nel merito da parte del giudice amministrativo -".(Consiglio Stato, sez. VI, 22 marzo 2007, n. 1350).

Analoga amplissima latitudine discrezionale possiede l’amministrazione in punto di valutazione del materiale cognitivo e probatorio raccolto: si è condivisibilmente affermato, in proposito, che, "nell’ambito procedimento disciplinare a carico del pubblico dipendente, l’apprezzamento dei fatti e la valutazione delle prove costituiscono espressione di attività di pieno merito e si sottraggono dunque – almeno in via tendenziale – al sindacato di legittimità, salva l’ipotesi della manifesta irragionevolezza." (Consiglio Stato, sez. VI, 08 maggio 2009, n. 2843, ma anche Consiglio Stato, sez. IV, 10 agosto 2007, n. 4392).

3.2. Non ritiene il Collegio di discostarsi da tale condivisibile orientamento e rileva che, nel caso di specie, la valutazione dell’amministrazione è certamente immune da alcun macroscopico vizio logico.

L’appellata amministrazione ha, infatti, supportato la propria deliberazione con materiale cognitivo raccolto in sede inquirente penale; ha ponderato in modo immune da mende il dato gravemente indiziante rappresentato dalla circostanza che l’appellante fu trovato in possesso di materiale riferibile ai concorsi per cui è causa che non aveva ragione di detenere, nonché la implausibilità ed inattendibilità della discolpa da questi fornita in proposito, secondo cui egli aveva "trovato" detto materiale e si accingeva a riconsegnarlo; né la circostanza che l’accusatore dell’appellante sia stato processato per calunnia (e comunque assolto per prescrizione) implica la totale inaffidabilità delle propalazioni di quest’ultimo; sotto altro profilo, gli Ufficiali che hanno reso deposizioni testimoniali hanno esclusivamente riferito di non essere a conoscenza di condotte specifiche dell’appellante, ma non hanno fornito neppure comprova positiva alle sue discolpe.

3.2.1. La discrezionalità amministrativa sul punto non appare essere stata irragionevolmente esercitata e le dette censure meritano di essere disattese, mentre tutti gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.

4.Conclusivamente l’appello deve essere respinto.

4. Le spese processuali di giudizio seguono la soccombenza, e pertanto l’appellante deve essere condannato al pagamento delle medesime in favore dell’appellata amministrazione, in misura che appare equo quantificare in euro tremila/00 (Euro 3000,00) oltre accessori di legge, se dovuti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) definitivamente pronunciando sull’appello, numero di registro generale 5043 del 2007, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna l’appellante al pagamento delle spese processuali di giudizio in favore dell’appellata amministrazione nella misura di euro tremila/00 (Euro 3000,00) oltre accessori di legge, se dovuti

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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