Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 21-09-2011) 10-11-2011, n. 40961

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con l’ordinanza in epigrafe il Tribunale di Torino, investito ex art. 309 cod. proc. pen., della richiesta di riesame avanzata dall’indagata M.I., ha sostituito nei confronti della stessa la misura della custodia in carcere con quella degli arresti domiciliari, confermando nel resto l’ordinanza cautelare del Giudice delle indagini preliminari in data 10.1.2011.

Alla M. è contestato di avere concorso nell’omicidio di Me.Si., avvenuto in (OMISSIS) per mano di S.L., da lei istigato, rafforzato e aiutato ad occultare le tracce del reato.

Per quanto rileva ai fini del ricorso, il Tribunale, pur dopo avere ritenuto inutilizzabili le intercettazioni delle conversazioni intrattenute in carcere tra il coindagato S. e tale D. (che aveva poi, comunque, deposto in merito alla confidenze ricevute), affermava che a carico della M. militava un grave compendio indiziario sufficiente, tuttavia e allo stato, a ritenerla responsabile di concorso anomalo nell’omicidio commesso dal S.. Valutava altresì sussistenti le esigenze cautelari, collegate in specie al pericolo di inquinamento nonchè, nell’eventualità di una situazione analoga, al pericolo di recidiva specifica. Ciò nonostante, rilevando che l’indagata era madre di bambino minore di tre anni e che il disposto dell’art. 275 cod. proc. pen., comma 4 doveva prevalere su quello del comma 3 del medesimo art., riteneva che siffatte esigenze cautelari, che non apparivano di eccezionale e immediata rilevanza, fossero fronteggiabili con la custodia domiciliare.

2. Ha proposto ricorso il Pubblico ministero, chiedendo l’annullamento dell’ordinanza impugnata.

2.1. Con il primo e secondo motivo denunzia, rispettivamente, violazione di legge ( dell’art. 273 c.p.p., commi 3 e 4) e vizi della motivazione, con riferimento alla prevalenza del disposto del comma 4 e alla adeguatezza della misura applicata. Sostiene in particolare il ricorrente che la disposizione del comma 4 doveva ritenersi applicabile soltanto a reati diversi da quelli indicati dal comma 3 e che erroneamente il Tribunale aveva interpretato analogicamente la giurisprudenza che concerneva gli ultrasettantenni. La corposa attività di inquinamento delle prove posta in essere dall’indagata rendeva per altro evidente l’inadeguatezza della misura custodiale attenuata, già accompagnata da permessi che ne esaltavano la scarsa tenuta.

2.2. Con il terzo motivo, analogamente denunzia violazione di legge e vizi di motivazione in ordine alla ritenuta inutilizzablità delle intercettazioni in carcere. L’interesse alla censura è argomentato adducendo un potenziale indebolimento del quadro probatorio (il D., che aveva reso le dichiarazioni "sostitutive", potendo essere oggetto di suggestioni o intimidazioni). Le ragioni dell’errore denunziato riposavano quindi nel fatto che la registrazione delle conversazioni era avvenuta previa acquisizione del consenso del D. e mediante l’utilizzazione di un impianto ricetrasmittente a lui applicato, di modo che le operazioni non erano riconducibili – si sostiene – alla categoria delle intercettazioni disciplinate dagli artt. 266 e ss. cod. proc. pen..

2.4. Con l’ultimo motivo deduce violazione di legge e contraddittorietà della motivazione in ordine alla qualificazione del contributo della indagata ai sensi dell’art. 116 cod. pen.. Il Tribunale aveva affermato che potevano ritenersi corrette entrambe le qualificazioni le ricostruzioni che portavano a dette qualificazioni;

le conclusioni contraddicevano così le premesse e non davano il giusto risalto al comportamento, tenuto dalla donna immediatamente dopo il fatto, che dimostrava piena condivisione, nonchè piena consapevolezza; già il precedente tentativo, del 2 giugno, essendo rivolto all’uccisione.

3. Ha prodotto memoria l’indagata a mezzo del difensore, avvocato Mauro Fabbri, chiedendo la declaratoria d’inammissibilità o il rigetto del ricorso.

Rileva:

– l’atto d’impugnazione era nell’intestazione riferito all’art. 391 c.p.p., comma 4 e art. 570 cod. proc. pen., anzichè all’art. 311 cod. proc. pen. (in assenza per il Pubblico ministero del favor impugnationìs, l’erronea qualificazione comportava la inammissibilità);

– la giurisprudenza costituzionale aveva ridotto la portata dell’art. 275 c.p.p., comma 3, escludendo da ultimo la sua applicabilità all’omicidio;

– la motivazione in ordine alla prevalenza del disposto dell’art. 275 c.p.p., comma 4, nonchè alla assenza di esigenze cautelari di particolare rilevanza e alla adeguatezza della misura attenuata era sorretta da ampi argomenti, non considerati dal ricorrente, e l’indagata aveva per altro rispettato le prescrizioni;

– assolutamente corretta era, alla stregua degli atti acquisiti, la motivazione in punto d’inutilizzabilità delle intercettazioni ambientali in carcere; maldestramente il Pubblico ministero aveva tentato di avvalorare la tesi della inapplicabilità degli artt. 266 e ss. cod. proc. pen., dal momento che la captazione era intervenuta non su iniziativa del D., ma dopo che lo stesso era stato munito di apparati ad opera dell’accusa; inoltre il tipo di intercettazione era stato novato con decreto del Gip a seguito della appurata impossibilità di munire il teste di apparecchi trasmittenti, e neppure per le successive operazioni era stato previsto il ricorso ad impianti esterni.

– la riconduzione della imputazione al concorso anomalo era coerente con le dichiarazioni del S., che costituivano per altro e nella sostanza l’unico elemento a carico.

Motivi della decisione

1. Il ricorso appare, nel complesso, infondato.

2. In relazione ai primi due motivi, deve premettersi che Corte cost. n. 164 del 2001 ha nel frattempo dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 275 c.p.p., comma 3, secondo e terzo periodo, come modificato dal D.L. 23 febbraio 2009, n. 11, art. 2, nella parte in cui – nel prevedere che, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine al delitto di cui all’art. 575 c.p., è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari – non fa salva, altresì, l’ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure.

Va ad ogni buon conto osservato, considerata l’epoca del ricorso, che nella giurisprudenza di questa Corte è pacifico il principio che "essendo la presunzione di cui all’art. 275 c.p.p., comma 3, opposta a quella fissata dal comma 4, nel bilanciamento dei valori e degli interessi rispettivamente tutelati la seconda presunzione, siccome in bonam partem e dotata di maggiore specificità, prevale sulla prima, in malam partem; sicchè, per applicare la custodia in carcere in tal caso, il giudice deve valutare come eccezionali le esigenze cautelari, anche quando sussistano gravi indizi in ordine ai reati di cui all’art. 275, comma 3; mentre, in presenza di esigenze cautelari tipiche o normali, è potere – dovere del giudice disporre misure cautelari coercitive meno afflittive della custodia in carcere" (Sez. 1, n. 21737 del 2007, Verde).

Nel merito, quindi, il Tribunale ha ampiamente scrutinato gli aspetti di pericolosità che potevano ritenersi ragionevolmente presenti in base alla personalità e ai comportamenti della ricorrente, giungendo alla conclusione, non implausibile e non censurabile perciò in sede di legittimità trattandosi di apprezzamento squisitamente di merito, che non emergevano pericoli imminenti e di particolare rilevanza, non fronteggiabili con gli arresti domiciliari.

3. Il terzo motivo, relativo alla affermata inutilizzabilità delle intercettazioni, è invece inammissibile, perchè non è finalizzato a un risultato decisorio che di dette intercettazioni dovrebbe valersi. Il Tribunale del riesame ha infatti ritenuto in ogni caso sussistenti i gravi indizi di colpevolezza, il ricorso chiede l’annullamento in punto di qualificazione del fatto e di tipo di misura applicata, le intercettazioni, delle quali neppure si indica il contenuto, non vengono indicate come funzionali a tali risultati.

Ora, la possibilità di prospettare in sede di incidente de libertate, una questione sulla prova che non ha ogni incidenza sulla decisione da assumere, soltanto per farne "tesoro" in vista del giudizio di merito, deve ritenersi preclusa in base al principio che interferenze tra procedimento cautelare e procedimento principale possono considerarsi ammissibili solamente in direzione inversa: solo le valutazioni espresse dai giudici della cognizione sui temi che sono propri della regiudicanda possono, in altri termini, assorbire e condizionare gli analoghi accertamenti da compiersi – in via preventiva, e sempre e necessariamente come mera prognosi degli sviluppi della cognizione – in sede cautelare; non viceversa.

Come dunque non può ammettersi un’efficacia "condizionante" della decisione sulla misura cautelare sul giudizio di merito (C. cost. n. 121 del 2009), così parallelamente non può ammettersi che il giudizio cautelare serva per la proposizione di una questione sulla prova solo perchè la stessa potrebbe servire alla fase di merito.

4. L’ultimo motivo è, infine, infondato.

Con esso si assume l’esistenza di una contraddizione nel provvedimento impugnato, perchè avrebbe ritenuto egualmente plausibile l’ipotesi del dolo eventuale e del concorso anomalo, risolvendosi poi a qualificare il fatto in base alla seconda prospettiva.

Del tutto correttamente, al contrario, i giudici del merito hanno aderito, esistendo la possibilità di diverse possibili ricostruzioni parimenti plausibili, a quella più favorevole all’indagato.

Per il resto le censure riguardano apprezzamenti sul significato di certuni particolari passaggi delle dichiarazioni acquisite, che si risolvono in questioni di fatto, non rivalutabili dal giudice di legittimità (tanto più essendo il ricorso assolutamente privo di autosufficienza).

5. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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