Cass. civ. Sez. V, Sent., 16-05-2012, n. 7685

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La commissione tributaria regionale del Piemonte, con sentenza in data 1.10.2009, ha confermato la decisione con la quale la commissione tributaria provinciale di Torino aveva respinto un ricorso della Officine meccaniche Castellazzo di Castellazzo Luigi & C. s.a.s contro il diniego di rimborso di un credito Iva, indicato nella dichiarazione annuale senza presentazione dell’apposito modello VR. Ha motivato la decisione sostenendo che la sola esposizione del credito in dichiarazione annuale non potevasi ritenere sufficiente a manifestare la volontà del contribuente di ricevere il rimborso. E che, in difetto di un’apposita istanza mediante utilizzazione del modello ministeriale, la domanda di restituzione andava presentata nel rispetto del termine di decadenza previsto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, comma 2, applicabile anche al di là dei casi di versamento d’imposta non dovuta, e "a tutte le categorie di crediti in cui il legislatore non abbia indicato altri termini di riferimento".

Avverso la sentenza di secondo grado la società contribuente ha proposto ricorso per cassazione sorretto da due motivi.

L’amministrazione intimata non ha svolto difese.

Motivi della decisione

1. – Col primo motivo, la ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 38 bis, per avere la commissione regionale ritenuto applicabile alla fattispecie il termine di decadenza biennale, anzichè l’ordinario termine di prescrizione.

La società assume a premessa di aver compilato, nella dichiarazione modello unico 2001, il quadro RX1 (relativo a compensazioni-rimborsi- rateazione), inserendo l’importo di L. 26.001.000 nella casella relativa alla richiesta di rimborso. Assume ancora che la volontà di ottenere il detto rimborso era stata altresì dettata dalla imminente cessazione di attività, in concreto avvenuta nel dicembre dell’anno 2000. Essendo la domanda relativa all’eccedenza d’imposta risultata dalla cessazione di attività, dovevasi ritenere applicabile l’insegnamento che vuole simile fattispecie sottratta all’ambito applicativo sussidiario e residuale del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21.

Col secondo motivo deduce ancora violazione e falsa applicazione delle medesime norme, sul rilievo, invece, che, contrariamente a quanto sostenuto dalla commissione regionale, l’esposizione del credito in dichiarazione annuale dovevasi considerare sufficiente a manifestare la volontà del contribuente di ottenere il rimborso, al punto da doversi comunque ritenere la relativa azione sottratta all’indicato termine di decadenza e soggetta al solo termine decennale di prescrizione.

2. – Dev’essere prioritariamente evidenziato che la dedotta cessazione di attività non risulta dalla sentenza impugnata, nè emerge dal ricorso in quali termini il riferimento a consimile condizione (legittimante il rimborso ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 30) sia stato consegnato al giudizio d’appello.

Ciò nondimeno le censure sopra sintetizzate, tra loro connesse e suscettibili di unitario esame, appaiono nei termini che seguono fondate quanto al residuo delle prospettate critiche.

3. – La sentenza riferisce che la società aveva presentato la dichiarazione annuale indicando in essa il credito Iva maturato nell’anno d’imposta (ancorchè erroneamente, in motivazione, il detto credito sia stato riferito all’anno 2002, anzichè – come pare pacifico in base a quanto riportato nell’intestazione della sentenza medesima e nell’odierno ricorso – all’anno 2000).

Ha quindi affermato che la sola esposizione del credito nella dichiarazione annuale ai fini dell’Iva non è sufficiente a manifestare la volontà del contribuente di ricevere il rimborso, rimanendo aperte le varie opzioni da ciò discendenti. Ha aggiunto che tale volontà "può essere manifestata solamente con la presentazione del modello VR o con un’istanza di rimborso";

cosicchè, in mancanza di una simile formale manifestazione di volontà entra in gioco il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, applicabile anche al di là dei casi di versamento di un’imposta non dovuta.

In tal senso l’impugnata sentenza ha orientato il proprio ragionamento a principi astratti, e come tali non condivisibili.

4. – Nella giurisprudenza di questa Corte è in effetti rinvenibile l’affermazione per cui, in materia di Iva, soltanto una domanda di rimborso (dell’eccedenza detraibile) conforme al modello legale, ossia contenente tutti gli elementi necessari stabiliti dalla legge e indicati nell’apposito modello ministeriale (il citato mod. VR), corrisponde allo schema tipico di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 30. Con la conseguenza che una domanda difforme, da un lato non è idonea a determinare il decorso degli interessi, sulla somma di cui sia riconosciuto il diritto al rimborso, dal novantesimo giorno successivo a quello di sua presentazione (v. Cass. n. 21053/2005 e n. 1935/1999); e dall’altro può rimanere assoggettata alla decadenza biennale prevista, in via residuale, dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21 (cfr. Cass. n. 18920/2011) dal momento che codesta norma opera anche al di là delle domande di restituzione di imposte versate in eccedenza sul dovuto (v. Cass. n. 27057/2008; n. 8461/2005; n. 16477/2004).

Sennonchè, seppur movendosi nel solco di siffatti insegnamenti, l’impugnata sentenza non ha fatto buon governo dei medesimi, avendo omesso ogni concreto accertamento in ordine alla decisiva questione se il credito – semplicemente indicato nella dichiarazione Iva -fosse stato poi chiesto a rimborso all’atto della traslazione dei dati nella dichiarazione unica, che la ricorrente assume di aver presentato con contestuale compilazione del quadro RX1, e con inserimento dell’importo "nella casella relativa alla richiesta di rimborso"; dichiarazione unica che soprattutto la contribuente assume di aver prodotto (sub doc. 1) dinanzi al giudice tributario di primo grado.

5. – In proposito il collegio intende dare, invero, continuità all’orientamento secondo il quale, in tema di rimborso dell’Iva, deve tenersi distinta la domanda di rimborso del credito d’imposta maturato dal contribuente, da considerarsi presentata a mezzo della compilazione, nella dichiarazione annuale, del quadro di riferimento (che configura formale esercizio del diritto), dalla presentazione del mod. VR, che costituisce, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 38-bis, comma 1, un adempimento necessario solo a dar inizio al procedimento di esecuzione del rimborso medesimo; sicchè, una volta tempestivamente esercitato – in dichiarazione – il diritto al rimborso, la presentazione del mod. VR non può considerarsi assoggettata al termine biennale di decadenza previsto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, ma solo al termine decennale di prescrizione di cui all’art. 2946 c.c. (cfr. Cass. n. 20039/2011).

Codesto orientamento non è in contrasto coi principi più sopra enunciati a proposito della necessaria completezza della domanda di rimborso, il punto di equilibrio trovandosi nella considerazione – evidenziata anche dalla citata Cass. n. 18920/2011 – che l’indicazione del credito nella dichiarazione Iva non implica, di per sè, la manifestazione di volontà di ottenimento del rimborso, dovendo al riguardo verificarsi se nella compilazione della dichiarazione annuale possa in concreto rinvenirsi l’esplicitazione di una tale volontà.

E’ infatti necessario rammentare che la disciplina del credito Iva, associata al corretto impiego della modulistica fiscale, presupponeva, per i contribuenti che avessero presentato (come nella specie è dedotto) il modello unico, la compilazione (giustappunto in detto modello) del quadro RX siccome derivante dalla preventiva compilazione, a scopo liquidatorio, del quadro VL della dichiarazione Iva.

Il quadro RX traeva cioè i dati dal ripetuto quadro VL della dichiarazione Iva, non dal modello VR. Donde la funzione del mod. VR era (ed è) rapportata al fatto di doversi esplicitare il presupposto legittimante la domanda di rimborso secondo la serie tassativamente prevista dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 30, in coerenza con la ratio di rendere più tempestive e meno onerose le successive verifiche dell’amministrazione finanziaria.

6. – Consegue che il dato identificativo della differenza tra gli importi dell’Iva esposti a credito e quelli, viceversa, esposti a debito finiva in ogni caso con l’essere rappresentato da quanto riportato nel quadro VX della dichiarazione Iva, ovvero nel quadro RX per i soggetti che avessero optato per la presentazione del modello unico, giacchè nel corrispondente rigo del mod. VR4 (campo 3), finanche in base alle istruzioni ministeriali relative alle richieste di rimborso, doveva essere indicato l’importo coincidente con la risultante del rigo VX3 (della dichiarazione annuale Iva) ovvero, in caso di dichiarazione unificata, con la risultante del rigo RX del mod. unico. E, in quest’ultimo modello, il rigo RX4 conteneva, tra gli altri, proprio il riferimento al "credito di cui si chiede il rimborso".

Tale era l’accertamento che si imponeva nel caso di specie, e che il giudice del merito avrebbe dovuto effettuare per rendere efficace (e concreta) l’affermazione di principio; sicchè l’impugnata sentenza, avendolo completamente omesso, va cassata con rinvio alla medesima commissione tributaria regionale, diversa sezione, per nuovo esame delle emergenze documentali.

In particolare il giudice di rinvio renderà la valutazione uniformandosi al seguente principio di diritto: "in tema di rimborsi dell’Iva, la compilazione del quadro RX del modello di dichiarazione unica, nel campo attinente al credito di cui si chiede il rimborso, è legittimamente considerata alla stregua di manifestazione di volontà di ottenere il rimborso; tale manifestazione di volontà identifica, invero, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 38-bis, la domanda di rimborso fatta nella dichiarazione, e, ancorchè non accompagnata dalla presentazione del mod. VR ai fini della determinazione dell’importo richiesto a rimborso nella dichiarazione Iva, sottrae la fattispecie al termine biennale di decadenza sancito, in via residuale, dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21".

La commissione regionale provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa l’impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla commissione tributaria regionale del Piemonte.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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