Cass. civ. Sez. V, Sent., 16-05-2012, n. 7675 Imposta valore aggiunto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La commissione tributaria centrale, sez. reg. del Lazio, ha accolto un ricorso dell’agenzia delle entrate avverso la sentenza della commissione tributaria di 2 grado di Roma, n. 372/07/1994, che aveva confermato l’annullamento, già disposto dal giudice di primo grado, di due ingiunzioni di pagamento notificate alla Luzi s.p.a. (poi incorporata dalla Alstom ferroviaria s.p.a.) in conseguenza di rettifiche eseguite ai fini dell’Iva. La società incorporante Alstom ferroviaria s.p.a. ha proposto ricorso per cassazione affidato a otto motivi.

L’intimata agenzia delle entrate non ha svolto difese, ma ha depositato una nota di costituzione al solo fine della partecipazione all’udienza di discussione (art. 370 c.p.c., comma 1). Neppure il Ministero dell’economia e finanze ha svolto difese.

Motivi della decisione

1. – Va preliminarmente dichiarata l’inammissibilità del ricorso proposto nei confronti del Ministero dell’economia e delle finanze, essendo l’agenzia delle entrate, alla data in cui fu pronunciata la sentenza impugnata, unica titolare dei poteri giuridici strumentali all’adempimento delle obbligazioni tributarie, in quanto successore a titolo particolare del Ministero in ordine a tali rapporti a decorrere dalla data di relativa operatività (1 gennaio / 2001). Con conseguente assunzione in via esclusiva della gestione del contenzioso e connessa spettanza dell’esercizio delle facoltà processuali in sede di legittimità (per tutte, sez. un. n. 3116/2006).

2. – I motivi, di cui si compone l’odierno ricorso per cassazione, sono così sintetizzabili.

2/a. – Col primo mezzo la ricorrente denunzia la nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, per violazione del D.P.R. n. 636 del 1972, art. 37, e art. 132 c.p.c., n. 4, ascrivendole una motivazione scio apparente sul fatto, considerato decisivo onde inferire la fraudolenza del contegno della contribuente, della avvenuta emissione di fatture per operazioni inesistenti, atteso il generico rinvio a non meglio precisati atti della g.d.f. non presenti nei fascicoli di parte acquisiti al fascicolo d’ufficio.

2/b. – Col secondo e col terzo motivo, la ricorrente denunzia la nullità della sentenza, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, per violazione dell’art. 112 c.p.c.. Si contesta alla commissione centrale, rispettivamente, (a) di aver statuito ultra petìta sull’annualità 1976, non oggetto di contenzioso; e (b) di aver omesso di pronunciarsi invece sull’annualità 1979, oggetto di contenzioso; in tal modo comunque violando il principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato.

2/c. – Col quarto mezzo, la ricorrente ancora denunzia la nullità della sentenza, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, per violazione del D.P.R. n. 636 del 1972, art. 37, e art. 132 c.p.c., n. 4, lamentando la totale mancanza della motivazione in ordine alla pronuncia afferente la ripetuta annualità Iva 1976. 2/d. – Col quinto mezzo, la società deduce un ulteriore motivo di nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, per violazione del D.P.R. n. 636 del 1972, art. 37, e art. 132 c.p.c., n. 4, per aver omesso di fornire la motivazione in ordine all’affermata esistenza di una situazione di consolidamento e di riconoscimento di un credito della società contribuente in conseguenza del fruito condono ex L. n. 516 del 1982, a fronte invece di dati documentali attestativi del fatto che la medesima società non aveva consolidato alcun credito, avendo provveduto semmai a esborsi all’esito della dichiarazione integrativa presentata per le annualità oggetto di contenzioso.

2/e. – Col sesto motivo, la ricorrente lamenta la nullità della sentenza, per violazione delle medesime norme, per avere indistintamente accomunato – senza al riguardo fornire alcuna motivazione e rendendo così impossibile l’individuazione delle ragioni della correlata statuizione – due fattispecie invero soggette a disciplina distinta: (a) l’una riferita all’anno 1979 (ancorchè nella sentenza indicata come attinente all’anno 1976), per la quale non era stato notificato alcun avviso di rettifica; (b) l’altra riferita all’anno 1977, per la quale invece detto avviso era stato notificato prima della presentazione della dichiarazione integrativa.

2/f. – Col settimo e con l’ottavo motivo sono denunziate, infine, violazioni e false applicazioni di norme di diritto.

Specificamente:

(1) nel settimo motivo, la falsa applicazione del D.L. n. 429 del 1982, art. 26, conv. in L. n. 516 del 1982, a misura dell’ipotesi che, in relazione all’annualità 1979, la sentenza abbia assunto l’assoggettabilita alla previsione di cui all’art. 26, del D.L. cit., anzichè a quella di cui all’art. 28 stesso D.L., della definizione a mezzo di condono;

(2) nell’ottavo motivo, la violazione degli artt. 25, 26 e 30 del medesimo D.L., in quanto la sentenza, ai fini dell’iva riferita a periodi d’imposta relativamente ai quali il termine della dichiarazione era scaduto al 5.3.1982, aveva statuito che l’applicabilità del condono dovevasi escludere in fattispecie caratterizzata da utilizzazione di fatture relative a operazioni inesistenti, a fronte invece del diverso principio, dalle stesse disposizioni ritraibile, che il condono è da applicare anche in fattispecie così caratterizzata, posto che l’indicazione di un minor credito implica in ogni caso l’accertamento di una maggiore imposta.

3. – Osserva il collegio che i primi sei motivi, denuncianti presunti vizi processuali, sono infondati.

4. – Tra questi assumono priorità, in senso logico, il secondo e il terzo motivo in quanto denuncianti vizi attinenti all’oggetto della pronuncia (res in iudicium decisa) in rapporto all’oggetto del processo (res in iudicium deducta).

L’infondatezza di questi due motivi – che possono essere trattati congiuntamente, in quanto tra loro connessi – si ritrae dalle considerazioni che seguono.

4/a. – Risulta dalla sentenza di primo grado, nelle parti salienti trascritta in seno al ricorso per cassazione unitamente alle corrispondenti parti degli atti difensivi della società contribuente, che la controversia aveva a oggetto un’opposizione all’ingiunzione introdotta da separati ricorsi "conseguenti ad avvisi di rettifica relativi agli anni 1977 e 1979 notificati in data 15 novembre 1982".

La società aveva invero sostenuto l’inefficacia di detti avvisi perchè "superati dall’istanza di condono (..) spedita con raccomandata nella stessa data del 15 novembre 1982".

Tuttavia la stessa ricorrente evidenzia, previo richiamo della deduzione preliminare del ricorso dell’ufficio finanziario per la commissione tributaria centrale (pag. 1), che il contenzioso era relativo a "ingiunzione anno 1977 n. (OMISSIS)" e "anno 1979 n. (OMISSIS)". Conseguentemente va considerato come dato pacifico che l’oggetto dei processo – derivante da ciò che nella domanda era individuato – atteneva, anche in base alla deduzione della società ricorrente, a ingiunzioni di pagamento dell’Iva per gli anni 1977 (la n. (OMISSIS)) e 1979 (la n. (OMISSIS)).

4/b. – Ora in effetti la sentenza riferisce la statuizione – e dunque l’oggetto della pronuncia – a "ingiunzioni di pagamento relative alle verifiche iva 1976-1977". Ma il riferimento detto va ascritto a mero errore materiale quanto alla menzione dell’annualità 1976, immediatamente riconoscibile dal fatto di essere state comunque correttamente indicate le ingiunzioni a mezzo dei rispettivi numeri (n. (OMISSIS) e n. (OMISSIS)). L’errore rinvenibile nella sentenza sta nell’aver associato l’ingiunzione n. 80278382 all’anno 1976, anzichè, come dovevasi, all’anno 1979. Il che tuttavia non inficia la statuizione ai sensi dell’art. 112 c.p.c., perchè è evidente che la sentenza si è comunque pronunciata – così come appare d’altronde riconosciuto dalla stessa parte ricorrente in forza della deduzione messa al fondo del sesto motivo – sulle opposizioni alle ingiunzioni di cui si è detto (ripetesi: n. (OMISSIS) e n. (OMISSIS)).

Discende che le violazioni denunciate nel secondo e nel terzo motivo (ultrapetizione, quanto all’avvenuta menzione dell’annualità Iva 1976, non oggetto di domanda; e omessa pronuncia, quanto all’ingiunzione riferita all’annualità 1979) non sussistono.

5. – Il rigetto dei citati due mezzi segna negativamente la sorte del quarto, il cui presupposto è che la sentenza abbia giustappunto pronunciato sull’annualità Iva 197 6, anzichè sull’annualità Iva 1979, senza darne conto in motivazione.

Negato il presupposto nel senso sopra evidenziato, viene meno il fondamento del motivo.

6. – Altrettanto infondati sono i motivi primo, quinto e sesto, a mezzo dei quali è dedotta la nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, per mancanza della motivazione sui singoli profili denunciati.

Seppure sinteticamente, la sentenza contiene l’esposizione delle ragioni che hanno indotto all’accoglimento del gravame dell’ufficio finanziario.

In particolare, la ratio decidendi è rinvenibile nella duplice affermazione (a) che la dichiarazione integrativa della parte contribuente aveva avuto a presupposto l’esposizione di un credito nella dichiarazione originaria, in parte derivante dall’utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti così come "accertato dalla guardia di finanza"; e (b) che il principio enunciato dal D.L. n. 429 del 1982, art. 26, conv. nella L. n. 516 del 1982, dovevasi ritenere subordinato "all’applicazione non fraudolenta del tributo", lo scopo del provvedimento di favore non essendo stato – a giudizio della commissione territoriale – "quello di consentire il riconoscimento di una pretesa creditizia inesistente in conseguenza di un pagamento effettuato comunque in misura inferiore".

Vero è che la sentenza si limita a richiamare, a sostegno della previa considerazione in fatto, tutto quanto "accertato dalla guardia di finanza", senza migliori specificazioni. Ma deve osservarsi che, nell’incipit della motivazione, è detto che le ingiunzioni erano conseguite a rettifiche iva discendenti da un processo verbale della g.d.f. medesima; dacchè l’ovvia inferenza che la fonte dell’accertamento, secondo il giudice di merito, trovavasi nel detto verbale.

In tal senso la motivazione, come elemento essenziale dell’atto – sentenza, esiste e rende intelligibile la ratio -, e l’eventuale sua insufficienza (in ordine alla omessa esplicitazione degli elementi posti a sostegno della affermazione di inesistenza delle operazioni passive, ove anche considerata decisiva – e non lo è per quanto tra un momento si dirà) andava semmai denunciata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5. 7. – Ad avviso del collegio è invece fondato l’ottavo motivo, il quale, in stretta connessione col settimo (il cui esame risulta peraltro assorbito dalle considerazioni che seguono), censura la sentenza per errores in iudicando a proposito delle condizioni di validità della dichiarazione integrativa D.L. n. 429 del 1982, ex artt. 26 e 28. 8. – La commissione tributaria centrale ha – come detto – basato la decisione sul principio, desunto dall’art. 26 del D.L. cit. (conv. in L. n. 516 del 1982), che non è ammissibile la presentazione della dichiarazione integrativa per l’ammissione al beneficio del condono fiscale in materia di Iva in caso d’indebite detrazioni d’imposta conseguenti a operazioni inesistenti. E’ difatti evincibile, dalla pur sintetica (e in parte lessicalmente involuta) motivazione che, a giudizio della commissione, nel meccanismo funzionale dell’iva, tanto le indicazioni di un maggior debito quanto le indicazioni di un minor credito implicano sempre una maggiore imposta. Il che è conforme a quanto fin dagli anni immediatamente successivi alla legge istitutiva del ridetto condono fiscale evidenziato da un certo indirizzo interpretativo, a petto della considerazione che, nella determinazione delle componenti del concetto di "maggiore imposta accertata dall’ufficio", di cui all’art. 26 della L. cit., intervengono sia l’ammontare dell’imposta non dichiarata sulle operazioni imponibili, sia il disconoscimento delle detrazioni d’imposta a credito allorchè siano state utilizzate fatture relative a operazioni simulate e inesistenti.

In sostanza, secondo la decisione impugnata, nell’ipotesi in cui il contribuente, in sede di dichiarazione originaria, abbia esposto un credito d’imposta derivante in parte da fatture relative a operazioni inesistenti, il beneficio del condono non può essere applicato, in quanto la sua applicazione comporterebbe il consolidamento della fittizia e simulata pretesa creditizia originariamente dichiarata. In tal senso l’applicazione del beneficio sarebbe subordinata all’applicazione non fraudolenta del tributo, per l’equivalenza esistente tra soggetto fittizio d’imposta e operazioni fittizie poste in essere dal soggetto d’imposta, e anche per l’ovvia considerazione che scopo del provvedimento di favore non può essere stato quello di consentire il riconoscimento di una pretesa creditizia inesistente (in quanto basata su fatture relative a operazioni inesistenti).

9. – Codesta tesi è, per la fattispecie che viene in rilievo, errata in diritto, in quanto in contrasto con l’orientamento ormai consolidato di questa Corte in ordine alle condizioni di efficacia della dichiarazione integrativa ex artt. 26 e 28 del richiamato D.L., e alle consequenziali condizioni di ammissibilità del condono fiscale laddove alla presentazione della dichiarazione detta faccia comunque seguito (come è qui pacifico che sia avvenuto) un pagamento d’imposta.

Tale insegnamento può essere espresso dal seguente principio di diritto: "in tema di condono fiscale, la definizione agevolata delle pendenze in materia di Iva prevista dal D.L. 10 luglio 1982, n. 429, art. 28, conv. in L. 7 agosto 1982, n. 516, è ammissibile, in mancanza di limitazioni, anche in caso di fatturazione di operazioni inesistenti, non risultando dalla legge limitazioni al riguardo, ed essendo stata tale fattispecie compresa tra i reati di cui al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 50, (abrogato dalla L. n. 516 cit., art. 13, con decorrenza dal 1 gennaio 1983), la cui inclusione nell’amnistia di cui al D.P.R. 9 agosto 1982, n. 525, era subordinata alla condizione che il contribuente avesse fatto ricorso al condono fiscale".

La definizione agevolata, cioè, non resta esclusa nel caso in cui le predette operazioni abbiano condotto all’esposizione di un minor debito d’imposta; mentre non è consentita quando si configuri un credito in favore del contribuente, in quanto, come si evince dal D.L. n. 429 del 1982 cit., art. 26 e 28, il condono presuppone pur sempre un debito d’imposta e un conseguente obbligo di versamento (v. da ultimo Cass. n. 18801/2006; nonchè conf. Cass. n. 14053/2006; n. 11560/1997).

La conclusione assunta dall’orientamento evocato (che qui si conferma) trova convincente spiegazione in ciò: che il condono previsto, con riguardo all’Iva, dal citato D.L. n. 429 del 1982, è stato considerato alla stregua di condizione per fruire dell’amnistia di cui al D.P.R. 9 agosto 1982, n. 525; e a sua volta l’amnistia era stata concessa, appunto a condizione che si fosse fatto ricorso al condono fiscale, anche a coloro che avessero commesso il reato di utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti (punito, all’epoca, dal D.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633, art. 50).

Nell’anzidetto perimetro normativo, è quindi logico affermare che l’applicabilità del condono resta esclusa solo quando, dall’insieme delle suddette operazioni, deriva un credito del contribuente azionabile in pregiudizio dell’amministrazione, dovendo comunque il condono comportare un versamento da parte di quest’ultimo, il quale è tenuto, ai sensi del D.L. n. 429 del 1982, art. 26, a sborsare in ogni caso una parte della maggiore imposta accertata (e v. infatti quanto a suo tempo deciso da Cass. n. 12832/1995 e n. 9601/1991).

Non giova, per opinare diversamente, l’argomento addotto dalla decisione impugnata, secondo cui scopo del condono non può essere stato quello di consentire il riconoscimento di una pretesa creditizia inesistente. L’argomento, pur suggestivo, non tiene conto del complesso meccanismo dell’Iva, che impone che ogni valutazione vada fatta, non per singole operazioni, ma in relazione al complesso delle stesse in un determinato periodo. Dacchè il corollario che l’applicabilità (o meno) del condono resta condizionata all’esito contabile dell’insieme delle operazioni dette; e dunque al fatto che alla fine del periodo emerga, o meno, un debito del contribuente, dovendo comunque il condono comportare un versamento da parte di quest’ultimo.

10. – Da quanto precede può farsi discendere l’accoglimento dell’ottavo motivo e l’assorbimento del settimo. L’impugnata sentenza, in applicazione del sopra citato principio di diritto, va cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, può la Corte decidere la controversia nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, accogliendo l’impugnazione originariamente proposta contro le ingiunzioni di pagamento. Le spese dell’intero giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza dell’agenzia delle entrate.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso in quanto attinente al Ministero dell’economia e delle finanze.

Rigetta il primi sei motivi del ricorso proposto contro l’agenzia delle entrate; accoglie l’ottavo motivo e dichiara assorbito il settimo; cassa l’impugnata sentenza e, decidendo nel merito, accoglie l’impugnazione avverso le ingiunzioni di pagamento; condanna l’agenzia delle entrate alle spese di causa, liquidandole in Euro 1.000,00 (di cui Euro 650,00 per onorari) per ciascuno dei gradi di merito e in Euro 5.000,00 (di cui Euro 200,00 per esborsi) per il giudizio di legittimità.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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