Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 10-06-2011) 10-11-2011, n. 40953

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza deliberata il 12 novembre 2010 e pubblicata il successivo 15 novembre, la Corte di assise di appello di Palermo, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha respinto la domanda di applicazione di indulto, proposta da D.F. con riferimento alla pena dell’ergastolo infittagli per il delitto previsto dagli artt. 110 e 575 c.p. e art. 577 c.p., n. 3, commesso il 13 settembre 1981, giusta sentenza dalla stessa Corte di assise in data 20 novembre 2004 (irrevocabile dal 10 giugno 2008), nonchè la richiesta di fungibilità della pena già espiata di anni 2, mesi 8 e giorni 17 di reclusione, da riferire al reato associativo previsto dall’art. 416 bis cod. pen., commesso nel febbraio 1983, per cui il D. era stato condannato alla pena di anni tre di reclusione con sentenza della Corte di appello di Roma del 27 gennaio 1993, irrevocabile dal 15 febbraio 1994.

A ragione la Corte di assise di appello ha addotto il costante indirizzo giurisprudenziale di questa Corte di legittimità, secondo cui la pena dell’ergastolo, in quanto pena detentiva perpetua, non è condonabile in parte, ma solo, per eventuale volontà del legislatore, in toto, ovvero, sempre per la medesima volontà, convertibile in pena di altra specie, aggiungendo che nessuna delle predette previsioni è contenuta nei provvedimenti legislativi di concessione dell’indulto, ex D.P.R. n. 865 del 1986, D.P.R. n. 394 del 1990 e L. 31 luglio 2006, n. 241, indicati come applicabili dal condannato.

Quanto alla richiesta di computo della pena già espiata dopo la commissione del delitto per cui è stata irrogata la pena dell’ergastolo in esecuzione, la Corte territoriale ha osservato che nè dal certificato di detenzione prodotto, nè dall’acquisita posizione giuridica emergeva alcun riferimento al titolo per il quale il D.M. aveva subito la pena di anni 2, mesi 8 e giorni 17 di reclusione, indicata come già espiata, cosicchè, sulla scorta del certificato del casellario giudiziale, doveva ritenersi che la predetta detenzione si riferisse alla condanna ad anni 3 di reclusione (ridotta per applicazione della liberazione anticipata), inflittagli con la sentenza del 27 gennaio 1993, per il delitto di associazione per delinquere di tipo mafioso, ostativo al beneficio dell’indulto.

2. Avverso la predetta ordinanza il D.M., tramite il suo difensore, avvocato Salvatore Stroscio del foro di Messina, ha proposto ricorso per cassazione deducendo, a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), l’inosservanza delle disposizioni di cui agli artt. 656, 657 e 671 cod. proc. pen. in relazione all’art. 80 cod. pen. e a D.P.R. n. 865 del 1986 e D.P.R. n. 394 del 1990 nonchè alla L. n. 241 del 2006.

Sostiene il ricorrente che il Procuratore della Repubblica di Palermo avrebbe dovuto unificare, in fase di esecuzione, tutte le pene applicate al D.M. con sentenze di condanna per fatti commessi dal 13 settembre 1981 (data del primo reato sanzionato con l’ergastolo) in poi, e avrebbe dovuto, altresì, detrarre dalla pena complessiva la carcerazione già sofferta dal 13 settembre 1981 in avanti, aggiungendo pertanto alla pena espiata quella di anni 2, mesi 8 e giorni 17 di reclusione e l’indulto di anni 1 ex D.P.R. n. 865 del 1986, anni 2 ex D.P.R. n. 394 del 1990 ed anni 3 ex L. n. 241 del 2006 per la complessiva pena di anni 8, mesi 8 e giorni 17 di reclusione da detrarre da quella in esecuzione, al fine di non inibire al condannato i benefici penitenziari per cui sarebbero già attuali i requisiti di ammissibilità, considerata l’irretroattività delle disposizioni più sfavorevoli al condannato di cui all’art. 4- bis Ord. Pen., aggiunto dal D.L. 13 maggio 1991, n. 152, art. 1, convertito nella L. 12 luglio 1991, n. 203, che avrebbe creato un "tipo normativo" di condannato precedentemente non previsto, e ciò in adesione ai principi di cui all’art. 25 Cost., comma 2 e art. 27 Cost., comma 3, e all’art. 7, comma 1, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, da interpretare non solo con riferimento alla previsione punitiva ma anche con riguardo alla concreta esecuzione di essa, secondo la disciplina vigente al tempo del commesso reato, nella fattispecie risalente al lontano 13 settembre 1981.

Insiste, inoltre, il ricorrente nella richiesta di applicazione dell’indulto, previo cumulo materiale delle pene, erroneamente omesso,con le correlative detrazioni di quelle già espiate da parte del giudice dell’esecuzione.

Motivi della decisione

3. Il ricorso non è fondato.

Va preliminarmente osservato che le doglianze relative all’ammissibilità dei benefici penitenziari sono estranee alla competenza del giudice dell’esecuzione, chiamato a decidere sulla corretta determinazione della pena da espiare, previa valutazione della richiesta di applicazione dell’indulto e di riconoscimento in fungibilità della pena di anni 2, mesi 8 e giorni 17 di reclusione, che il ricorrente assume di aver espiato dopo la commissione del reato punito con l’ergastolo.

Tanto premesso, è ineccepibile la decisione della Corte territoriale che ha escluso l’applicabilità dell’indulto sia alla pena perpetua inflitta con sentenza della Corte di assise di appello di Palermo del 20 novembre 2004, sia alla pena temporanea di anni tre di reclusione inflitta con la sentenza della Corte di appello di Roma del 27 gennaio 1993.

Quanto alla prima, è stato perspicuamente osservato che la specifica connotazione dell’ergastolo, ossia la perpetuità, è ontologicamente incompatibile con tutte quelle cause estintive della pena che presuppongono, ai fini della loro applicazione, una durata definita nel tempo. Nè può pervenirsi a diversa conclusione solo perchè l’ergastolo, al pari delle altre pene detentive, permette il ricorso agli istituti della liberazione condizionale ( art. 176 c.p., comma 3) e della liberazione anticipata (art. 54 Ord. Pen.). Ciò perchè in relazione a tali benefici, estesi all’ergastolo in seguito ad appropriati interventi normativi successivi ad alcune pronunce della Corte Costituzionale, non si è derogato al principio dell’inscindibilità dell’ergastolo, nè si è eliminato il carattere perpetuo di esso, ma si è solo affermato che, dopo un certo periodo di detenizione, anche il condannato all’ergastolo può fruire di quei benefici se ha dato prova, con la sua condotta, di ravvedimento, ovvero ha dimostrato attivo interesse all’opera di rieducazione (Sez. 5, n. 2594 del 07/07/1993, dep. 04/09/1993, Chinellato, Rv. 195842).

La pena dell’ergastolo non è, dunque, condonabile in patte, ma soltanto, per eventuale volontà del legislatore, in toto ovvero, sempre in forza della medesima volontà, convertibile in pena di altra specie, di guisa che ad essa non può essere applicato, in mancanza di una specifica norma, l’indulto previsto in via generale soltanto per le pene detentive temporanee (Sez. 1, n. 2128 del 22/03/2000, dep. 16/06/2000, Areniti, Rv. 216194).

E il D.P.R. n. 865 del 1986, D.P.R. n. 394 del 1990 e la L. n. 241 del 2006, su cui si fonda la domanda del ricorrente, non prevedono l’applicazione dell’Indulto alla pena dell’ergastolo (c.f.r., nello stesso senso, Sez. 1, n. 22760 del 22/05/2008, dep. 06/06/2008, Parla, Rv. 239886; Sez. 1, n. 35209 del 15/06/2007, dep. 20/09/2007, Andriotta, Rv. 237628).

Riguardo, poi, alla pena temporanea inflitta per il delitto previsto dall’art. 416 bis cod. pen., trattasi di reato ostativo all’applicazione dell’indulto ex D.P.R. n. 865 del 1986 ((art. 8, comma 1, lett. a), n. 18)), D.P.R. n. 394 del 1990, ((art. 3, comma 1, lett. a), n. 2)) e L. n. 241 del 2006 ((art. 1, comma 2, n. 11)).

Ne discende che non v’è spazio alcuno per la richiesta applicazione della fungibilità della pena espiata per reato diverso da quello punito con l’ergastolo, dopo la commissione di quest’ultimo, a norma dell’art. 657 c.p.p., commi 2 e 4, non essendo la pena per il reato diverso estinguibile in forza di indulto per le ragioni anzidette.

Il ricorso va, pertanto, rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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