Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 10-06-2011) 10-11-2011, n. 40937 Fabbricazione e commercio non autorizzati

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza pronunciata il 22 settembre 2010 e depositata il successivo 30 settembre la Corte di appello di Catania, in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Caltagirone il 28 giugno 2000, ha concesso a T.M. il beneficio della sospensione condizionale della pena, confermando la sua condanna alla pena di mesi nove di reclusione, con le circostanze attenuanti generiche, per i reati previsti dalla L. n. 895 del 1967, artt. 2 e 7 con succ. mod. (capo A), e dalla L. n. 110 del 1975, art. 23, commi 1 e 3, (capo B), unificati col vincolo della continuazione, avendo il T. illegalmente detenuto, in (OMISSIS), un’arma comune da sparo, calibro 380, Smith & Wesson revolver, modello Perfected, su cui era rullata la scritta National Arms Co.

N.Y. USA priva di punzoni e di marchi di prova prescritti dall’art. 11" della suddetta L. n. 110 del 1975.

Respingendo il primo motivo del proposto gravame, che contestava la ritenuta clandestinità dell’arma di fabbricazione statunitense, la Corte d’appello ha spiegato che essa, rinvenuta nell’abitazione dell’imputato e nella sua esclusiva disponibilità, pur recando un numero di matricola, avrebbe dovuto altresì presentare, secondo il chiaro disposto della legge italiana in materia, la punzonatura e l’apposizione del marchio di prova, la cui mancanza era sufficiente a determinarne la clandestinità, integrata anche dalla parziale assenza o alterazione dei segni identificativi richiesti dalla L. n. 110 del 1975, art. 11 cit., restando irrilevante la possibilità di ricostruire gli elementi mancanti attraverso procedimenti scientifici e la circostanza che essi non fossero necessari per la legislazione del luogo di produzione dell’arma, ricadendo sull’importatore l’obbligo di regolarizzare il revolver secondo la disciplina italiana, dotandolo dei contrassegni richiesti.

2. Avverso la predetta sentenza il T., tramite i suo difensore, avvocato Antonio Fiumefreddo del foro di Catania, ha proposto ricorso per cassazione deducendo due motivi di gravame.

2.1. Con il primo motivo il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), la violazione della L. n. 110 del 1975, artt. 23 e 11.

Assume il ricorrente che l’arma non avrebbe dovuto essere qualificata come clandestina, poichè solo la mancanza dei numeri, dei contrassegni e delle sigle, di cui alla L. n. 110 del 1975, art. 11, comma 1, in quanto impedisce l’identificazione della provenienza dell’arma, determinerebbe la sua clandestinità a norma dell’art. 23, comma 1, n. 2, della stessa legge; mentre la contestata assenza dei punzoni e dei marchi di prova, di cui al medesimo art. 11, comma 2, implicando esclusivamente il mancato accertamento della funzionalità dell’arma e non incidendo, quindi, sulla sua identificazione, non può comportarne la clandestinità, in contrasto con il significato delle parole e l’Intenzione del legislatore nonchè con una interpretazione sistematica della normativa in materia.

2.2. Con il secondo motivo il ricorrente assume, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione della sentenza in relazione alle disposizioni di cui alla L. n. 110 del 1975, artt. 23 e 11.

La Corte distrettuale sarebbe incorsa in una palese contraddizione per avere, da un lato, affermato che costituisce "arma clandestina" quella in cui manchi (o risulti alterato) alcuno dei segni identificativi richiesti dalla normativa italiana alla L. n. 110 del 1975, art. 11, ovvero il marchio del produttore, la sigla e il numero di matricola, e, dall’altro lato, qualificato l’arma in contestazione come clandestina solo perchè, pur recando un numero di matricola, era carente della punzonatura e dell’apposizione del marchio di prova, trattandosi di elementi, quest’ultimi, non integranti i necessari dati identificativi come specificati dalla stessa Corte di merito.

Il ricorrente ha chiesto, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata limitatamente alla condanna per il delitto previsto dalla L. n. 110 del 1975, art. 23.

Motivi della decisione

3. Va premesso che, risalendo i fatti contestati al (OMISSIS), ai sensi della L. 5 dicembre 2005, n. 251, art. 10, comma 3, si applicano i termini di prescrizione indicati nei testi previgenti dell’art. 157 c.p., comma 1, n. 3, e art. 160, u.c., rispettivamente di durata decennale e quindicinale, poichè, alla data di entrata in vigore della predetta L. n. 251 del 2005, il processo era già pendente in grado di appello.

3.1. Ciò posto, il primo motivo di ricorso è infondato.

Decidendo un caso analogo a quello in esame, questa Corte ha già affermato che la questione se l’arma prodotta all’estero rechi o meno tutti i segni distintivi, idonei a identificarla, va affrontata e risolta attraverso una approfondita disamina delle norme in materia e, in particolare, di quelle di cui alla L. 18 aprile 1975, n. 110, artt. 11 e 23, nei testi vigenti al tempo dei fatti contestati e tuttora (la nuova formulazione dell’art. 11, comma 1, e art. 23, comma 2, legge cit., più rigorosa sul piano prescrittivo e sanzionatorio, di cui al D.Lgs. 26 ottobre 2010, n. 204, recante attuazione della direttiva 2008/51/CE, che modifica la direttiva 91/477/CEE relativa al controllo dell’acquisizione e della detenzione delle armi, entrerà in vigore dal 1 luglio 2011).

Nel precisare quali armi (comuni da sparo) siano da considerare clandestine, l’art. 23 della suddetta legge indica, al n. 2 del comma 1, "le armi comuni e le canne sprovviste dei numeri, dei contrassegni e delle sigle di cui al precedente art. 11". Già da un primo esame di tale disposizione appare evidente che la elencazione degli elementi di identificazione non è fatta in termini di alternatività, nel senso cioè che, per escludere il carattere di clandestinità dell’arma, sia sufficiente la presenza di uno o più dei suddetti elementi, ma è fatta in termini di compresenzialità, nel senso che l’arma è regolare solo quando sia riscontrata la presenza di tutti i segni richiesti dalla legge, e cioè dei numeri, dei contrassegni e delle sigle specificati all’art. 11, per cui basta l’assenza di uno di tali elementi perchè l’arma sia da considerare clandestina.

Il citato art. 11 prevede, a sua volta, una regolamentazione parzialmente differenziata a seconda che si tratti di armi prodotte nello Stato (commi 1 e 2), ovvero di armi prodotte all’estero o importate dall’estero (commi 3, 4, 5 e 6).

Per quelle prodotte in Italia, è prescritta l’apposizione, in modo indelebile, ed a cura del produttore, della sigla o del marchio (si intende dello stesso produttore) idonei a identificare le armi, nonchè del numero di iscrizione del prototipo nel catalogo nazionale e del numero progressivo di matricola. Inoltre le stesse devono recare uno speciale contrassegno (con l’emblema della Repubblica Italiana e la sigla di identificazione del Banco nazionale di prova di Gardone Val Trompia o di una sua sezione), che serve come attestazione che si è proceduto ad accertare la presenza delle tre indicazioni sopra specificate.

Gli elementi richiesti sono pertanto quattro: sigla (o marchio) del produttore, numero di iscrizione nel catalogo nazionale delle armi, numero progressivo di matricola e speciale contrassegno del Banco nazionale di prova.

Per quelle prodotte all’estero, recanti i punzoni di prova di uno dei banchi riconosciuti in Italia, non è necessario quest’ultimo speciale contrassegno quando rechino gli altri tre elementi di cui sopra. Le condizioni richieste dalla legge perchè le armi prodotte all’estero siano considerate regolari sono, quindi, due: che rechino i punzoni di prova e che siano munite degli altri tre elementi sopra specificati.

Grava sull’importatore l’obbligo di curare i necessari adempimenti, qualora manchi anche uno solo dei quattro segni distintivi di cui sopra che verrà apposto dal Banco Nazionale di prova su richiesta motivata dell’avente diritto, vistata dall’ufficio locale di pubblica sicurezza.

Come si vede, si tratta di un insieme di disposizioni precise e non derogabili, che sono dettate allo scopo di sottoporre a costante controllo tutte le armi comuni da sparo e di procedere alla pronta identificazione, oltre che del produttore, del modello (o tipo) e del numero di matricola della singola arma (Sez. 1, n. 2230 del 17/03/1999, dep. 21/04/1999, Ponzio, Rv. 213059; conforme: Sez. 1, n. 5404 del 11/12/2000, dep. 08/02/2001, D’Addio Rv. 217783).

Nella specie risulta che l’arma sequestrata, identificata nella relazione della polizia scientifica di Catania come "un revolver con chiusura a T, copia di una vecchia arma prodotta dalla Smith & Wesson, modello Perfect, recante la data impressa di fabbricazione del 10 ottobre 1921", e, perciò, soggetta alle prescrizioni di cui alla predetta L. n. 110 del 1975, art. 11, commi 7 e 8, cit.

(conforme: Sez. 1, sentenza n. 25118 del 9/06/2010, Rv. 247712), presentava il numero di matricola originario, ma era sprovvista degli altri elementi identificativi e, in particolare dei punzoni di prova e dei contrassegni prescritti, idonei a verificarne compiutamente i requisiti, e non solo ad accertarne la funzionalità, come erroneamente sostenuto dal ricorrente.

Il revolver in questione, pertanto, è stato correttamente ritenuto dai giudici del doppio grado del giudizio di merito come arma "clandestina" nei sensi di cui alla L. n. 110 del 1975, artt. 11 e 23 cit..

3.2. Parimenti infondato è il secondo motivo di gravame che deduce il vizio di motivazione della sentenza impugnata, la quale, invece, richiama e applica in modo ineccepibile i principi sopra enunciati.

4. Il ricorso deve essere, quindi, rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali, ai sensi dell’art. 616 c.p.p..

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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