Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 18-05-2011) 10-11-2011, n. 40898

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Il Tribunale di Roma, con sentenza 15/12/2006, dichiarava – tra l’altro – F.F., B.F. e A. C. colpevoli dei reati così come di seguito rispettivamente addebitati e, in concorso delle circostanze attenuanti generiche e previa unificazione degli illeciti a ciascuno ascritti sotto il vincolo della continuazione, li condannava a pena ritenuta di giustizia, parzialmente condonata per i primi due, ai sensi della L. n. 241 del 2006, e con i benefici della sospensione condizionale e della non menzione per il terzo:

F. e B.;

– capo A: artt. 110 e 317 cod. pen., perchè, in concorso tra loro, abusando della qualità di istruttori della Polizia Municipale di Roma e dei loro poteri, minacciando S.F., titolare di un’officina meccanica, di elevargli contravvenzione per violazione della normativa antinfortunistica, avevano indotto il predetto a corrispondere loro indebitamente la somma di L. 200.000 (in (OMISSIS));

– capo B: art. 81 cpv., art. 110, art. 317 cod. pen., perchè, in concorso tra loro, ponendo in essere, in più occasioni, la stessa condotta di cui al capo che precede in danno di E.A. M., che gestiva due esercizi commerciali (un bar e una pizzeria), avevano costretto costui, con la minaccia di elevare contravvenzioni per asserite violazioni della normativa igienico- sanitaria, a corrispondere loro settimanalmente – dapprima – la somma di lire 300.000 e – poi – quella di L. 500.000, per un ammontare complessivo di circa L. 18.700.000, nonchè a consegnare loro gratuitamente generi alimentari (in Roma fino al gennaio 2001);

B.;

– capo N: art. 319 cod. pen., perchè, nella qualità precisata, per non dare seguito ad un verbale di accertamento relativo all’installazione non autorizzata di un video poker all’interno dell’esercizio pubblico di L.O., aveva ricevuto da F.G. la somma contante di L. 500.000 (in Roma il 29/11/1999);

– capo O. art. 61, n. 2 e 9, art. 490 in rel. all’art. 476 cod. pen., perchè, al fine di commettere il reato di cui al capo che precede, aveva annullato o comunque soppresso il verbale di accertamento della violazione amministrativa commessa dalla L. (in (OMISSIS));

C.;

– capo F: artt. 110, 81 cpv., 61 n. 2 e 9, 490 (in rel. art. 476) e art. 479 cod. pen., perchè, nella qualità di comandante del 2^ Gruppo della Polizia Municipale di Roma, in concorso con altri, aveva distrutto o comunque soppresso la denunzia 9/1/2001 sporta da E. A. per gli episodi di concussione di cui era rimasto vittima, sostituendola con altra compilata successivamente (11/1/2001), che ridimensionava i fatti già esposti in precedenza e che veniva fatta falsamente apparire come presentata in data 9/1/2001 (in Roma l’11/1/2001);

– capo G: art. 61, n. 9 e 10, art. 611 cod. pen., perchè, nella qualità precisata, aveva minacciato l’istruttore direttivo P.S. di revocargli l’incarico di responsabile dell’area della Polizia stradale, per costringerlo a commettere il reato di cui al capo che precede (in (OMISSIS)).

2. A seguito di gravame proposto dagli imputati, la Corte d’Appello di Roma, con sentenza 20/10/2008, riformando in parte la decisione di primo grado, che confermava nel resto, dichiarava non doversi procedere nei confronti del B., in relazione ai reati di cui ai capi sub N e O, perchè estinti per prescrizione ed eliminava la pena ad essi riferibile (mesi sei di reclusione); dichiarava non doversi procedere anche nei confronti del C., in relazione ai reati come innanzi addebitatigli, perchè estinti per prescrizione.

Il Giudice distrettuale sottolineava, con riferimento ai reati dichiarati estinti per prescrizione, che non ricorrevano i presupposti di operatività della disposizione di cui al capoverso dell’art. 129 cod. proc. pen., per una pronuncia assolutoria di merito degli imputati.

La prova della responsabilità del B. in ordine ai reati di corruzione e di falso per soppressione di cui ai capi N e O era integrata, infatti, dalle attendibili dichiarazioni, anche autoaccusatorie, del corruttore F.G., riscontrate dalle testimonianze della L., del m.llo G. e del vigile R..

I reati di falso per soppressione, falso ideologico e minaccia per costringere a commettere un reato di cui ai capi F e G ascritti al C. erano provati dai convergenti contributi dichiarativi del P., della L., della C. e del B., nonchè dalla documentazione acquisita. Detti illeciti, secondo la ricostruzione dei giudici di merito, erano stati ispirati dall’esigenza di mascherare il notevole ritardo col quale erano stati segnalati all’Autorità Giudiziaria gli episodi di concussione, già noti da tempo, posti in essere dai vigili F. e B. e di allontanare quindi il sospetto, a tutela del buon nome del Gruppo di Polizia Municipale diretto dall’imputato, di avere voluto offrire una qualche "copertura" ai concussori.

Quanto ai reati di concussione di cui ai capi A e B addebitati congiuntamente al F. e al B., la Corte territoriale riteneva che la prova della colpevolezza degli imputati era offerta dalle attendibili, precise e coerenti testimonianze dirette del S., di E.A.M. e dei dipendenti di quest’ultimo, nonchè dalle dichiarazioni de relato dei vigili B. e L., ai quali E.A. aveva manifestato tutta la sua disperazione per i taglieggiamenti subiti, e dal dato oggettivo che i due imputati, per loro stessa ammissione, si erano effettivamente recati, l’11/3/1999, presso l’officina del S. ed avevano effettuato controlli ripetuti, ravvicinati (a distanza di 10-15 giorni l’uno dall’altro) e non oggettivamente giustificati presso gli esercizi commerciali gestiti da E. A.. Sottolineava la Corte di merito che la condotta degli imputati, in quanto concretizzatasi in una forte pressione, dal significato inequivoco, sulle vittime, sì da determinarne lo stato di "resa" di fronte all’Autorità, integrava la contesta concussione e non, come sollecitato dalla difesa, il meno grave reato di corruzione, che presuppone un rapporto sinallagmatico e paritario tra le parti coinvolte. Riteneva, infine, che la misura della pena inflitta era proporzionata alla gravità dei fatti e alla reiterazione degli stessi nel tempo.

3. Hanno proposto ricorso per cassazione gli imputati: il F. e il B. tramite i rispettivi difensori; il C. con atto sottoscritto personalmente.

I primi due imputati, ribadendo quanto già dedotto in sede di appello, censurano la sentenza di merito per erronea applicazione della legge penale, con riferimento alla qualificazione giuridica dei fatti contestati, che dovevano essere inquadrati nel paradigma dell’art. 319 cod. pen., considerato che non avevano posto in essere alcun abuso della qualità o dei poteri per indurre o costringere i soggetti privati alle indebite dazioni, ma era intervenuto tra le parti, all’esito di una libera contrattazione, un accordo dal quale avevano tratto vantaggio gli stessi privati per la disponibilità dei pubblici ufficiali a porre in essere atti contrari a propri doveri d’ufficio (omessa contestazione di contravvenzioni legittime).

Il F. deduce, altresì, la mancanza di motivazione su un punto decisivo, idoneo a dimostrare l’insussistenza dei fatti di cui al capo B per l’assoluta inattendibilità delle dichiarazioni rese al riguardo da E.A.: costui, nel periodo compreso tra il (OMISSIS), aveva regolarmente pagato numerosissime contravvenzioni contestategli per importi rilevanti, circostanza questa che si poneva in aperta contraddizione con la prospettata ipotesi accusatoria della concussione, finalizzata proprio ad evitare il pagamento di tali contravvenzioni.

Il C. lamenta la violazione dell’art. 129 cod. proc. pen., comma 2, e il vizio di motivazione, per non essere stato assolto con formula ampia di merito, difettando in atti la prova della sua colpevolezza.

4.1 ricorsi, al limite dell3ammissibilità, sono infondati e devono essere rigettati. Seguendo un ordine di priorità logica nell’analisi e nella valutazione dei motivi articolati, devesi riassuntivamente osservare quanto segue.

4.1. Non ha pregio la doglianza con la quale il F. denuncia il vizio di motivazione del formulato giudizio di responsabilità in ordine alla concussione in danno di E.A. (capo B), la cui testimonianza, quale fonte principale di prova, sarebbe inattendibile, perchè contraddetta dal dato oggettivo del pagamento da parte del predetto di numerose violazioni amministrative, regolarmente contestategli dai vigili F. e B..

Sul punto, la sentenza in verifica, non ignorando tale circostanza oggettiva, evidenzia, con valutazione in fatto immune da vizi logici e, quindi, non censurabile sotto il profilo della legittimità, che la frequente cadenza dei controlli presso gli esercizi commerciali di E.A.M. era funzionale a determinare in costui, per la forte pressione psicologica su di lui esercitata, uno stato di soggezione e di notevole disagio, sì da indurlo, per arginare le conseguenze dannose prospettategli con impressionante sistematicità, alle indebite dazioni;

4.2. Privo di fondamento è anche il motivo, comune al F. e al B., col quale si deduce l’erronea qualificazione giuridica dei fatti di cui ai capi sub A e B. La sentenza impugnata correttamente inquadra tali fatti, per così come li ricostruisce, nel paradigma della concussione e non in quello meno grave della corruzione, considerato che la dinamica della condotta posta in essere dagli imputati si era concretizzata in un evidente squilibrio nei rapporti di forza tra le parti, determinato dagli atteggiamenti rivelatori della volontà prevaricatrice e aggressiva dei pubblici ufficiali in danno delle vittime designate, indotte a cedere alle pretese indebite dei primi, che avevano, nel perseguimento del loro obiettivo illecito, strumentalizzato i loro poteri.

Quanto all’episodio S., i profili di abuso dei pubblici ufficiali quale causa efficiente della condizione di assoggettamento psicologico del privato emergono chiaramente dalle seguenti circostanze di fatto: a) prospettazione quasi estemporanea da parte del B. al meccanico S. di violazioni alla normativa antinfortunistica e in materia di igiene, per le quali era prevista una sanzione pecuniaria a partire da L. 5.000.000 ("pè comincia sò cinque milioni"); b) atteggiamento d’intesa del B. con il collega F., al quale aveva ripetutamente chiesto: "che dobbiamo fare con il S.?"; c) il B., senza procedere alla redazione di alcun verbale, aveva reiteratamente rivolto al meccanico la domanda: "che vogliamo fare?";

d) il S., intuito il senso della situazione venutasi a determinare, da lui avvertita come ingiusta e gravemente pregiudizievole, aveva consegnato la somma di L. 200.000 nelle mani del B., dopo di che i due vigili si erano allontanati, senza contestare alcuna contravvenzione.

Analoghe connotazioni abusive sono ravvisabili nella condotta tenuta dai due pubblici ufficiali nei confronti di E.A.M., indotto anche costui alla "resa", dopo essere stato letteralmente vessato con una serie impressionante di controlli ravvicinati nel tempo, nel corso dei quali gli erano state contestate numerosissime contravvenzioni, che aveva provveduto a pagare; sintomaticamente dal momento in cui E.A., intuita la finalità del particolare rigore a lui riservato dai due vigili, si era determinato a corrispondere settimanalmente a costoro, non certo all’esito di una contrattazione paritaria, indebite somme di denaro erano cessati i controlli presso i suoi esercizi commerciali e la contestazione di contravvenzioni per lo più pretestuose; il peso delle pretese economiche, sempre più esose, dei due pubblici ufficiali aveva determinato nel soggetto privato, tenuto continuamente sotto scacco anche con la minaccia di un provvedimento di chiusura del locale, uno stato di profondo condizionamento psicologico.

Osserva la Corte che il criterio distintivo tra la corruzione e la concussione deve essere individuato nel diverso atteggiamento della volontà del privato che si rapporta al pubblico ufficiale: nella corruzione i concorrenti necessari (pubblico ufficiale e privato) trattano su livelli paritari e si accordano nel pactum sceleris, con convergenti manifestazioni di volontà; nella concussione non sussiste la par condicio contrattualis, perchè il dominus della situazione che si determina è il pubblico ufficiale, con la sua autorità e i suoi poteri, dei quali abusa, costringendo o inducendo il soggetto passivo a sottostare alla ingiusta richiesta, perchè necessitato da una condizione di soggezione che non offre alternativa diversa dalla resa. La struttura della concussione evoca una sorta di aggressione del pubblico ufficiale contro il privato; nella corruzione invece si versa in una situazione di accordo sinallagmatico tra le parti e si è al di fuori dello stato di soggezione del privato rispetto alla forza prevaricatrice del pubblico funzionario.

E’ il caso di precisare che integra l’abuso di potere anche la minaccia da parte del pubblico ufficiale dell’esercizio di un potere legittimo, ma al fine di conseguire un fine illecito, quale certamente è l’ottenimento dell’indebito: la deviazione dell’esercizio del potere dalla sua causa tipica verso un obiettivo diverso ed estraneo agli interessi della Pubblica Amministrazione concreta l’abuso.

L’abuso di potere da parte del pubblico ufficiale determina nel soggetto passivo, come conseguenza, uno stato d’animo tale da porlo in posizione di soggezione rispetto al primo, condizione questa che costituisce la premessa dell’atto dispositivo indotto e costituito dalla dazione del concusso.

Nella condotta addebitata agli imputati, per così come ricostruita in sede di merito sulla base delle emergenze processuali, sono riscontrabili gli elementi strutturali della concussione a cui innanzi si è fatto cenno.

4.3. Infondata è la doglianza dedotta dal ricorrente C., considerato che la sentenza di merito, nel dichiarare l’estinzione del reato per prescrizione, da conto, in maniera adeguata e logica, delle ragioni per le quali non può trovare operatività, nel caso in esame, la disposizione di cui al capoverso dell’art. 129 cod. proc. pen.. D’altra parte, lo stesso ricorrente, nel contestare l’attendibilità delle dichiarazioni accusatorie rese dal P., alle quali la Corte di merito attribuisce decisiva valenza, lamenta l’omessa rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale finalizzata ad approfondire questo specifico aspetto, il che, di per sè, si pone in contrasto con l’obbligo del giudice, di fronte all’intervenuta causa estintiva del reato, di dichiararla immediatamente senza dare corso ad ulteriori accertamenti.

5. Al rigetto dei ricorsi, consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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