Cons. Giust. Amm. Sic., Sent., 15-12-2011, n. 1014 Atti amministrativi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1) – Con l’appello in epigrafe, il Comune di Trecastagni ha chiesto l’annullamento della sentenza n. 1592 con cui il T.A.R. della Sicilia, sede di Palermo ha respinto il ricorso proposto avverso:

a) – la deliberazione della Giunta regionale n. 176 del 27 giugno 2000, di revoca della precedente deliberazione della stessa Giunta n. 228 del 19 agosto 1999, concernente l’assegnazione al Comune di un finanziamento di Lire 6.000.000.000 per la realizzazione di opere pubbliche;

b) – la nota dell’Assessorato LL.PP., prot. n. 1360, del 23 giugno 2000 e relativi allegati;

c) – la deliberazione della Giunta regionale n. 177 del 27 giugno 2000, di revoca della precedente deliberazione della stessa Giunta n. 374/1999 e di rimodulazione di una seconda tranche di fondi, con conferma della revoca di finanziamento di Lire 6.000.000.000 precedentemente assegnato al Comune.

2) – Si sono costituiti in giudizio la Giunta regionale di Governo e l’Assessorato regionale ai lavori pubblici, nonché il Comune di Palermo.

L’Avvocatura distrettuale dello Stato di Palermo ha controdedotto ai motivi di censura, concludendo per la reiezione dell’appello.

3) – Alla pubblica udienza del 13 luglio 2011, l’appello è stato trattenuto in decisione.

4) – L’appellante ha dedotto, in primo luogo, le censure di travisamento degli atti di causa e di omessa denuncia su decisioni sopravvenute e sui relativi effetti.

L’appellante ha rappresentato che, con le sue memorie, aveva segnalato al T.A.R. che le sentenze n. 1653/2000 e n. 1654/2000, con le quali era stata annullata la deliberazione della Giunta regionale n. 228/1999 (di assegnazione del suddetto finanziamento) erano state a loro volta annullate da questo Consiglio con le sentenze n. 605/2001 e n. 603/2001, che avevano disposto la riassunzione dei giudizi avanti lo stesso T.A.R. per l’emanazione di nuove decisioni di merito, previa integrazione del contraddittorio; che detti giudizi, regolarmente riassunti, erano stati dichiarati improcedibili dallo stesso T.A.R. con sentenze n. 1661/2002 e n. 1662/2002 e che l’intervento delle suddette pronunce aveva determinato la reviviscenza della deliberazione della Giunta regionale n. 228/1999; che i giudici di primo grado hanno, peraltro, travisato gli atti di causa, ritenendo che la summenzionata segnalazione costituisse un nuovo motivo d’impugnazione, come tale inammissibile.

Il motivo di appello è infondato.

Non v’è dubbio, infatti, che la summenzionata "segnalazione" costituiva, in realtà, un nuovo motivo di censura che doveva essere introdotto in controversia nelle forme di rito, ossia attraverso un atto notificato alla controparte.

5) – Con il secondo motivo l’appellante sostiene che la Giunta regionale, con le deliberazioni n. 176 e 177 del 2000, aveva revocato gli atti emanati in precedenza e i finanziamenti già assegnati, il che imponeva il rispetto delle garanzie procedimentali di cui all’art. 7 e seguenti della legge n. 241/1990.

Il motivo di appello è infondato.

Nella specie la revoca del finanziamento costituiva attività doverosa di esecuzione dell’ordinanza del T.A.R. n. 1878/1999 e della successiva sentenza n. 1653/2000, sicché non v’era l’obbligo dell’intervento dei soggetti interessati nel procedimento.

Secondo un diffuso e prevalente orientamento giurisprudenziale (cfr. C.d.S., sez. IV, 30 settembre 2002, n. 5003 e sez. VI, 23 marzo 2009, n. 1724), la comunicazione di avvio del procedimento diventa superflua quando l’adozione del provvedimento finale è doverosa, oltre che vincolata per l’Amministrazione; i presupposti fattuali dell’atto risultano assolutamente incontestati dalle parti; il quadro normativo di riferimento non presenta margini di incertezza sufficientemente apprezzabili; l’eventuale annullamento del provvedimento finale per accertata violazione dell’obbligo formale di comunicazione non priverebbe l’Amministrazione del potere (o addirittura del dovere) di adottare un nuovo provvedimento di identico contenuto, anche in relazione alla decorrenza dei suoi effetti giuridici.

6) – Con il terzo motivo di appello si ripropone la censura di illegittimità delle deliberazioni regionali per difetto di motivazione.

Il motivo di appello è infondato, perché non tiene conto che i provvedimenti di revoca avevano indicato in modo esaustivo le ragioni, connesse ai provvedimenti giurisdizionali del T.A.R., che imponevano la rimodulazione dell’insieme dei finanziamenti.

7) – Con il quarto motivo di appello si sostiene che la riassegnazione dei fondi andava fatta tra gli stessi Enti che ne erano stati gli originari beneficiari.

Il motivo di appello è infondato.

Una volta che il precedente finanziamento era stato revocato e che l’Amministrazione aveva espresso la volontà di finanziare le opere immediatamente cantierabili e i progetti immediatamente esecutivi, il criterio di sovvenzionare enti diversi da quelli considerati nei provvedimenti revocati non collide con alcun parametro normativo e, quindi, deve ritenersi legittimo.

8) – Con il quinto motivo di appello si reitera la censura dedotta avverso la deliberazione della Giunta regionale n. 177/2000.

Si sostiene, in particolare, che l’ordinanza cautelare n. 1878/199, nel sospendere l’efficacia della deliberazione n. 228/1999, esplicava i suoi effetti solamente nei confronti del ricorrente Comune di Palermo.

Il motivo di appello è infondato perché la delibera n. 228 del 1999 concerne l’approvazione del programma di rilocalizzazione degli interventi di edilizia residenziale pubblica riferiti al quadriennio 1992/1995, nonché il programma di interventi riguardanti sia i fondi relativi al triennio 1996/1998 sia le maggiori entrate ex GESCAL relative al 1995.

Non ha quindi, rilievo la circostanza che il contenzioso fosse stato attivato da uno soltanto degli enti contemplati nella suddetta delibera n. 228.

9) – Con l’ultimo motivo di appello si sostiene che la decisione di condannare il Comune appellante al pagamento delle spese di giudizio è erronea, tenuto conto della sussistenza nella controversia di questioni particolarmente complesse anche sotto il profilo giuridico.

Il motivo di appello è infondato.

Il giudice amministrativo ha ampi poteri discrezionali in ordine al riconoscimento, sul piano equitativo, dei giusti motivi per far luogo alla compensazione delle spese giudiziali ovvero per escluderla, con il solo limite, in pratica, che non può condannare alle spese la parte risultata vittoriosa in giudizio, ovvero disporre una condanna in misura abnorme (cfr., di recente, C.d.S., sez. VI, 9 febbraio 2011, n. 892).

Nel caso di specie, tale discrezionalità è stata esercitata in modo corretto e consequenziale alla soccombenza affermata dal giudice di primo grado.

10) – In conclusione, per le suesposte considerazioni, l’appello deve essere respinto.

Ogni altro motivo o eccezione può essere assorbito in quanto ininfluente o irrilevante ai fini della decisione.

Circa le spese e gli onorari di questo grado del giudizio, si ravvisano giustificati motivi per compensarli tra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana in sede giurisdizionale, definitivamente pronunciando, respinge l’appello in epigrafe;

Compensa tra le parti le spese, le competenze e gli onorari di questo grado del giudizio.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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