Cons. Giust. Amm. Sic., Sent., 15-12-2011, n. 1013 Procedimento e punizioni disciplinari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

L’appello è rivolto contro la decisione n. 2015/2007 con la quale il TAR di Palermo ha respinto il ricorso proposto dal sig. Pi.Co., maresciallo della Guardia di Finanza, avverso la determina del Comando generale della Guardia di Finanza dell’11.3.2004, con la quale gli è stata inflitta la sospensione disciplinare dall’impiego per la durata di mesi sei (a decorrere dal 12.4.2004 sino al 12.9.2004), nonché di tutti gli atti e provvedimenti connessi.

La vicenda trae origine dall’imputazione al mar. Co. del reato di cui all’art. 615 ter c.p., per essersi egli abusivamente introdotto nel sistema informativo del C.E.D. del Ministero dell’Interno – Dipartimento della Pubblica Sicurezza, al fine di ottenere informazioni per fini meramente privati. Imputazione a seguito della quale era derivato infatti anche un procedimento disciplinare (avviato con foglio n. 49610/P/4 del 13.5.2002), concluso con l’irrogazione della sanzione della sospensione dall’impiego per sei mesi. Contro tale provvedimento disciplinare il Co. aveva proposto ricorso, chiedendone l’annullamento in sede giurisdizionale. Lamentava di non essere stato messo nelle condizioni di partecipare al procedimento e di non avere perciò potuto regolarmente esercitare il proprio diritto di difesa. Ciò a causa della mancata considerazione da parte della Amministrazione delle infermità allegate, che avrebbero precluso la sua partecipazione al procedimento.

Il TAR adito, con ordinanza n. 1562 del 10.12.2002, sospendeva l’efficacia del provvedimento impugnato di sospensione dall’impiego, tenuto conto che "…lo svolgimento del giudizio disciplinare, in concreto, non ha consentito il pieno esplicarsi del diritto di difesa del ricorrente".

Nelle more della definizione del merito del ricorso, l’Amministrazione annullava in autotutela gli atti del predetto procedimento disciplinare, a partire dalla determinazione n. 70210 del 23.7.2002, con la quale il maresciallo Co. era stato deferito alla Commissione di disciplina. Per effetto di ciò, il TAR dichiarava poi, con sentenza n. 27/2004, la cessazione della materia del contendere.

Prima di tale decisione giurisdizionale, l’Amministrazione aveva tuttavia riavviato, nel settembre 2003, il procedimento disciplinare deferendo il Co. ad una nuova commissione di disciplina. Avverso i relativi provvedimenti, il Co. proponeva perciò nuovo ricorso, deducendo i vizi di violazione di legge ed eccesso di potere per disparità di trattamento, ingiustizia, illogicità e sviamento e di violazione del diritto di difesa, quali concretati dalla riassunzione del precedente procedimento disciplinare a partire dall’atto conclusivo dell’inchiesta formale. A giudizio del Co., l’Amministrazione avrebbe dovuto annullare l’intera procedura (anche dunque la fase inquirente della stessa), in quanto anch’essa (anzi, innanzitutto essa) svolta in violazione dei diritti di difesa e partecipazione, sostenendo conseguentemente l’illegittimità derivata di tutta la procedura, poi conclusasi con la irrogazione della sanzione disciplinare a lui inflitta ed oggetto del secondo ricorso proposto. Il ricorrente adduceva l’illegittimità del procedimento sanzionatorio anche sotto il profilo del superamento dei termini massimi di 270 giorni (che il ricorrente fa decorrere dal 22.1.2002, data in cui l’amministrazione ha avuto notizia della sentenza della Corte di Cassazione che ha dichiarato inammissibile il ricorso del Co. avverso la sentenza di condanna dello stesso pronunciata della Corte d’Appello).

Con successivo ricorso per motivi aggiunti, il Co. proponeva poi all’attenzione del Giudice la circostanza che dalle indagini in sede penale sarebbero emersi elementi che avrebbero fatto emergere come la condotta a lui imputata sarebbe priva di alcuna rilevanza disciplinare, in quanto egli avrebbe agito a tutela della propria onorabilità e adduceva ancora anche il fatto che dal verbale della commissione di disciplina relativo al giudizio sulla meritevolezza di mantenere il grado sarebbe risultata confermata la legittimità del suo operato (essendo emerso che egli era abilitato in modo permanente ad acquisire informazioni – anche di iniziativa – dai terminali del C.E.D.), con i conseguenti vizi di difetto di presupposti e travisamento dei fatti del provvedimento disciplinare impugnato. Il TAR ha respinto il ricorso del Co.

Ha ritenuto in particolare il Giudice che con "l’intervenuto annullamento in sede di autotutela degli atti del predetto procedimento sanzionatorio, l’amministrazione resistente ha rinnovato il predetto procedimento (nominando, peraltro, un nuovo organo collegiale e fissando la prima riunione per il giorno 11.02.2004), dandone comunicazione all’interessato (nota prot n. 1485/P del 20.01.2004), il quale ha espressamente manifestato la volontà di non partecipare al procedimento riassunto (cfr. nota del 29.01.2004, allegato n. 51 della produzione documentale di parte ricorrente) a causa di una "impossibilità oggettiva" non documentata e ricondotta esclusivamente ai presunti vizi della precedente procedura". Ed ha perciò ritenute infondate le argomentazioni con le quali il ricorrente ha prospettato la lesione del proprio diritto di difesa e concluso che lo stesso debba ritenersi avere "aprioristicamente rinunziato a partecipare alla nuova fase procedurale che gli avrebbe consentito di svolgere tutte le argomentazioni, giustificazioni e difese che gli erano state precluse nel precedente procedimento, tenuto anche conto che l’unica certificazione medica prodotta dal ricorrente, in questa fase, risale ad epoca posteriore (19.03.2004) alla convocazione della commissione di disciplina". Ha ritenuto inoltre lo stesso Giudice infondate anche le censure prospettate avverso la presunta illegittimità della sospensione del procedimento a seguito dell’annullamento in autotutela della sanzione della sospensione dal servizio e del mancato rispetto dei termini di legge per la riassunzione del procedimento disciplinare, con conseguente tardività della sanzione irrogata. E ha ritenuto infine, da un lato, inconferenti le argomentazioni volte a dimostrare la correttezza dell’operato del ricorrente in relazione alla condotta penalmente accertata posta a base della contestazione degli addebiti, giacché esse avrebbero dovuto, semmai, essere fornite all’Amministrazione in sede di riapertura del procedimento disciplinare; dall’altro prive di rilevanza "scriminante" le valutazioni della commissione di disciplina espresse in relazione alla determinazione di far conservare il grado al ricorrente. Ha ritenuto pertanto conclusivamente, il TAR che "il provvedimento disciplinare resiste alle censure mosse da parte ricorrente, poiché esso risulta adeguatamente motivato e proporzionato in relazione alla gravità dei fatti commessi e degli addebiti contestati".

Contro tale decisione propone appello il Co., che ne invoca l’annullamento per gli asseriti errori di valutazione dei fatti ed interpretazione delle norme ed i conseguenti difetti di motivazione nei quali il Giudice di prime cure sarebbe incorso.

Venuta la causa alla pubblica udienza del 24 giugno 2009, questo Consiglio ha, con ordinanza interlocutoria n. 917/09, ritenuto necessario acquisire agli atti la determinazione del Comando regionale della Sicilia della Guardia di Finanza 23 luglio 2002, n. 70210, ponendo l’onere della produzione a carico del Comando regionale della Guardia di Finanza.

Con comunicazione del 28 ottobre 2009, il Comando sollecitato ha ottemperato alla ordinanza, trasmettendo il provvedimento richiesto.

Motivi della decisione

L’appello va accolto.

Con il primo motivo di ricorso, l’appellante lamenta la mancata considerazione da parte del TAR del comportamento contraddittorio dell’Amministrazione che, da un lato (anche per effetto indiretto dell’impulso costituito dalla motivazione della ordinanza di sospensione del primo provvedimento disciplinare irrogato: ordinanza del TAR di Palermo n. 1562/2002), ha ritenuto necessario annullare in autotutela il provvedimento impugnato, dall’altro ha ritenuto tuttavia di rinnovare il procedimento disciplinare, ma facendo salva (vedi provvedimento ora in atti n. 72010 del 23 luglio 2002) la fase istruttoria dello stesso.

La censura va accolta.

Il procedimento disciplinare in oggetto è regolato dagli artt. 63 ss. della legge 31 luglio 1954 n. 599, in virtù del disposto dell’art. 1 della legge n. 260/1957, nonché dalle più puntuali prescrizioni contenute nella circolare n. 1 del 31 luglio 1993 del Comando generale della Guardia di Finanza.

Orbene, per effetto di tali disposizioni il procedimento si articola in due fasi. La prima di esse è costituita dalla "formale inchiesta", nel corso della quale sono contestati al sottufficiale gli addebiti con facoltà per lo stesso "di presentare le sue discolpe". La seconda – che la presuppone: art. 66 legge n. 599/1954 – consiste nel deferimento (la circostanza è alternativa alla proposta al Ministro di diretta irrogazione delle sanzioni, ove queste siano quelle specificamente previste dalle lettere a), b), c) dell’art. 63) del sottufficiale a Commissione di Disciplina da parte dell’"autorità militare che ha disposto l’inchiesta formale, qualora, in base alle risultanze dell’inchiesta, ritenga che al sottufficiale sia da infliggere una delle sanzioni…".

Non vi è dubbio dunque che la fase nella quale si raccolgono gli elementi per la incolpazione e si valutano le circostanze ai fini dell’eventuale deferimento a Commissione di Disciplina (che ne valuterà non la "esistenza", ma la "rilevanza") è quella istruttoria (a conclusione della quale la inchiesta è infatti, secondo l’esplicito linguaggio normativo, "chiusa"). E non vi è dubbio altresì che anche in tale fase il militare abbia "facoltà" (secondo il dettato della norma del 1954, che oggi andrebbe letto in conformità con la più intensa tutela voluta dalle attuali normative sulla trasparenza del procedimento amministrativo introdotte dalla legge n. 241/1990) di presentare le proprie discolpe.

E’ perciò con riferimento a questa prima fase che assumono massimamente rilievo le circostanze impeditive previste dalla ricordata circolare n. 1 del 1993 del Comando generale della Guardia di Finanza quali possibili cause di sospensione del procedimento, la cui valutazione, ai fini di una eventuale sospensione del medesimo, è infatti esplicitamente demandata (vedi pag. 162) all’"ufficiale inquirente" (all’organo al quale spetta appunto la conduzione di tale prima fase del procedimento). Appare perciò singolare constatare come l’Amministrazione, da un lato, abbia ritenuto che la mancata considerazione (in ipotesi anche solo sotto il profilo di una adeguata motivazione della loro irrilevanza) delle circostanze impeditive invocate rendesse necessario annullare in autotutela il procedimento; dall’altro abbia limitato tuttavia tale valutazione alla seconda fase soltanto dello stesso (quella cioè dinanzi alla Commissione di Disciplina), quando invece è proprio con riferimento alla prima fase che la denegata partecipazione assume un rilievo speciale (potendo influire in modo decisivo sulla formazione degli addebiti e dunque su quella che ne potrà essere successivamente la valutazione sotto il profilo della loro sanzionabilità). E’ in questa fase infatti che il militare sottoposto al procedimento può "presentare documenti, memorie, fare istanze per ulteriori indagini o per esame di persona, indicando i punti sui quali desidera effettuare ulteriori investigazioni o testimonianze" (pag. 167 ss. circolare n. 1/1993). Il comportamento dell’Amministrazione appare per altro tanto più ingiustificato, ove si considerino anche ulteriori elementi.

L’avvio della inchiesta era avvenuto il 30 maggio 2002, con invito a prendere visione degli atti per l’11 giugno successivo. Nella stessa nota (n. 12299/P) si "dà atto" che risulta sospeso – per le stesse patologie ora invocate per la sospensione del nuovo procedimento – un diverso procedimento disciplinare a carico del medesimo mar. Co., disposto il precedente 1 febbraio. Nessuna specifica motivazione accompagna la implicita (dal momento che non si accoglie la richiesta, pure menzionata: punto 3) opposta valutazione che l’ufficiale incaricato compie. E ciò benché il procedimento "sospeso" a febbraio sarebbe stato poi riaperto solo quasi due mesi dopo (il 18 luglio: determina n. 31394/P). Nel tempo prossimo alla chiusura dell’inchiesta formale (16 luglio 2002, nota n. 17693/P), il Co. risulta (5 luglio) ricoverato presso l’Ospedale Militare di Palermo (inviatovi per visita cardiologica dal Medico convenzionato addetto) e poi giudicato il 9 luglio dalla Commissione Medica di seconda istanza "non idoneo per giorni 60" e perciò bisognoso di 60 gg. di ulteriore convalescenza (rispetto a quella – di 40 gg. – già concessa il 5 giugno precedente). Dunque egli era – per valutazioni degli organi stessi della Amministrazione – in una condizione che avrebbe dovuto assumere rilievo ai fini della inchiesta, come sottolinea il dettato della circolare n. 1/1993 più volte richiamata, che esplicitamente considera, quale esempio di causa di incapacità transitoria che giustifica la sospensione del procedimento, la "convalescenza" (p. 162 circolare 1/1993).

Se dunque l’annullamento in autotutela aveva giustificazione – a giudizio dell’Amministrazione – con riferimento alla seconda fase del procedimento, a maggior ragione esso avrebbe dovuto essere ritenuto necessario con riferimento alla prima fase dello stesso (quello cioè dell’inchiesta formale). O, almeno, ove diversamente ritenuto (come in fatto accaduto), la determinazione avrebbe dovuto essere sorretta da una analitica e circostanziata motivazione che ne desse ragione. Il che è certamente mancato.

In conclusione, è vero che non tutti gli impedimenti genericamente adotti dall’incolpato impongono la sospensione del procedimento disciplinare, essendo interesse pubblico che lo stesso si concluda tempestivamente. Ma quando – come nel caso in esame – l’interessato certifichi specifici motivi di salute che gli precludono la partecipazione al procedimento l’Amministrazione ha il dovere di prenderli in considerazione e, ove non li ritenga effettivamente impedienti, di motivare espressamente al riguardo.

Non può pertanto condividersi la diversa valutazione del Giudice di prime cure, che ha ritenuto sufficiente ad assicurare le garanzie di difesa (poi non esercitate con la mancata partecipazione di fatto alla rinnovata fase del procedimento, avendo l’interessato "aprioristicamente rinunziato a partecipare alla nuova fase procedurale che gli avrebbe consentito di svolgere tutte le argomentazioni, giustificazioni e difese che gli erano state precluse nel precedente procedimento") l’intervenuto annullamento della seconda fase. Ciò che il primo Giudice ha omesso di considerare è che quella che egli considera una "aprioristica rinunzia" era, a parte ogni valutazione relativa alla giustificabilità del comportamento in cui si è sostanziata, un fatto irrilevante rispetto al vizio, per lo meno di motivazione, relativo al mancato annullamento anche della fase istruttoria del procedimento.

Per tali premesse, il motivo di ricorso qui esaminato va accolto, con conseguente travolgimento della decisione di primo grado, che va perciò annullata per tale assorbente ragione.

Ritiene altresì il Collegio che ogni altro motivo od eccezione di rito e di merito possa essere assorbito in quanto ininfluente ed irrilevante ai fini della presente decisione. Sussistono giustificate ragioni per compensare le spese del giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana in sede giurisdizionale, definitivamente pronunciando, accoglie l’appello, riforma la sentenza di primo grado e annulla gli atti impugnati. Spese del giudizio compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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