Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 16-05-2012, n. 7652 Lavoro subordinato

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 22.1.2010, la Corte di Appello di Roma respingeva l’appello proposto da M.M. avverso la pronunzia di primo grado di reiezione delle domande del predetto, intese all’accertamento della natura subordinata del rapporto intercorso con la Società Green Pizz Uno, dal 23.5.2000 al 3.12.2002, ed alla condanna alla corresponsione delle conseguenti differenze retributive, nonchè dell’impugnazione del licenziamento subito per cessazione dell’attività con decorrenza dal 15.12.2002.

Rilevava la Corte territoriale che anche all’esito dell’istruttoria svolta in grado di appello – istruttoria che il Tribunale aveva ritenuto superflua in quanto inidonea ad avvalorare gli assunti attorei sul presupposto dell’assoluta carenza del quadro allegatorio – non era stata raggiunta la prova della subordinazione giuridica.

Non poteva ritenersi che dalla deposizione della teste P. fosse emerso il pregnante e tendenzialmente infungibile vincolo di soggezione personale del M. ai poteri di direzione e disciplina del datore di lavoro, non essendo sufficienti a tal fine e per tale riscontro le generiche istruzioni ricevute da suo fratello, M. A., e dalla di lui moglie, B.S., i quali si recavano nel locale di ristorazione per lo più la sera e non tutti i giorni ed impartivano direttive su come apparecchiare ed arredare il locale.

Peraltro, secondo la Corte del merito, l’attendibilità della teste P. era inficiata dalla discordanza dell’orario di lavoro dalla stessa svolto quale indicato nella presente causa con quello dichiarato nel corso di altro giudizio intentato dalla stessa contro l’appellata e la cessionaria dell’azienda, laddove il teste Mi., commercialista della società, incaricato di curarne la parte amministrativa, che aveva escluso che il M. fosse vincolato all’osservanza di orari rigidi, non poteva essere sospettato di incapacità a testimoniare. L’intero contesto probatorio era tale da rendere compatibile il lavoro svolto con incarico remunerato di gestione e cura del locale, in vece e supporto del fratello A., con autonomia e discrezionalità. L’accertata inconfigurabilità di un rapporto di lavoro subordinato assorbiva ogni altra domanda.

Per la cassazione di tale decisione, propone ricorso il M., con quattro motivi, illustrati con memoria depositata ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Resiste con controricorso la società, che propone ricorso incidentale, affidato a due motivi, ulteriormente esposti nella memoria illustrativa.

Motivi della decisione

Va, preliminarmente, disposta la riunione dei giudizi, ai sensi dell’art. 335 c.p.c..

Con il primo motivo, il M. denunzia violazione di legge e falsa applicazione delle norme di cui agli artt. 2094, 2095 c.c. degli artt. 1, 3, 35, 36 e 46 Cost., dell’art. 2697 c.c., degli artt. 159 e 208 del c.c.n.l. di categoria del 6.10.1994, della L. n. 604 del 1966, artt. 3 e 5 ex art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè insufficiente motivazione, ex art. 360 c.p.c., n. 5.

Assume che la sentenza impugnata non ha conferito risalto ad elementi quali la continuità e durata dell’attività, la modalità di erogazione del compenso, la regolamentazione dell’orario, tenuto conto della loro rilevanza al cospetto di una prestazione semplice e routinaria quale quella svolta dal M., rilevando che l’assidua presenza del fratello e della moglie di quest’ultimo nel locale, l’assenza di mezzi autonomi in capo ad esso prestatore di lavoro, nonchè la circostanza che il rapporto di lavoro si era concluso con il licenziamento costituivano altrettanti elementi incompatibili con il riconoscimento della natura autonoma del rapporto. Aggiunge che anche la corresponsione di una retribuzione fissa, l’esclusione di percentuali e provvigioni in suo favore e l’assenza di rischio economico dovevano costituire elementi di valutazione, attesa la loro decisività ai fini di causa.

Con il secondo motivo di ricorso, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione di norme di diritto, in particolare dell’art. 246 c.p.c., artt. 100 e 157 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè l’insufficiente motivazione e contraddittorietà della stessa in relazione alle risultanze processuali, ex art. 360 c.p.c., n. 5, rilevando l’erroneità della decisione, laddove la Corte del merito non ha tenuto conto dell’eccepita incapacità a testimoniare del commercialista della società, che aveva la gestione amministrativa della società, e non ha considerato le contraddizioni emerse dalla deposizione di tale teste con carattere di decisività, che avrebbero condotto alla declaratoria della natura subordinata del rapporto.

Con il terzo motivo, il M. si duole, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, della insufficiente motivazione della sentenza e della mancata valutazione delle risultanze processuali, con riferimento, in specie, alla testimonianza della P. in ordine al carattere fisso della retribuzione, alle direttive ed al licenziamento intimato al ricorrente, ed all’omesso esame dei documenti in atti.

Con il quarto motivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, ascrive alla sentenza la violazione, ex art. 112 c.p.c., delle norme in tema di allegazione (non autorizzata) di documenti, nella specie versati in atti in sede di appello dalla difesa resistente, unitamente alle note difensive, osservando che erano stati acquisiti i verbali relativi ad altro giudizio intentato dalla teste P. nei confronti anche della società, in contrasto con il divieto di cui all’art. 437 c.p.c. e con il principio del contraddittorio.

Il ricorso principale è infondato.

Le censure avanzate con il primo motivo di ricorso si fondano sulla enunciazione degli indici rivelatori della sussistenza della subordinazione del M., senza spiegare quali siano gli errori di diritto commessi dal giudice del merito, ed il ricorrente valorizza elementi diversi da quelli considerati dalla Corte territoriale, per affermare il differente atteggiarsi del rapporto secondo lo schema della subordinazione. L’assunto secondo cui la sentenza non ha esaminato la portata di elementi sintomatici della subordinazione si concretizza, più che nella rilevazione di un vizio nella applicazione delle norme richiamate, nella rilevazione di un iter motivazionale incongruo per avere la Corte territoriale conferito scarsa significatività ad elementi ritenuti invece significativi, quali le direttive impartite al M. dal fratello e dalle moglie di quest’ultimo, che, invece, il giudice aveva ritenuto non decisivi, stante la saltuarietà della presenza degli stessi nei locali della società ove il primo esercitava la propria attività lavorativa e la marginalità delle indicazioni di massima date al ricorrente dai familiari. Analogamente ritiene il ricorrente che andasse valorizzata la deposizione resa dalla teste P., che, a suo dire, avrebbe fornito elementi a sostegno della natura subordinata del rapporto (quali l’orario osservato, il carattere fisso della retribuzione, etc.) laddove il giudice del gravame ha evidenziato elementi di contraddittorietà della detta deposizione idonei ad inficiarne la valenza probatoria piena. Non risulta che nel caso considerato siano stati individuati specifici vizi dell’iter logico e motivazionale in ordine alla valutazione della congerie di elementi presi in considerazione dalla Corte del merito, onde deve essere respinto il motivo nei termini in cui è stato formulato. Il motivo di ricorso per cassazione, con il quale la sentenza impugnata venga censurata per vizio della motivazione, non può, invero, essere inteso a far valere la rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito al diverso convincimento soggettivo della parte e, in particolare, non si può proporre con esso un preteso migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all’ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi del percorso formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi della disposizione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5); in caso contrario, questo motivo di ricorso si risolverebbe in una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito, e, perciò, in una richiesta diretta all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione. Al riguardo deve considerarsi che, nel giudizio di cassazione, la deduzione del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 non consente alla parte di censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendo alla stessa una sua diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione da parte del giudice di legittimità degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito. Le censure poste a fondamento del ricorso non possono, pertanto, risolversi nella sollecitazione di una lettura delle risultanze processuali diversa da quella operata dal giudice di merito, o investire la ricostruzione della fattispecie concreta, o riflettere un apprezzamento dei fatti e delle prove difforme da quello dato dal giudice di merito (cfr. Cass. 20.4.2006 n. 9233;

Cass. 30.3.2007 n. 7972).

Peraltro e conclusivamente, la censura mira a contestare la valutazione della prova e non l’applicazione di parametri della subordinazione non corrispondenti, e ciò è in contrasto con quanto ribadito in più occasioni da questa Corte, che ha affermato che la qualificazione giuridica del rapporto di lavoro effettuata dal giudice di merito è censurabile in sede di legittimità soltanto limitatamente alla scelta dei parametri normativi di individuazione della natura subordinata o autonoma del rapporto, mentre l’accertamento degli elementi, che rivelano l’effettiva presenza del parametro stesso nel caso concreto attraverso la valutazione delle risultanze processuali e che sono idonei a ricondurre le prestazioni ad uno dei modelli, costituisce apprezzamento di fatto che, se immune da vizi giuridici e adeguatamente motivato, resta insindacabile in Cassazione (v. Cass. 16681/2007).

Anche il secondo motivo di censura si palesa inidoneo a scalfire l’impianto motivazionale della pronunzia, atteso che correttamente, in presenza di eccezione formulata senza incorrere nella relativa decadenza, il giudice del gravame ha escluso l’incapacità a testimoniare del teste Mi. per la sola circostanza che lo stesso fosse amministratore della società, della quale curava, appunto, la gestione amministrativa. Al riguardo vale richiamare consolidato principio giurisprudenziale in forza del quale l’incapacità a testimoniare, ai sensi dell’art. 246 cod. proc. civ., è determinata soltanto da un interesse giuridico attuale e concreto, che legittimerebbe, ex art. 100 cod. proc. civ., la partecipazione del teste al giudizio, mentre la sussistenza di un interesse di mero fatto, idoneo ad influire sulla veridicità della testimonianza, attiene unicamente alla attendibilità del teste (cfr. Cass 13.4.2005 n. 7677). Nel caso considerato la Corte del merito ha in modo condivisibile ritenuto attendibile il teste menzionato, la cui attività, per il profilo della gestione amministrativa, si affiancava a quella di gestione del locale curata dal ricorrente in piena autonomia e senza rigidità di orari di lavoro che non fossero quelli connaturali al tipo di attività svolta.

Il terzo motivo riproduce doglianze attinenti al merito senza che nulla venga osservato in merito alla valutazione sull’attendibilità della teste P. compiuta dalla Corte del merito, che aveva conferito maggiore risalto ad altre risultanze proprio in ragione delle contraddizioni rilevate nella testimonianza resa dalla predetta con riguardo agli orari di lavoro riferiti e ad altre circostanze influenti sul giudizio di complessiva carenza degli indici della subordinazione.

Il giudice del gravame ha ritenuto indimostrata la tesi della eterodirezione della attività del ricorrente, con decisione immune da vizi motivazionali di carattere logico-giuridico, rilevando come la prova della sussistenza della subordinazione, pur non incompatibile con la posizione lavorativa assunta, dovesse essere supportata da elementi maggiormente probanti relativamente all’assoggettamento del lavoratore al potere direttivo, di controllo e disciplinare da parte della società.

Infine, anche il quarto motivo deve reputarsi inidoneo a denotare il vizio denunziato, attesa la non decisività ai fini della presente controversia del contenuto dei verbali relativi ad altro giudizio, ritenuti irritualmente acquisiti agli atti, in ragione del supporto motivazionale aggiuntivo fornito da tali documenti, rispetto al contenuto decisorio della sentenza già autonomamente sorretto da altre sufficienti ragioni.

Con il ricorso incidentale, la società censura la sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 184, 420 e 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, e per carenza e vizio di motivazione su un punto decisivo della controversia, prospettato dalle parti e comunque rilevabile d’ufficio, evidenziando come in limine litis era stato affermato dal giudice di primo grado che le prove fossero irrilevanti anche perchè mancavano proposizione allegatorie idonee e che, a fronte di ciò, la società aveva ribadito tale prospettazione ed eccezione, della quale illegittimamente ed immotivamente la Corte territoriale non aveva tenuto conto, avendo ammesso le prove articolate senza argomentazioni al riguardo.

Con il secondo motivo dell’impugnazione incidentale, deduce, poi, violazione e falsa applicazione degli artt. 434, 342, e 324 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè carenza e vizio di motivazione su un punto decisivo della controversia, prospettato dalle parti e comunque rilevabile d’ufficio, rilevando che il capo della sentenza relativo alla irrilevanza e conseguente inammissibilità dei capi di prova dedotti non era stato impugnato nè specificamente, nè implicitamente, con conseguente suo passaggio in giudicato.

Ritiene la Corte che il contenuto delle doglianze sia tale da far ritenere di natura condizionata l’impugnazione incidentale proposta, con la conseguenza che il rigetto del ricorso principale determina l’assorbimento della stessa.

In tali sensi deve pertanto pervenirsi al rigetto del ricorso principale, nulla dovendo statuirsi in ordine all’incidentale.

Le spese del presente giudizio, in ragione della soccombenza del ricorrente principale, cedono a carico dello stesso nella misura liquidata in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi, rigetta il ricorso principale, assorbito l’incidentale e condanna il M. al pagamento delle spese di lite del presente giudizio, liquidate in 40,00 Euro per esborsi, Euro 2500,00 per onorario, oltre spese generali, IVA e CPA. Così deciso in ROMA, il 27 aprile 2012.

Depositato in Cancelleria il 16 maggio 2012

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