Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 08-11-2011) 11-11-2011, n. 41337

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. P.G.P. era imputato di calunnia continuata in concorso con l’avv. F.P. e in danno dell’avv. R. D., in relazione al contenuto di tre querele e denunce presentate il 14.6.89, il 4.7.89 e il 12.7.89, per vicende afferenti la trattazione di una causa civile tra la Classic Cars sas, riconducibile all’imputato, e la Fedefer srl, difesa dalla R..

Con sentenza del 18.11.1998-8.2.1999 il Tribunale di Milano dichiarava il P.G. colpevole limitatamente alle denunce presentate il 14.6 ed il 12.7.1989, condannandolo alla pena giudicata di giustizia; lo proscioglieva dai fatti relativi alla denuncia del 4.7.1989 (per la quale condannava il solo F., assolvendo contestualmente quest’ultimo, per non aver commesso il fatto, dagli episodi per i quali era stato condannato il P. G.).

Il primo Giudice condannava altresì il P. al risarcimento dei danni a favore della R., costituitasi parte civile, rinviando alla sede civile per l’ulteriore pertinente corso (analoga condanna era deliberata per F., limitatamente all’episodio per cui era stato condannato).

Adita da entrambi gli imputati, con sentenza del 28.5-5.6.2009 la Corte d’appello di Milano riformava la prima sentenza, dichiarando l’improcedibilità dell’azione penale per l’intervenuta prescrizione dei reati e confermando le statuizioni civili.

2. Avverso tale ultima sentenza ha proposto ricorso per cassazione il P.G., con atto firmato contestualmente dal ricorrente e dal difensore di fiducia, avv. Castrusini, con i seguenti motivi:

– nullità della sentenza e del giudizio di appello per inosservanza dell’art. 47 c.p.p., comma 2, art. 47 c.p.p., comma 3, art. 602 c.p.p. e art. 24 Cost., perchè la sentenza della Corte distrettuale sarebbe stata deliberata in pendenza di istanza di rimessione, in relazione alla quale la stessa Corte d’appello non aveva provveduto a trasmettere gli atti a questa Corte suprema ovvero a pronunciare ordinanza, secondo il ricorrente, la sua istanza di rimessione sarebbe stata presentata tempestivamente nell’atto di appello e poi confermata all’udienza del 28 maggio 2009: la Corte ambrosiana, che aveva argomentato solo in sentenza l’insussistenza degli elementi legittimanti il ricorso all’istituto, sarebbe stata funzionalmente incompetente, perchè solo la Corte di cassazione avrebbe potuto deliberare, pur nel caso di istanze in ipotesi "ictu oculi" inammissibili o infondate, secondo l’insegnamento di SU n. 6925 del 12.5-16.6.1995.

Anche l’onere di notifica sarebbe stato rispettato, in ragione della notifica alle parti dell’atto di appello contenente l’istanza.

E differentemente da quanto argomentato dalla Corte distrettuale, tale istanza avrebbe contenuto diffusi argomenti a sostegno del clima gravemente pregiudizievole nei suoi confronti non solo presso la sede di Milano, ma anche in quelle "via via adite ex art. 11 c.p.p., di Brescia, Trento e tante altre", argomenti che il ricorrente ripropone alle pagg. 4-7 dell’atto di ricorso;

– violazione e falsa applicazione dell’art. 530 c.p.p., commi 1 e 2, art. 129 c.p.p., art. 368 c.p.; pacifica la prescrizione dei reati, secondo il ricorrente tuttavia dagli atti già emergeva la mancanza dell’elemento psicologico, che avrebbe dovuto condurre alla sua assoluzione perchè il fatto non sussiste.

In particolare, la mancanza agli atti di un decreto di archiviazione sulla sua denuncia nei confronti dell’avv.ssa R. impedirebbe di qualificare calunniose le sue accuse, che comunque corrisponderebbero a fatti realmente accaduti.

Significativa sarebbe in proposito l’assoluzione ottenuta dal Tribunale di Bologna per accuse rivolte a magistrati milanesi e bresciani, proprio per considerazioni sull’elemento psicologico, in relazione alla lì ritenuta assoluta assenza di una sua certezza di innocenza degli accusati: qui il ricorrente, alle pag. 11 e 12 del ricorso, ripropone i propri rilievi sulla ricostruzione dei fatti per i quali è stato condannato in primo grado, fatti oggetto della motivazione del Tribunale e dei motivi di appello.

3. Il ricorso è inammissibile per la manifesta infondatezza dei motivi.

Quanto al primo motivo, avuto riguardo alla locuzione di "remissione atti alla Corte di cassazione" quale concretamente verbalizzata – e va evidenziato che la dizione a verbale risulta essere stata dettata direttamente dall’imputato al cancelliere di udienza, su specifico invito del presidente del Collegio – ed all’assoluta genericità sul punto del secondo motivo d’appello, secondo l’insegnamento di questa Corte di legittimità (di cui a Sez. 4^, ord. 17636 del 25.3 – 7.5.2010 e SU, sent. 6925 del 12.5 -16.6,1995) la Corte distrettuale era legittimata a constatare direttamente la palese inammissibilità dell’istanza, essendo risultata nel caso concreto effettivamente palese la mancanza di "un atto avente i caratteri propri della richiesta di rimessione nei termini precisati dall’art. 45 c.p.p.".

In relazione al secondo motivo, la specifica motivazione contenuta nella sentenza del Tribunale sul punto dell’elemento psicologico e proprio in confutazione altrettanto specifica delle due prospettazioni della difesa, motivazione richiamata e fatta propria dalla Corte d’appello, esclude la sussistenza delle condizioni per affermare l’evidenza dell’insussistenza del fatto, rispetto alla dichiarata prescrizione del reato, indispensabile presupposto della pur pretesa pronuncia assolutoria ai sensi dell’art. 129 c.p.p..

Del resto, proprio l’articolata ricostruzione in fatto, contenuta nel ricorso, attesta essa stessa l’assenza di tale necessaria "evidenza", richiedendo eventualmente una rilevante rivalutazione degli atti probatori (in ipotesi di competenza del giudice di merito), non più possibile a fronte della mancata rinuncia dell’imputato alla prescrizione, che non si discute essere certamente intervenuta (SU, sent. 43055 del 30.9 – 3.12.2010).

Consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00, equa al caso, in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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