Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 16-05-2012, n. 7651 Licenziamento

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 18.2.2010, la Corte di Appello di Palermo, in riforma dell’impugnata decisione, dichiarava l’illegittimità del licenziamento intimato a P.A. il 7.7.2005 e condannava la società alla reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro ed al risarcimento del danno, ex art. 18 Statuto dei lavoratori, oltre che al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali.

Rilevava la Corte territoriale che, benchè la società Villa Igiea fosse estinta perchè incorporata dalla ricorrente Acqua Marcia Turismo S.p.a. in epoca anteriore alla pronuncia della sentenza impugnata, e nonostante che la circostanza fosse stata resa nota con la notifica della sentenza di primo grado da parte dell’incorporante, la nullità della notificazione dell’appello nei confronti della società originaria incorporante era stata sanata dalla costituzione in giudizio del soggetto giuridico legittimato. Nel merito riteneva soddisfatto il requisito dell’immediatezza della contestazione disciplinare, ma riteneva fondati gli ulteriori motivi di censura, rilevando che la relazione investigativa dei vigilantes, che aveva dato luogo al procedimento disciplinare, non era stata supportata da elementi di riscontro estrinseci idonei a corroborare l’ipotesi della illecita sottrazione di beni aziendali (confezioni di bottiglie), caricati nel bagagliaio dell’autovettura del dipendente G. con l’ausilio del P.. Non era intervenuto alcun inventario fisico delle merci aziendali che consentisse di verificare che negli scatoloni trasportati fossero beni aziendali e, peraltro, anche la deposizione del teste R. – che aveva riferito di avere assistito ad un colloquio con il direttore generale della società in cui il G. aveva ammesso i fatti, denunciando il collega di lavoro P. come complice dell’operazione – non era confortata dalla dichiarazione del G., il quale aveva riferito soltanto di avere chiesto l’aiuto del collega per caricare l’autovettura e, pertanto, la chiamata in correità non era connotata da sufficiente valenza probatoria, potendo il G. avere offerto la complicità del P. quale contropartita per evitare il suo licenziamento, come poteva evincersi dalle ulteriori circostanze riferite dal teste R.. Anche nel procedimento in cui il G. era ricorrente, il teste R. non aveva confortato in termini probatori la tesi della complicità del P., onde doveva ritenersi che l’aiuto nel trasporto fornito da quest’ultimo non fosse qualificato dalla conoscenza della provenienza furtiva dei beni.

Per la cassazione di tale decisione propone ricorso la società, con due motivi, illustrati nella memoria depositata ai sensi dell’art. 378 c.p.c. Resiste il P., con controricorso.

Motivi della decisione

Con il primo motivo, la società Acqua Marcia Turismo p.a. denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 163,164, 324, e 435 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, per avere erroneamente negato l’eccepita improcedibilità dell’appello, sostenendo che doveva accertarsi il passaggio in giudicato della sentenza, perchè l’appello era stato notificato a soggetto inesistente e senza il rispetto dei termini di cui all’art. 435 c.p.c., commi 2 e 3 (10 giorni dal decreto di fissazione e 25 prima dell’udienza). Evidenzia la ricorrente che la sua costituzione nel giudizio di gravame, nella qualità di società incorporante, era avvenuta proprio per fare valere il vizio di notifica. Chiede, pertanto, che la decisione venga cassata senza rinvio, con declaratoria di improcedibilità dell’appello del P..

Con il secondo motivo, la società lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, per avere erroneamente negato la giusta causa di licenziamento con motivazione insufficiente e contraddittoria.

Rimarca l’illogicità degli elementi motivazionali indicati dalla Corte d’appello, desumibili dalla deposizione del teste M., che aveva affermato la integrità delle scatole trasportate, inidonea a comprovare che nelle stesse fossero state inserite confezioni di pasta, così come riferito dal G., e dalla deposizione del teste C., che aveva escluso che i cartoni cui si era riferito recassero la scritta "pasta De Cecco". Ritiene illogica anche la spiegazione della chiamata in correità fornita dal G. che, contestualmente al riconoscimento della propria ed altrui responsabilità, si era dimesso.

A fronte della pacificità dell’asportazione degli scatoloni, e della confessione stragiudiziale del G. con contestuali dimissioni, la sentenza si rivelava carente al controllo di sufficienza e logicità.

Va respinto il primo dei motivi di impugnazione, essendo principio pacifico quello alla cui stregua, in caso di proposizione dell’atto di appello nei confronti di società incorporata da un’altra società, la costituzione in giudizio da parte della società incorporante sana il vizio dell’atto di citazione con effetto "ex tunc", in applicazione della norma contenuta nell’art. 164 c.p.c., comma 3 (nel testo sostituito dalla L. 26 novembre 1990, n. 353, art. 9), a tenore della quale la costituzione del convenuto sana i vizi della citazione e restano salvi gli effetti sostanziali e processuali della domanda (cfr. Cass. 14.7.2006 n. 16099) Nè vale invocare il mancato rispetto dei termini di cui all’art. 435 c.p.c., commi 2 e 3, in quanto, nel rito del lavoro, il termine di dieci giorni assegnato all’appellante per la notificazione del ricorso e del decreto di fissazione dell’udienza di discussione ( art. 435 c.p.c., comma 1) non è perentorio e, pertanto, la sua inosservanza non comporta decadenza, sempre che resti garantito all’appellato uno "spatium deliberandi" non inferiore a venticinque giorni prima dell’udienza di discussione, perchè egli possa apprestare le proprie difese (cfr. ord., sez. 6, 15.10.2010 n. 21358), osservandosi al riguardo che la violazione – denunciata dalla ricorrente – del termine non minore di venticinque giorni – che deve intercorrere tra la data di notifica dell’atto d’appello e la data dell’udienza di discussione (ai sensi dell’art. 435 c.p.c., comma 3) – configura un vizio della notificazione e, come tale, non produce alcuna nullità – secondo la giurisprudenza di questa Corte (v. Cass. n. 12814/91, 12204, 352/87) – se l’atto abbia raggiunto il suo scopo ( art. 156 c.p.c., comma 3, e art. 160 c.p.c.), per effetto – tra l’altro – della costituzione dell’appellato (cfr. Cass. 14.1.2010 n. 488). Nè risulta che l’appellata si sia costituita solo per far valere il denunziato vizio, avendo spiegato anche difese nel merito.

Quanto al secondo motivo di ricorso, ritiene la Corte che sussista il vizio denunziato in relazione alla dedotta insufficienza e contaddittorietà della motivazione con riguardo all’individuazione della giusta causa del licenziamento, la cui ricorrenza è stata esclusa dal giudice del gravame.

Al riguardo giova premettere che il vizio di motivazione su un fatto controverso e decisivo della controversia, denunziabile per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, postula che il giudice di merito abbia formulato un apprezzamento, nel senso che, dopo avere percepito un fatto di causa negli esatti termini materiali in cui è stato prospettato dalla parte, abbia omesso di valutarlo in modo che l’omissione venga a risolversi in un implicito accertamento negativo sulla rilevanza del fatto stesso, ovvero lo abbia valutato in modo insufficiente o illogico (cfr. Cass. 8.9.2006 n. 19298). E’ quest’ultimo il caso verificatosi nel caso considerato, in quanto, a fronte di una circostanza obiettiva, rappresentata dall’avere il dipendente G., unitamente al P., trasportato, dall’ingresso secondario dell’albergo fino alla propria auto, una confezione di cartone recante il logo Aperol ed altro scatolone, riponendoli nel bagagliaio della vettura (circostanze emerse dalla relazione investigativa acquisita dalla società) ed a fronte di una originaria ammissione stragiudiziale da parte del G. dell’illecito commesso insieme al P., ammissione riferita dal teste R., tali elementi probatori ed indiziar sono stati svalutati in modo contraddittorio, nella insufficienza di elementi di segno contrario idonei a sminuirne la portata.

Ed invero, la ricostruzione della Corte del merito, in virtù della quale il G. avrebbe potuto trasferire nelle confezioni di cartoni menzionate dai vigilantes il contenuto dei colli di pasta regalatigli da fornitore della società, per non essere costretto a denunciare tali regalie alla direzione aziendale, non è stata supportata in motivazione da validi elementi di riscontro, tanto più che nessuno dei testi escussi ha riferito che le confezioni di cartone fossero non integre ed avendo, anzi, il G., in contrasto con il dato pacifico del trasporto di confezioni di bottiglie, riferito di avere trasportato scatoloni di pasta.

Anche la circostanza che la chiamata in correità sia stata effettuata per evitare la sanzione del licenziamento non risulta coerente con la ricostruzione fattuale effettuata, e la mancata identificazione del contenuto delle confezioni di cartone descritte nella relazione investigativa risulta tutt’altro che insuperabile, al contrario di quanto ritenuto dal giudicante in virtù della considerazione, non condivisibile, che la chiamata in correità non sia connotata da sufficiente valenza probatoria per non avere la stessa trovato riscontro in altri elementi di prova.

Non può, pertanto, in mancanza di una ricostruzione completa ed argomentata della vicenda fattuale, attraverso il necessario coordinamento logico degli elementi probatori acquisiti, sminuirsi il disvalore della condotta posta in essere dal P., pervenendosi ad escludere in modo affrettato l’elemento soggettivo della stessa, consistente nella consapevolezza della provenienza furtiva dei beni trasportati e nella volontà di cooperare con il collega nell’asportazione dei beni dai locali dell’azienda, essendo sintomatico il comportamento del lavoratore di vigilare presso la porta del locale per consentire al collega di agire in tranquillità.

Pur gravando, dunque, sul datore di lavoro l’onere della prova in ordine alla sussistenza della giusta causa di licenziamento, non è, tuttavia, necessario che la prova sia acquisita ad iniziativa o per il tramite del datore di lavoro, come asserito dal controricorrente, potendo il giudice porre a fondamento della decisione gli elementi di prova comunque ritualmente acquisiti al processo, anche ad iniziativa di altre parti (compreso il lavoratore licenziato) oppure d’ufficio, e il relativo accertamento dei fatti e della loro gravità, riservato al giudice di merito, è sindacabile in sede di legittimità solo per vizio di motivazione, che non può consistere in una diversa ricostruzione dei medesimi fatti (cfr. Cass. 28.10.2003 n. 16213).

Nella specie, per quanto detto, sono rinvenibili le evidenziate carenze motivazionali in relazione alla ricostruzione dei fatti utili alla individuazione della giusta causa di licenziamento e rispetto a tale insufficiente valutazione, palesata nella motivazione posta a fondamento della decisione che ha negato la sussistenza dei presupposti per l’irrogazione della sanzione espulsiva, si rende necessario un nuovo esame da parte del giudice di rinvio, tenuto conto degli indicati profili di contraddittorietà e di insufficiente valutazione dei dati probatori emersi, quali pacificamente acquisiti agli atti di causa, e dell’omesso approfondimento istruttorio di dati decisivi alla corretta ricostruzione della vicenda posta a fondamento della sanzione.

La sentenza va, in conclusione, cassata in relazione al secondo motivo del ricorso e rinviata alla Corte di appello designata in dispositivo, per nuovo esame che tenga conto degli aspetti di insufficienza delle argomentazioni evidenziati, i quali innegabilmente assumono carattere di decisività ai fini di causa.

Al giudice di rinvio va rimessa la quantificazione delle spese di lite anche del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso quanto al secondo motivo, rigettato il primo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa, anche per le spese, alla Corte di Appello di Caltanissetta.

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