Cons. Giust. Amm. Sic., Sent., 15-12-2011, n. 1006

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

L’appello è rivolto all’annullamento della decisione n. 8269/2010 del TAR per la Sicilia di Palermo, con la quale è stato accolto il ricorso principale (con conseguente assorbimento di quelli per motivi aggiunti) proposto dal sig. Se.Sc. contro il Comune di Campofranco e nei confronti dell’odierno appellato per l’annullamento dell’atto di concessione per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche comunali prot. 4003 del 15 giugno 2009, emanato in favore del sig. Fr.Vi., nonché di tutti gli altri provvedimenti connessi, conseguenti o presupposti.

La vicenda muove dalle circostanze seguenti.

I. L’appellante sig. Fr.Vi., quale titolare nel Comune di Campofranco (CL) di un’autorizzazione amministrativa per l’esercizio di attività di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande, aveva ottenuto concessione ad occupare mq. 41 di suolo pubblico con la costruzione di un "dehors continuativo" in aderenza al luogo adibito alla propria attività. Contro tale provvedimento, aveva proposto ricorso – nei confronti del Comune di Campofranco e nei confronti dell’odierno appellante – il signor Se.Sc., esercente un’attività artigianale (barbiere) in locali adiacenti, asserendone la illegittimità, affidata a cinque motivi:

a) violazione di legge ed eccesso di potere sotto diversi profili (mancata acquisizione di tutti i pareri necessari all’istruttoria siccome previsti dal regolamento comunale di disciplina dei cd. dehors.); mancata istruttoria in relazione alla compatibilità del progetto con le molteplici prescrizioni contenute nel regolamento medesimo; mancata valutazione di tutti gli interessi pubblici coinvolti (con particolare riferimento alla consistenza del manufatto consentito, alla sua natura di opera non precaria, alla modificazione dello stato dei luoghi che la collocazione del dehors avrebbe comportato);

b) con il secondo motivo, lamentava eccesso di potere per sviamento, difetto di istruttoria e di motivazione, incongruenza ed errata rappresentazione dei fatti. E ciò in quanto la richiesta di rilascio della concessione ad occupare il suolo pubblico avrebbe recato un’indicazione delle dimensioni del dehors difforme rispetto alla superficie dell’immobile di riferimento (dove il controinteressato già svolge la propria attività), sulla base della quale deve essere determinata quella del dehors);

c) con il terzo motivo, deduceva la violazione dell’art. 78 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 e dei principi di imparzialità, di buona amministrazione e di trasparenza dell’azione amministrativa, nonché inopportunità ed eccesso di potere per sviamento della causa. E questo, per la ragione che la relazione tecnica allegata all’istanza presentata dal sig. Vi. era stata predisposta e sottoscritta dal geom. Alessandro Di Leo, componente della Giunta comunale di Campofranco con delega, tra le altre materie, all’urbanistica;

d) con il quarto motivo, venivano dedotti la violazione degli articoli 7 e 8, comma 4, della L.R. n. 18 del 1995, dell’art. 97 della Costituzione e dell’art. 1 della L.R. n. 10 del 1991, nonché l’eccesso di potere per sviamento, in quanto l’autorizzazione alla somministrazione di alimenti e bevande sarebbe stata rilasciata in assenza del piano per il commercio su aree pubbliche, siccome previsto dalla medesima disciplina legislativa;

e) con il quinto motivo, il ricorrente lamentava violazione della L. n. 241 del 1990 ed eccesso di potere per difetto di istruttoria e mancata comparazione degli interessi, in quanto, al ricorrente, non era stata data comunicazione dell’avvio del procedimento di rilascio della autorizzazione, con conseguente mancata valutazione e comparazione della sua posizione con l’interesse del controinteressato sig. Vi.

II. A tali motivi originari il ricorrente faceva seguire due ricorsi per motivi aggiunti.

Con il primo di essi, deduceva ulteriori censure di violazione di legge ed eccesso di potere per difetto di istruttoria, essendo stato dichiarato, in sede di variante alla concessione edilizia originaria (n. 17/91), che, con la medesima, veniva vincolata la superficie a parcheggio di mq. 15,43, a fronte di una previsione di mq. 8 (dunque inferiore), risultante dalla nota di trascrizione della concessione originaria, fatto che doveva fare ritenere, secondo il ricorrente, che l’immobile in argomento, in sede di demolizione e ricostruzione, era stato interessato da un (abusivo) aumento di volumetria.

Con il secondo ricorso per motivi aggiunti, il ricorrente chiedeva l’annullamento dell’autorizzazione in sanatoria rilasciata, ai sensi dell’art. 13 della legge n. 47 del 1985, in favore del controinteressato, per i lavori di realizzazione dei servizi igienici siti all’interno dell’immobile già oggetto di concessione edilizia del 1991. E ciò per due motivi:

a) violazione dell’art. 13 della L. n. 47 del 1985 ed eccesso di potere sotto il profilo del difetto di motivazione e dell’illogicità e contraddittorietà (essendosi, in tesi, formato il silenzio-rigetto sull’istanza di autorizzazione in sanatoria, l’autorizzazione edilizia avrebbe dovuto essere preceduta da un provvedimento di ritiro del precedente rigetto tacito);

b) violazione, sotto altro profilo, dell’art. 13 della L. n. 47 del 1985, eccesso di potere sotto il profilo del difetto di motivazione e dell’illogicità e contraddittorietà (l’istanza per la realizzazione dei servizi igienici avrebbe dovuto essere presentata dal proprietario dell’immobile e non già dal conduttore); c) eccesso di potere per difetto di istruttoria e per invalidità derivata; d) eccesso di potere per difetto di istruttoria (l’autorizzazione edilizia in sanatoria era riferita ad una particella diversa rispetto a quella determinata con il cambio di destinazione d’uso chiesto ed ottenuto nel 2005).

III. Instauratosi il contraddittorio, il TAR adito, con ordinanza n. 886/09, confermata con ordinanza del C.G.A. n. 886/09, concedeva la richiesta misura cautelare della sospensione dell’esecuzione dei provvedimenti impugnati.

IV. Il ricorso veniva deciso con la sentenza n. 8269/2010 ora impugnata. Il TAR – respinta la eccezione di inammissibilità sollevata dal Comune di Campofranco (per carenza di interesse del ricorrente e per mancata impugnazione degli articoli del regolamento, la cui applicazione determinerebbe nocumento al ricorrente) – ha accolto il ricorso ritenendone fondati terzo, quarto e quinto motivo, ancorché invece infondati i primi due. Ha ritenuto assorbiti i residui profili di censura, compresi quelli dedotti con i motivi aggiunti, che giudicava ininfluenti od irrilevanti. Per l’effetto ha annullato perciò i provvedimenti impugnati e condannato il Comune di Campofranco e l’odierno appellante (contro interessato) alle spese processuali e agli onorari di causa per complessivi Euro 2000, in ragione di due terzi ed un terzo. V. Avverso tale decisione propone appello il signor Vi. per i seguenti motivi:

1. Inammissibilità per difetto di interesse.

2. Erronea statuizione in ordine all’asserita violazione dell’art. 78 D.Lgs. n. 267/00.

3. Erronea statuizione in ordine all’asserita violazione degli artt. 7 e 8 della L. n. 18/1995.

4. Erroneità della statuizione in ordine alla affermazione che il "dehor" avrebbe dovuto costituire oggetto di concessione edilizia.

5. Erroneità della statuizione in ordine alle spese.

VI. Si sono costituiti in giudizio il Comune di Campofranco, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso ed il signor Se.Sc. per resistervi.

Motivi della decisione

L’appello è infondato.

Non può essere accolta, per cominciare, l’eccezione di inammissibilità del ricorso per carenza di interesse.

Com’è stato già osservato dal Giudice di prime cure, essa non si giustifica né con riferimento alla pretesa mancata impugnazione delle disposizioni regolamentari, né con riferimento alla posizione sostanziale dell’originario ricorrente. Da un lato, non vengono infatti in discussione profili di illegittimità connessi alla disciplina regolamentare in sé. Dall’altro, è palese l’interesse del ricorrente Sc. legato alla circostanza di essere egli proprietario dell’immobile adiacente alla porzione di suolo pubblico interessata alla realizzazione dell’intervento edilizio e nel quale egli esercita un’attività imprenditoriale (barbiere). Come ha scritto il primo Giudice, non è perciò "aprioristicamente escludibile che la realizzazione del dehors, peraltro in (dedotto) contrasto con le prescrizioni normative di riferimento, possa determinare una rilevante e pregiudizievole alterazione del preesistente assetto nella fruibilità dei luoghi, con ciò giustificando un interesse personale alla conservazione e salvaguardia delle caratteristiche insediative dell’ambiente circostante ed alla conseguente legittimazione ad avvalersi dei mezzi di tutela giurisdizionale previsti dalla legge (oltre che espressione dei relativi noti principi costituzionali)".

Né può trovare accoglimento – con conseguente assorbimento di ogni considerazione sulle censure proposte nel ricorso di appello circa la portata da attribuire all’art. 78 del D.Lgs. n. 267/2000 (secondo motivo) e agli artt. 7-8 della L.R. n. 18/1995 (terzo motivo) – la censura proposta con il quarto motivo, intesa a contestare la statuizione del Giudice di prime cure circa la necessità, nella fattispecie, di una concessione edilizia per la realizzazione del manufatto in oggetto.

La invocata deroga dalla concessione, in considerazione della c.d. precarietà strutturale di cui all’art. 20 comma 4 della L. n. 4/03, riguarda, con evidenza, strutture realizzate su aree private: "Ai fini dell’applicazione dei commi 1, 2 e 3 sono da considerare strutture precarie tutte quelle realizzate in modo tale da essere suscettibili di facile rimozione. Si definiscono verande tutte le chiusure o strutture precarie come sopra realizzate, relative a qualunque superficie esistente su balconi, terrazze e anche tra fabbricati. Sono assimilate alle verande le altre strutture, aperte almeno da un lato, quali tettoie, pensiline, gazebo ed altre ancora, comunque denominate, la cui chiusura sia realizzata con strutture precarie, sempre che ricadenti su aree private".

Non vi è dubbio perciò sul fatto che – intervenendo pacificamente la realizzazione del dehors contestato su area pubblica comunale – la realizzazione del medesimo non poteva essere assentita con un provvedimento assunto ai sensi di tale normativa regionale generale e della collegata normativa comunale prevista per la eventuale realizzazione appunto di un dehors su area privata "connessa ad un esercizio pubblico di bar, ristorante o laboratorio artigianale". La allocazione del manufatto sul suolo pubblico e le sue caratteristiche strutturali (come descritte nella stessa relazione tecnica prodotta per incarico dell’appellante: struttura in legno lamellare; schermi perimetrali con pannelli in legno e vetro di sicurezza; copertura inclinata rivestita con coppi siciliani; all’interno, travi di legno e pannelli di copertura e sostegno delle tegole appoggiate alle travi, "unite alle pareti in muratura esistenti ma facilmente smontabili") impediscono invero – come esattamente statuito dal Giudice di prime cure – di considerarlo destinato ad occupare l’area interessata solo temporaneamente. Esso è stato previsto infatti come struttura destinata a modificare in modo permanente e funzionale l’assetto materiale dell’area pubblica occupata. Sicché, per una sua legittima realizzazione, sarebbero stati necessari (per pacifica e consolidata giurisprudenza) due distinti (ancorché eventualmente collegati provvedimenti): un provvedimento di concessione del suolo pubblico a tempo indeterminato (o almeno congruamente duraturo) ed una conseguente concessione edilizia per la realizzazione del manufatto. E non invece – come accaduto – un mero provvedimento di autorizzazione alla occupazione temporanea dell’area pubblica e di concessione della realizzazione in essa del dehors in oggetto. Il primo illegittimo perché incoerente con la destinazione e le caratteristiche del manufatto destinato ad esservi realizzato; il secondo illegittimo per difetto del presupposto normativo (natura pubblica e non privata dell’area destinata ad accoglierlo).

L’appello è per le premesse da respingere.

Ritiene altresì il Collegio che ogni altro motivo od eccezione di rito e di merito possa essere assorbito in quanto ininfluente ed irrilevante ai fini della presente decisione.

Le spese seguono la soccombenza nei confronti dell’appellato e sono liquidate come in dispositivo. Sussistono ragioni giustificate per compensarle invece nei confronti del Comune.

P.Q.M.

Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana in sede giurisdizionale, definitivamente pronunciando, respinge l’appello.

Condanna l’appellante alle spese di questo grado del giudizio nei confronti dell’appellato Sc., che liquida nella misura di Euro 2000 (duemila) e compensa le stesse nei confronti del Comune.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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