Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 26-10-2011) 11-11-2011, n. 41180

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

-1- Con ordinanza 5/18.5.2011 il tribunale di Bari, in sede di appello del P.M. avverso la pregressa ordinanza, datata 7.2.2011 del gip di Lucera che revocava il provvedimento degli arresti domiciliari nei confronti di L.P.D., avvocato, indagato per i delitti, in concorso, di calunnia e di favoreggiamento personale a vantaggio del suo assistito, D.G.C.D., indagato per omicidio, riteneva la sussistenza di entrambi i presupposti della misura – indizi di colpevolezza e periculum libertatis – e, di conseguenza annullava l’ordinanza predetta, riapplicava la misura cautelare degli arresti domiciliari, sospendendone, come per legge, l’esecuzione in attesa della definizione del presente ricorso.

Tramite difensore ricorre l’interessato avverso il provvedimento, contestandolo con tre ragioni di doglianza: la prima, insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, la seconda, inesistenza di esigenze cautelari connesse al pericolo di reiterazione di reati, la terza, incompatibilità del collegio penale a decidere l’appello per essersi pronunciato lo stesso collegio, nella identica composizione, in precedenza con l’ordinanza datata 17.2.2011 di conferma dell’ordinanza cautelare genetica.

-2- In breve,i fatti di causa: secondo la tesi accusatoria, condivisa dal tribunale del riesame dell’ordinanza cautelare, l’indagato, difensore di D.G.C.D.; indagato di omicidio, avrebbe indotto un teste, tale D.G., a modificare le pregresse dichiarazioni rilasciate ai Carabinieri in senso favorevole al D.G., nel senso di essersi accompagnato con lui nel giorno e nell’ora del delitto, e non invece, come erroneamente dichiarato ai Carabinieri in un giorno diverso da quello dell’omicidio. Il D. avrebbe attribuito, poi, secondo la tesi accusatoria condivisa dai giudici dell’appello, agli ufficiali di p.g. verbalizzanti le prime dichiarazioni la redazione di un verbale falso, non riproducente le vere dichiarazioni rese dal teste. Da qui la conseguente incriminazione, anche in seguito alla denuncia del predetto D. contro i verbalizzanti, e del teste e del L. P. per i delitti di calunnia e di favoreggiamento personale in concorso.

-3- Il ricorso è fondato e, pertanto,va accolto.

Certo pregiudiziale, nell’analisi del ricorso, è l’esame del terzo motivo di ricorso relativo alla pretesa incompatibilità del collegio penale responsabile del provvedimento impugnato, per avere in precedenza il predetto collegio, con ordinanza 17.2.2011, confermato,in sede di riesame, l’originaria cautelare. In proposito non si ravvisano motivi per discostarsi dal principio più volte ribadito dalla Corte costituzionale e dalla stessa Corte di Cassazione nel senso della esclusione di situazioni di incompatibilità nel caso in cui il magistrato venga chiamato ad emettere,all’interno di una singola fase processuale, una pluralità di decisioni,anche di merito, concernenti lo stesso soggetto. E’ manifestamente – così, testualmente, Sez. 5, 26.3/10.6.2003, Femiani, Rv 225944 – infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 34 c.p.p., nella parte in cui non prevede l’incompatibilità a svolgere le funzioni di g.i.p. da parte del giudice che abbia, nel medesimo procedimento, espletato attività di componente del tribunale del riesame, in quanto, in sede di valutazione, peraltro allo stato degli atti, degli indizi di colpevolezza, non viene espresso alcun giudizio decisorio. Ed invero, l’anzidetta norma processuale mira a garantire la distinzione delle funzioni giudicanti tra giudici della fase cautelare (gip e tribunale del riesame) da un lato e giudici della fase decisoria (gup e giudice del dibattimento) dall’altro, stabilendo l’incompatibilità dello svolgimento delle funzioni di giudice nella fase preliminare e in quella decisoria. Peraltro vi è da aggiungere che l’incompatibilità di cui all’art. 34 c.p.p. non attiene alla capacità del giudice, non determina comunque la nullità del provvedimento ex artt. 178 e 179 c.p.p., costituisce solo motivo di possibile astensione ovvero di ricusazione dello stesso giudice, da far tempestivamente valere con la procedura di rito, non attivata nella specie, ai sensi dell’art. 37 e segg. c.p.p..

-4- Tutto ciò premesso, devesi rilevare la chiara fondatezza del ricorso nella parte in cui denuncia la violazione della legge processuale e la manifesta illogicità della motivazione dell’ordinanza impugnata.

Invero sta di fatto che a fronte di un colloquio non documentato tra l’indagato e D.G., a conoscenza di circostanze favorevoli alla difesa del proprio assistito, il primo induce il secondo, senza peraltro svolgere alcuna attività di documentazione delle dichiarazioni o informazione ricevute, a rendere dichiarazioni al P.M. presso il cui ufficio lo accompagna. I giudici dell’appello hanno ritenuto che il prevenuto avrebbe dovuto formalizzare gli avvertimenti che in ogni caso, anche nel caso di colloqui non documentati, il difensore deve rivolgere alla persona delle cui conoscenze intende valersi ai fini della difesa del proprio assistito e hanno ritenuto ancora che l’indagato avrebbe dolosamente indotto il teste a rendere dichiarazioni mendaci e calunniose. Senonchè un tale obbligo di formalizzazione non è dato certo ricavare dalla lettura della disposizione – l’art. 391 bis c.p.p., comma 3 – richiamata. Il che si armonizza con la natura e l’efficacia del colloquio non documentato, che è un mero evento verbale, privo di funzioni di certificazione endo – procedimentale, che non ha alcuna rilevanza esterna avendo solo la funzione di impulso e di indirizzo. Ma quel che più conta i giudici del merito non indicano alcuna circostanza di fatto dalla quale desumere che l’indagato nell’esercizio del mandato defensionale abbia indotto dolosamente il D.G. a rendere false correzioni alle sue pregresse dichiarazioni e,di più,a formalizzare una denuncia contro i Carabinieri rei di aver volutamente formalizzato il falso. D’altra parte se è pur vero che al difensore, anche nel colloquio non documentato, è fatto ".. divieto di rilevare le domande eventualmente formulate dalla polizia giudiziaria o dal pubblico ministero e le risposte date", non è dato conoscere, dalla lettura del provvedimento impugnato, da quale dato probatorio è stato possibile ricavare la violazione di quel divieto.

I motivi di ricorso, all’incontro, segnalano che il difensore aveva appreso dalla moglie del suo assistito che il D. si accompagnava al marito nell’ora e nel luogo dell’omicidio e che in forza di una tale notizia si era premurato di avvicinarlo, il D., per indurlo a correggere, ove fossero false, le sue dichiarazioni che aveva appreso dal provvedimento cautelare in legittimo suo possesso.

Il motivo di ricorso relativo alla sussistenza o meno delle esigenze cautelari è assorbito dalla decisione di questa Corte che accoglie la doglianza in merito alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al tribunale di Bari.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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