Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
Viene in discussione l’appello contro la sentenza in epigrafe con cui il TAR Catania, ritenuta la responsabilità dell’Azienda Ospedaliera odierna appellante, con valutazione equitativa ha condannato quest’ultima a risarcire il danno provocato alla società odierna appellata SPM (concorrente alla gara come capogruppo e componente in A.T.I. con CO.ED. Costruzioni Edili s.r.l.) per non aver potuto eseguire la parte di sua competenza dell’appalto (promosso per la realizzazione, chiavi in mano, di un’area attrezzata per il monitoraggio "Long Term dell’Epilessia") assegnatole in via definitiva soltanto con deliberazione n. 650 del 26.3.2004, a seguito di un contenzioso giudiziario che nelle more del suo svolgimento aveva visto lo stesso appalto integralmente eseguito da un’altra A.T.I. concorrente (nella specie: la società a r.l. Mortara Rangoni Europe – I.G.L. Consorzio Italiano Grandi Lavori) sulla base di una precedente delibera di aggiudicazione (la n. 1347 dell’8.11.2002), in seguito annullata con sentenza del TAR Catania n. 1940/2003.
Nell’udienza del 16.3.2011 l’appello è stato assunto in decisione da questo Consiglio.
Motivi della decisione
Avverso la decisione di condanna pronunciata dal Giudice di prime cure, nei termini in fatto ed in diritto sopra riferiti, la difesa dell’Azienda Ospedaliera appellante deduce: – Come primo motivo, l’inammissibilità del risarcimento accordato in proprio ad un soggetto, quale la società S.P.M., ricorrente in primo grado "esclusivamente quale capogruppo di una A.T.I. (con la società n. c. S.C.G. Siciliana costruzioni Generali di Pavone Filippo e c.)". Tale circostanza, infatti, una volta riconosciuta dallo stesso Giudice l’inesistenza della stessa A.T.I. come soggetto ricorrente, determinerebbe il vizio della impugnata sentenza sotto il duplice profilo del petitum e della causa petendi – dovendosi ritenere, a tale stregua, illegittimo il frazionamento delle posizioni per giustificare e quantificare l’attribuzione e la quantificazione del risarcimento alla sola società S.P.M.
– Come secondo motivo, l’assenza di colpa grave e, dunque, la mancanza di responsabilità dell’Azienda Ospedaliera – atteso che la (sottoscrizione e la successiva) esecuzione del contratto d’appalto compiuto dal concorrente società Mortara Rangoni sono avvenuti sulla base di un provvedimento di aggiudicazione efficace fino all’annullamento operato dalla sentenza del TAR Catania n. 1940/2003, senza che "medio tempore" fosse stata accordata dallo stesso Giudice la misura cautelare di sospensione del provvedimento di aggiudicazione, come richiesta dall’odierna appellata all’atto della presentazione del ricorso n. 205/2003, poi sfociato nella cit. sentenza n. 1940/2003. D’altra parte, si deduce ancora, la stessa Azienda Ospedaliera, a seguito della diffida di dare esecuzione a quest’ultima decisione, provvedeva tempestivamente a produrre la delibera n. 650 del 26.3.2004 con la quale procedeva ad aggiudicare definitivamente l’appalto all’odierna società appellata – a prova ulteriore, dunque, della mancanza "dell’elemento soggettivo (id est: della "colpa") richiesto per la configurabilità di un danno risarcibile" che il Giudice di prime cure ha viceversa addossato all’Azienda Ospedaliera appellante.
– Come terzo motivo, infine, si deduce l’erronea scelta dei criteri di individuazione e quantificazione del danno, riconosciuto in via equitativa alla società appellata in misura tale (10% complessivo, rispetto al valore della commessa di pertinenza) da risultare "ben più favorevole dell’impiego del capitale".
Questo Consiglio ritiene che l’appello deve essere respinto per le ragioni che qui di seguito sono indicate.
Circa l’illegittimità del frazionamento delle posizioni, operato dal Giudice di prime cure, per giustificare l’attribuzione e la quantificazione del risarcimento alla sola società S.P.M., occorre preliminarmente rilevare che la particolare soggettività giuridica attribuita nell’ambito della disciplina degli appalti pubblici alle c.d. A.T.I. (Associazioni Temporanee di Imprese) non sancisce di per sé una separazione di posizioni tra questo soggetto e le imprese che raggruppa temporaneamente, sia sotto il profilo della soggettività giuridica che a ciascuno di esse tipicamente compete, sia sotto il profilo dell’autonomia aziendale, per quanto attiene l’individuazione e l’imputazione di opere o di servizi che, nell’ambito del programma complessivo, ciascuna di esse si impegna ad eseguire. Nell’art. 10 del D.Lgs. n. 358/1992, opportunamente richiamato dall’impugnata sentenza, infatti, non solo si afferma che "l’offerta congiunta deve essere sottoscritta da tutte le imprese raggruppate e deve specificare le parti delle forniture che saranno eseguite dalle singole imprese … (comma 2°)", determinandosi così a seguito della sottoscrizione "la responsabilità solidale nei confronti dell’Amministrazione" per l’offerta medesima (comma 3°); ma si stabilisce anche che "il rapporto di mandato" – venutosi a costituire a seguito del necessario conferimento del potere di rappresentanza speciale, sostanziale e processuale, ad una delle imprese del raggruppamento dopo l’aggiudicazione e la sottoscrizione del relativo contratto "per tutte le operazioni e gli atti di qualsiasi natura dipendenti dal contratto" – da un lato non esclude che "l’Amministrazione può far valere direttamente la responsabilità a carico delle imprese mandanti (comma 6°); e, dall’altro, che "non determina di per sé organizzazione o associazione fra le imprese riunite, ognuna delle quali conserva la propria autonomia di gestione…" (comma 7°).
Dalla superiore disciplina ne consegue dunque che l’offerta congiunta né prima né dopo l’eventuale aggiudicazione comporta il superamento delle singole posizioni di interesse e di responsabilità delle imprese partecipanti – sicché anche il soggetto che, a seguito dell’aggiudicazione e della stipula del relativo contratto d’appalto, dovesse agire nei confronti dell’Amministrazione come mandatario del raggruppamento, contempla non un interesse comune e sovraordinato, bensì un interesse collettivo, definito dalla somma delle posizioni di interesse, individuate e individuabili, che fanno capo a ciascuna delle imprese del raggruppamento; e che se per un verso, come riportato, non impediscono all’Amministrazione committente di far valere la responsabilità individuale di ciascuna di esse per l’esecuzione della fornitura di sua competenza, allo stesso modo possono ben consentire al giudice, nel caso di una controversia che chiami in campo la responsabilità dell’Amministrazione per l’esecuzione dell’appalto, di procedere aduna valutazione differenziata della partecipazione fornita da ciascuna impresa alla realizzazione del progetto, che tenga conto del titolo e della specifica modalità della loro rappresentazione. Nella fattispecie de qua il Giudice di prime cure ha fatto buon uso di questi principi. Posto dinanzi ad una domanda di risarcimento presentata dalla società, odierna appellata, in nome delle imprese componenti l’ATI illegittimamente esclusa dall’Amministrazione dalla esecuzione della fornitura messa a bando, il TAR, dopo aver verificato che in capo alla ricorrente non sussisteva, in assenza di relativo mandato, un potere di rappresentare singolarmente tutte le imprese componenti, ha ritenuto tuttavia di poter valutare la domanda nei limiti della lesione arrecata alla sua sfera patrimoniale – atteso che la domanda risarcitoria, contemplando di per se un insieme differenziato di posizioni compiutamente definite, comunque esprimeva direttamente la pretesa risarcitoria relativa alla lesione subita dalla medesima impresa ricorrente per la mancata esecuzione della parte di fornitura di sua competenza.
Priva di censure risulta altresì il procedimento con il quale il Giudice di prime cure ha individuato in capo all’Amministrazione la responsabilità per la mancata esecuzione dell’appalto da parte delle imprese risultate inutiliter aggiudicatarie a seguito della delibera n. 650/26.3.2004, essendo stato a quella data la fornitura in oggetto già compiutamente eseguita dall’ATI concorrente, poi risultata soccombente nel giudizio per l’annullamento della aggiudicazione in suo favore, decisa dallo stesso TAR Catania con la citata sentenza n. 1940/2003. A propria discolpa, l’Azienda Ospedaliera odierna appellante invoca invero la necessità di dare seguito ad un provvedimento di aggiudicazione comunque efficace fino all’annullamento operato dal TAR Catania, e senza che "medio tempore" fosse stata accordata dallo stesso Giudice la misura di sospensione del provvedimento medesimo, come richiesta in via cautelare dall’odierna appellata all’atto della presentazione del ricorso n. 205/2003, poi sfociato nella citata sentenza n. 1940/2003. La censura, per quanto suggestivamente argomentata, non appare appropriata, in quanto omette di considerare che l’impugnativa di una aggiudicazione tempestivamente esperita, come accaduto nella fattispecie de qua, determina di per sé in capo all’Amministrazione il rischio di una responsabilità verso il ricorrente per illegittimo esercizio del potere amministrativo, secondo un consolidato indirizzo normativo che affonda le sue radici nella giurisprudenza comunitaria (v. Consiglio di Giustizia Europea, 14 ottobre 2004, in causa G 275/2003), e che a fortiori doveva essere contemplato quando l’Amministrazione ha avuto sentore che l’appalto potesse essere interamente eseguito sulla base di una aggiudicazione contestata, al quale avrebbe potuto far seguito esclusivamente, nel caso di accoglimento del ricorso, un nuovo provvedimento inutiliter datum, come qui accaduto con la delibera n. 650/26.3.2004 di nuova aggiudicazione all’ATI partecipata dall’odierna società appellata, ma priva di seguito perché sopravvenuta dopo l’integrale esecuzione dell’appalto aggiudicato da parte dell’ATI estromesso. La ragionevole contemplazione di tali rischi, dunque, poteva e doveva indurre la committente Amministrazione ad adottare comportamenti di salvaguardia, delle proprie ragioni e di quelle dell’ATI attuale aggiudicataria: che si è cercato di eludere, viceversa, attraverso la "tempestiva" adozione della citata nuova delibera di aggiudicazione n. 650/26.3.2004, la cui manifesta inutilità, piuttosto che giustificare l’errore per l’illegittimo esercizio del proprio potere amministrativo, come invocato dalla difesa dell’Azienda Ospedaliera, concorre ad aggravare la colpa per l’omessa adozione delle misure di salvaguardia che sia i principi che sorreggono l’esercizio dell’autotutela in funzione del buon andamento dell’attività amministrativa, sia, più in particolare, i principi e le norme che presiedono all’attuazione "corretta e in buona fede" dei rapporti contrattuali, potevano ben giustificare, onde evitare i pericoli di danno prefigurati dalla la sequenza processuale e procedimentale nella quale l’Amministrazione era stata coinvolta. Anche il terzo motivo di gravame, infine, non merita accoglimento – atteso che la contestazione, più che sull’iter argomentativo e sui criteri di individuazione dei danni da risarcire, seguiti dal Giudice di prime cure, riguarda piuttosto la misura equitativa del loro complessivo ammontare, che la difesa della parte appellante si limita a contestare semplicemente evocando una sua presunta superiorità rispetto "all’impiego del capitale" senza altra specificazione o prova a supporto. Ritiene altresì il Collegio che ogni altro motivo od eccezione di rito e di merito possa essere assorbito in quanto ininfluente ed irrilevante ai fini della presente decisione.
Le spese del presente giudizio, come di regola, seguono la soccombenza e sono fissate nella misura stabilita in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione Siciliana in sede giurisdizionale, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, ritenuto assorbito ogni altro motivo di fatto e di diritto sollevato dalla parte appellante, respinge l’appello.
Spese a carico della soccombenza, Euro 3000, 00.
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