Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 16-05-2012, n. 7638 Decreto ingiuntivo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Comune di Vasto ha proposto opposizione al decreto ingiuntivo con cui era stato condannato al pagamento in favore di D.R. N., dipendente dello stesso Comune con la qualifica di funzionario capo dei servizi informatici, della somma di Euro 6.868,88 oltre accessori di legge, a titolo di corrispettivo dovutogli per l’opera prestata in qualità di direttore dei lavori per la realizzazione del "Progetto informativo amministrativo contabile" fino alla data di approvazione del collaudo, e cioè per una durata maggiore di quella di dodici mesi originariamente prevista nella delibera di Giunta Comunale con cui gli era stato affidato tale incarico.

Il Tribunale di Vasto ha accolto l’opposizione revocando il decreto ingiuntivo con sentenza che, sull’appello del lavoratore, è stata riformata dalla Corte d’appello di L’Aquila, che ha rigettato l’opposizione ritenendo che il ricorrente avesse diritto al richiesto compenso anche per il periodo eccedente la durata originariamente prevista dalla delibera di affidamento dell’incarico, e ciò in quanto la figura del direttore dei lavori doveva ritenersi necessariamente correlata all’intera realizzazione dell’opera commissionata dall’Amministrazione e dalla documentazione prodotta risultava che il ricorrente aveva effettivamente svolto tutti i compiti di verifica e di controllo connessi alla figura del direttore dei lavori durante l’intero periodo di realizzazione del progetto fino alla data di approvazione del verbale di collaudo, dovendo, peraltro, ritenersi superate le eccezioni sollevate dall’Amministrazione con riguardo al principio di omnicomprensività della retribuzione nel pubblico impiego e alla necessità della forma scritta per la validità del conferimento di un incarico professionale alla stregua dell’avvenuta erogazione del compenso relativo al periodo previsto nella delibera di affidamento dell’incarico.

Avverso tale sentenza ricorre per cassazione il Comune di Vasto affidandosi a tre motivi di ricorso cui resiste con controricorso il D.N., che ha depositato anche memoria ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

1.- Con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione del R.D. 18 novembre 1923, n. 2440, artt. 16 e 17 che prescrivono la forma scritta ad substantiam per i contratti stipulati dalle pubbliche amministrazioni, richiamando la giurisprudenza secondo cui per ogni contratto stipulato dalla p.a. è richiesta la forma scritta a pena di nullità, che non può essere sanata neppure da ricognizioni postume di debito da parte della p.a., e rispetto alla quale resta del tutto irrilevante l’esistenza di una deliberazione di conferimento dell’incarico, che costituisce solo un atto con efficacia interna, avente per destinatario il diverso organo dell’ente legittimato ad esprimere la volontà all’esterno e carattere meramente autorizzazione.

2.- Con il secondo motivo si denuncia l’omessa motivazione su un fatto decisivo per il giudizio, segnatamente sulla necessità della forma scritta ad substantiam in materia di contratti stipulati con la p.a.

3.- Con il terzo motivo si denuncia violazione dei principi generali in materia di organizzazione del rapporto di pubblico impiego di cui al D.P.R. n. 3 del 1957 e al D.Lgs. n. 29 del 1993, e ciò sia sotto il profilo dell’arr. 360 c.p.c., n. 3 che sotto il profilo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, richiamando il principio per cui la p.a. non può conferire ai dipendenti incarichi non compresi nei compiti e doveri di ufficio, che non siano espressamente previsti da norme di legge o da altre fonti normative o che non siano espressamente autorizzati, e, anche al fine di evitare potenziali conflitti di interessi, è tenuta a provvedere da sola ai compiti ad essa affidati dall’ordinamento, non potendo legittimamente eludere il principio di omnicomprensività della retribuzione del pubblico dipendente.

4.- Il primo motivo è inammissibile per violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione. In materia di pubblico impiego vige il principio ( D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 58, comma 2;

D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 53, comma 2) secondo cui "le pubbliche amministrazioni non possono conferire ai dipendenti incarichi, non compresi nei compiti e doveri di ufficio, che non siano espressamente previsti o disciplinati da legge o altre fonti normative, o che non siano espressamente autorizzati". L’autorizzazione è necessaria in tutte le ipotesi in cui il lavoratore abbia intenzione di assumere un incarico retribuito, essendo tale qualificazione espressamente prevista sia dal comma 6 delle suddette disposizioni – che ne fornisce una specifica definizione facendo riferimento a tutti quelli "per i quali è previsto, sotto qualsiasi forma, un compenso" – sia dal successivo comma 7. Al riguardo, questa Corte ha già rilevato – cfr. Cass. n. 22501/2006 – che la delibera di conferimento diretto di un incarico professionale emessa dall’organo collegiale dell’ente locale a favore di un dipendente dello stesso ente, pur non potendo valere come conferimento di incarico libero-professionale suscettibile di autonomo compenso (per il quale farebbe difetto il requisito della forma scritta), può essere interpretata come un ordine di servizio adottato dall’ente nei confronti del proprio dipendente per lo svolgimento di mansioni che possono rientrare o meno nei suoi compiti di ufficio, con la possibilità che sia previsto, in quest’ultimo caso, uno specifico compenso (nella fattispecie esaminata dalla sentenza sopra citata, si trattava della delibera di conferimento di un incarico riferito a mansioni esorbitanti dalle mansioni espletate dal pubblico dipendente, che, tuttavia, non prevedeva espressamente un determinato compenso per lo svolgimento di tale prestazione).

5.- Nella specie, il Comune contesta che il diritto azionato dal dipendente possa trovare fondamento nella Delib. Giunta Comunale 27 ottobre 1998, n. 1266 con cui era stato affidato al D.N. l’incarico della direzione dei lavori, anche perchè "la Giunta Comunale aveva – comunque – limitato l’incarico professionale al dicembre 1999", e dunque non potevano venire in rilevo mansioni espletate solo di fatto oltre tale scadenza.

Tali censure, tuttavia, non possono trovare ingresso in questa sede di legittimità perchè esse comportano l’esame di un atto amministrativo, la cui interpretazione è riservata al giudice di merito ed è censurabile in cassazione solo per violazione delle regole legali di ermeneutica negoziale (che devono essere specificante indicate nel ricorso) ovvero per vizi di motivazione, purchè, in ogni caso, venga interamente trascritto il testo dell’atto di cui si discute (cfr. ex plurimis Cass. n. 1893/2009, Cass. n. 18661/2006). In virtù del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, il ricorrente avrebbe dovuto, quindi, riportare nel ricorso il contenuto integrale della suddetta delibera – e avrebbe dovuto depositare copia della stessa delibera unitamente al ricorso ( art. 369 c.p.c.) – non potendo limitarsi a richiamare sic et simpliciter principi giurisprudenziali che riguardano, in generale, la necessità della forma scritta ai fini della validità del conferimento di un incarico professionale, prescindendo completamente dall’esame e dalla qualificazione dell’atto con cui, nel caso concreto, era stata affidata al dipendente la direzione dei lavori (esame che si rendeva tanto più necessario considerato che, nella fattispecie, a quanto risulta dagli scritti difensivi delle parti, era stato previsto un compenso su base mensile che, quanto meno per il periodo di tempo espressamente indicato nella delibera di Giunta, era stato regolarmente corrisposto al dipendente). Di qui l’inammissibilità del primo motivo.

6.- Il secondo motivo è infondato. Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, la Corte territoriale ha, infatti, preso in esame la questione relativa alla eccepita nullità del contratto per mancanza della forma scritta ed ha ritenuto di poterla superare in considerazione della natura dell’incarico e dell’avvenuta erogazione del compenso per il periodo previsto nella delibera di conferimento dell’incarico, sicchè non può dirsi sussistente un vizio di omessa motivazione sullo specifico punto.

7.- Il terzo motivo è inammissibile. Il ricorrente richiama i principi in tema di pubblico impiego secondo cui "le pubbliche amministrazioni non possono conferire ai dipendenti incarichi, non compresi nei compiti e doveri di ufficio, che non siano espressamente previsti o disciplinati da legge o altre fonti normative, o che non siano espressamente autorizzati" ( D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 58, comma 2, e D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 53, comma 2, già citati al precedente punto 4) e secondo cui lo svolgimento di un incarico rientrante nelle mansioni istituzionalmente espletate dal pubblico dipendente non può dare luogo a compensi di carattere aggiuntivo, ma – a fronte di una sentenza che ha accertato che l’incarico era stato espressamente attribuito al dipendente in forza di una apposita delibera della Giunta Comunale e che "le sottese responsabilità dell’appellante non potevano rientrare negli ordinari compiti della qualifica rivestita dal D.N. alle dipendenze del Comune appellato" – non indica in quale sede e modo sia stato accertato o sia stato ritenuto pacifico – in contrasto con quanto risulta dalla motivazione della sentenza impugnata – che i compiti di direttore dei lavori rientrassero in quelli ordinariamente e istituzionalmente svolti dal dipendente, e che tali compiti non potessero, dunque, dare luogo alla (legittima) corresponsione di un compenso aggiuntivo.

8.- Il ricorso va, dunque, rigettato con la conferma della sentenza impugnata, dovendosi ritenere assorbite in quanto sinora detto tutte le censure non espressamente esaminate. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio liquidate in Euro 50,00 per esborsi e Euro 2.500,00 per onorari, oltre i.v.a., c.p.a. e spese generali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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