Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
Con atto 20 aprile 2005 e date successive A.H. e B. M. hanno convenuto in giudizio innanzi al tribunale di Alessandria L.M.R. (titolare della sub agenzia Ina- Assitalia di (OMISSIS)) e F.D. (agente generale di Alessandria dell’Ina Assitalia), chiedendone la condanna in via tra loro solidale al pagamento, in favore della A., della somma di Euro 170.937,97, in favore della B. di Euro 232.400,00, oltre al risarcimento dei danni da lucro cessante e morali, da liquidare in via equitativa.
Le attrici, premesso di avere stipulato presso la sub agenzia della L. diverse polizze di capitalizzazione a premio unico, hanno esposto che la L. – falsificando i relativi documenti – si era appropriata dei versamenti eseguiti da esse concludenti per gli importi sopra indicati, che per tali fatti la stessa era stata tratta a giudizio innanzi al tribunale penale di Alessandria per rispondere dei reati di falso, truffa e appropriazione indebita e il relativo procedimento si era concluso con applicazione – ai sensi dell’art. 444 c.p.p. – della pena della reclusione per tre anni, che il F. doveva rispondere per tali fatti sia ai sensi dell’art. 2043 c.c., per omesso controllo nella gestione delle polizze sull’operato del subagente infedele, sia ai sensi degli artt. 1218 e 2049 c.c..
Costituitisi in giudizio i convenuti hanno eccepito la L. l’infondatezza della domanda mancando la documentazione degli asseriti versamenti, il F. la non autenticità delle polizze prodotte in copia fotostatica, la propria estraneità rispetto ai fatti descritti in citazione nonchè, infine, il compimento – da parte sua – dei controlli sulla attività del sub agente.
Svoltasi la istruttoria del caso, nel corso della quale era autorizzato il sequestro conservativo sui beni della L. in favore delle attrici, l’adito tribunale con sentenza 3 settembre 2007 ha condannato i convenuti, in via tra loro solidale, al pagamento, in favore della A. e della B. delle rispettive somma di Euro 179.482,12 e Euro 244.020,00 oltre rivalutazione e interessi, dichiarando altresì la L. tenuta a tenere indenne il F. da ogni esborso nei confronti delle attrici.
Gravata tale pronunzia dal solo F., nel contraddittorio della A. e della B. che, costituitesi in giudizio, hanno chiesto il rigetto del proposto gravame, nonchè della L., rimasta contumace, la Corte di appello di Torino con sentenza 9 marzo 2010 ha rigettato l’appello con condanna dell’appellante al pagamento delle spese del grado.
Per la cassazione di tale ultima pronunzia, notificata l’11 giugno 2010 ha proposto ricorso, affidato a tre motivi e illustrato da memoria, F.D..
Resistono con controricorso A.H. e B.M..
Non ha svolto attività difensiva in questa sede L.M.R..
Motivi della decisione
1. In limine rileva la Corte che l’art. 83 c.p.c., comma 3, nel testo risultante per effetto delle modifiche introdotte, con decorrenza dal 4 luglio 2009, dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 45, – secondo cui, per quanto qui interessa, la procura speciale può essere anche apposta in calce o a margine… della memoria di nomina del nuovo difensore in aggiunta o in sostituzione del difensore originariamente designato e in tali casi l’autografia della sottoscrizione della parte deve essere certificata dal difensore – si applica, giusta la non equivoca formulazione della ricordata L. n. 69 del 2009, art. 58, comma 1, esclusivamente ai giudizi instaurati dopo la data di entrata in vigore della detta L. n. 69 del 2009, cioè successivamente al 4 luglio 2009.
Non controverso quanto precede, pacifico che il presente giudizio è stato introdotto, in primo grado, con atto 20 aprile 1995 (e, quindi, ben anteriormente al 4 luglio 2009) è di palmare evidenza la inammissibilità della memoria 21 marzo 2012 con la quale le contro ricorrenti hanno nominato proprio difensore – in sostituzione del precedente – l’avv. Olimpia Criscuolo.
Il mandato a tale ultimo difensore, infatti, è stato rilasciato in margine alla detta memoria (e la autenticità della sottoscrizione delle mandanti risulta certificata dallo stesso avv. Criscuolo) e non – come previsto dall’art. 83 c.p.c. comma 3, nella formulazione applicabile ratione temporis con atto pubblico o scrittura privata autenticata (ex plurimis nel senso che nel giudizio di cassazione la procura speciale non può essere rilasciata a margine o in calce di atti diversi dal ricorso o dal controricorso, poichè l’art. 83 c.p.c., comma 3, nell’elencare gli atti in margine o in calce ai quali può essere apposta la procura speciale, indica, con riferimento al giudizio di cassazione, soltanto quelli suindicati e, pertanto, se la procura non è rilasciata in occasione di tali atti, è necessario il suo conferimento nella forma prevista dal comma 2 del citato articolo, cioè con atto pubblico o con scrittura privata autenticata, facenti riferimento agli elementi essenziali del giudizio, quali l’indicazione delle parti e della sentenza impugnata, Cass. 24 novembre 2010, n. 23816, che sottolinea come non può pervenirsi a una conclusione diversa nel caso in cui sopraggiunga la sostituzione del difensore nominato con il ricorso, da parte degli eredi del ricorrente deceduto nelle more del giudizio, non rispondendo alla disciplina del medesimo giudizio di cassazione, dominato dall’impulso d’ufficio a seguito della sua instaurazione con la notifica e il deposito del ricorso e non soggetto agli eventi di cui all’art. 299 c.p.c. e ss., il deposito di un atto redatto dal nuovo difensore su cui possa essere apposta la procura speciale).
2. Con il primo motivo il ricorrente censura la sentenza impugnata denunziando violazione dell’art. 2049 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, atteso che la disciplina di cui alla ricordata disposizione non trova applicazione con riguardo al rapporto intercorso tra esso concludente (agente di assicurazione) e la L. (subagente), non essendo questa ultima assimilabile a un agente di assicurazione e, ancor meno, a un dipendente.
Si invoca, al riguardo, l’autorità dell’insegnamento contenuto nella pronunzia di questa Corte 28 agosto 2007, n. 18191 secondo la quale, in particolare, l’agente di assicurazione non risponde dei danni causati all’assicurato dal subagente il quale, millantando poteri rappresentativi di cui era privo, abbia indotto l’assicurato alla stipula di un contratto inefficace.
3. Il motivo, manifestamente infondato – non può trovare accoglimento.
Alla luce delle considerazioni che seguono.
3.1. I padroni e committenti – prevede l’art. 2049 c.c. – sono responsabili per i danni arrecati dal fatto illecito dei loro domestici e commessi nell’esercizio delle incombenze a cui sono adibiti.
La pacifica giurisprudenza di questa Corte in margine alla richiamata disposizione è – come noto – consolidata nell’affermare che la responsabilità del preponente ex art. 2049 c.c., sorge per il solo fatto dell’inserimento dell’agente cioè di colui che ha posto in essere la condotta dannosa nell’impresa, senza che assumano rilievo nè la continuità dell’incarico affidatogli, nè l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato: basta che il comportamento illecito del preposto sia stato agevolato o reso possibile dalle incombenze a lui demandate dall’imprenditore e che il commesso abbia svolto la sua attività sotto il controllo del primo (in termini, ad esempio, Cass. 5 marzo 2009, n. 5370, specie in motivazione) atteso che il debitore che nell’adempimento dell’obbligazione si avvale dell’opera di terzi, ancorchè non alle sue dipendenze, risponde anche dei fatti dolosi o colposi dei medesimi (Cass. 13 aprile 2007, n. 8826).
In altri termini, con riferimento alla responsabilità dei padroni e committenti, ai fini dell’applicabilità della norma di cui all’art. 2049 c.c., non è richiesto l’accertamento del nesso di causalità tra l’opera dell’ausiliario e l’obbligo del debitore, nonchè della sussistenza di un rapporto di subordinazione tra l’autore dell’illecito ed il proprio datore di lavoro e del collegamento dell’illecito stesso con le mansioni svolte dal dipendente, essendo sufficiente, per il detto fine, un rapporto di occasionalità necessaria, nel senso che l’incombenza disimpegnata abbia determinato una situazione tale da agevolare o rendere possibile il fatto illecito e l’evento dannoso, anche se il dipendente (o, comunque il collaboratore dell’imprenditore) abbia operato oltre i limiti delle sue incombenze, purchè sempre nell’ambito dell’incarico affidatogli, così da non configurare una condotta del tutto estranea al rapporto di lavoro (Cass. 24 gennaio 2007, n. 1516).
Con riguardo – ancora – al particolare rapporto di agenzia non si dubita che gli agenti imprenditori possono avvalersi dell’operato di subagenti, cui rimane estranea l’impresa assicuratrice.
Il subagente assume lo stabile incarico di promuovere la conclusione di contratti di assicurazione nella zona affidata all’agente o in ambito più ristretto.
In una tale fattispecie il contratto di agenzia assicurativa va tenuto distinto da quello di subagenzia in quanto in quest’ultimo si promuove la conclusione dei contratti di assicurazione solo per conto dell’agente e non per conto di un’impresa assicuratrice.
I contratti di agenzia e subagenzia, pur avendo sostanzialmente un identico contenuto, si differenziano nettamente con riguardo alla persona del preponente (che nel contratto di agenzia è l’impresa, mentre in quello di subagenzia è l’agente) (cfr., ad esempio, Cass. 10 aprile 1999, n. 3545).
La subagenzia, quindi, costituisce un caso particolare di contratto derivato (subcontratto), unilateralmente funzionalmente collegato al contratto principale di agenzia, che ne è il necessario presupposto e ad esso si applica la disciplina del contratto principale, nei limiti consentiti o imposti dal collegamento funzionale.
La disciplina del rapporto di subagenzia è quindi sottoposta alla normativa in materia di agenzia di cui agli artt. 1742 – 1753 c.c., (Cass. 15 giugno 1994, n. 5795; Cass. 6 agosto 2004, n. 15190).
Come – pertanto – non si dubita – come del resto ammette la stessa difesa di parte ricorrente – che nel contratto di agenzia di assicurazione il preponente (cioè l’assicuratore) risponde anche ex art. 2049 c.c., dei fatti illeciti posti in essere dal proprio agente (pertanto, nella specie, l’Ina – Assitalia sarebbe stata responsabile di eventuali illeciti, ai danni degli assicurati, posti in essere nell’esercizio delle sue attribuzioni dal F.) non si comprende perchè – giusta l’assunto del ricorrente – debba essere esclusa la sua responsabilità per le condotte illecite realizzate dal proprio subagente L., certo essendo che nell’ambito di tale rapporto (di subagenzia) preponente è l’agente, collaboratore è il subagente.
3.2. Pacifico quanto precede si osserva che nella specie i giudici del merito hanno accertato, in linea di fatto, la sussistenza – in concreto – di tutte le condizioni per il sorgere della responsabilità del F. per la condotta del proprio subagente L..
E’ incontroverso, infatti, in causa, che la L. era inserita nella organizzazione di impresa del F., risultando la circostanza sia dal diritto di quest’ultimo di vigilanza e di controllo di tutta la organizzazione amministrativa della subagenzia (attività di vigilanza e controllo non solo prevista nella lettera di incarico per subagente professionista alla L. ma in concreto esercitata come risulta da tutte le deposizioni raccolte in causa, e dalle stesse difese del F.), sia dallo svolgimento dell’attività della L. in locali condotti in locazione in nome e nell’interesse del titolare prò tempore dell’agenzia generale (Id est del F.), sia dal divieto alla L. di occuparsi di affari di assicurazioni per compagnie diverse, sia dal divieto – per la L. – di accettazione di somme a qualsiasi titolo, senza preventiva autorizzazione scritta dell’agenzia generale, salvi gli incassi del portafogli, sia, ancora, l’accertata autorizzazione di tutti i subagenti a firmare assegni in girata per conto dell’INA esclusivamente allo scopo di versarli sui conti di direzione INA e Assitalia.
3.3. Quanto, da ultimo, al precedente di questa Corte ricordato in ricorso (Cass. 28 agosto 2007, n. 18191), il principio invocato dalla difesa del ricorrente non risulta enunciato nelle massime ufficiali, tratte da tale sentenza dall’Ufficio del Massimario di questa Corte.
Tale principio, inoltre, non si ricava dalla lettura di tale sentenza per esteso.
In particolare non solo non risulta in alcun modo che la invocata pronunzia abbia affermato il principio riportato in ricorso, ma pur discutendosi – in quella occasione – della condotta del subagente, la fattispecie esaminata era totalmente diversa da quella ora in esame.
Si invocava, infatti, in ricorso, di poter opporre alla società assicuratrice quanto posto in essere senza poteri – dal subagente e non risulta in quella fattispecie in alcun modo eccepita, dall’assicurato, una responsabilità ex art. 2049 c.c., dell’agente per la condotta del proprio subagente.
4. Con il secondo motivo il ricorrente censura la sentenza impugnata denunziando violazione dell’art. 2697 c.c., e dell’art. 115 c.p.c., in rapporto all’art. 360 c.p.c., n. 4, per avere il giudice del merito ritenuto integrata la prova del danno tramite la sola dichiarazione extragiudiziale della L., parte in giudizio.
Intimamente connesso al riferito motivo e, quindi, da esaminarsi congiuntamente a questo è il terzo, e ultimo motivo del ricorso (con il quale, ancorchè apparentemente sotto una diversa ottica, si ripropongono le stesse questioni sviluppate nel secondo motivo).
Con il terzo motivo – in particolare – il ricorrente censura la sentenza gravata lamentando, sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, la insufficienza di motivazione su un fatto controverso e decisivo attesa la stranezza della posizione delle parti contro ricorrenti le quali affermano di avere versato alla L., in plurime occasioni, la considerevole somma di 440 mila Euro senza un solo documento a sostegno (assegno, bonifico, ricevuta, quietanza di polizza) sì che la pretesa delle stesse non può fondarsi esclusivamente sulle dichiarazioni della sola L. corroborata dalla sentenza di patteggiamento).
5. I motivi non possono trovare accoglimento.
Alla luce delle considerazioni che seguono.
5. 1. Per aversi violazione dell’art. 2697 c.c., – rilevante sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, nella specie peraltro neppure espressamente dedotto, è indispensabile che il giudice abbia attribuito l’onere della prova a una parte diversa da quella che ne è gravata, secondo le regole dettate da quella norma, non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie il giudice abbia errato nel ritenere che la parte onerata abbia assolto tale onere, perchè in questo caso vi sarà solo un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 (tra le tantissime Cass. 5 settembre 2006, n. 19064; Cass. 10 febbraio 2006, n. 2935; Cass. 22 luglio 2004, n. 13618; Cass. 24 febbraio 2004, n. 362; Cass. 14 febbraio 2001, n. 2155).
5.2. Deve escludersi – contemporaneamente – che la sentenza impugnata sia censurabile sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4, (per nullità della sentenza o del procedimento) per avere posto, a fondamento della conclusione raggiunta, la confessione stragiudiziale resa da una delle parti in causa.
Deve ribadirsi, infatti, al riguardo, che nel vigente ordinamento processuale, improntato al principio del libero convincimento del giudice, è ammessa la possibilità che egli ponga a fondamento della decisione anche prove non espressamente previste dal codice di rito, purchè sia fornita adeguata motivazione della relativa utilizzazione (Cass. 5 marzo 2010, n. 5440; Cass. 8 maggio 2006, n. 10499).
In altri termini nell’ordinamento processuale vigente manca una norma di chiusura sulla tassatività tipologica dei mezzi di prova.
Deriva da quanto precede che il giudice può legittimamente porre a base del proprio convincimento anche prove cosiddette atipiche, purchè idonee a fornire elementi di giudizio sufficienti, se ed in quanto non smentite dal raffronto critico – riservato al giudice di merito e non censurabile in sede di legittimità, se congruamente motivato – con le altre risultanze del processo (Cass. 25 marzo 2004, n. 5965).
5.3. A prescindere dal considerare che non è controverso il rilascio da parte della L. delle polizze di capitalizzazione a premio unico per gli importi di cui si discute palesemente a fronte della avvenuta ricezione da parte della L. delle somme ivi indicate, come puntualmente – e correttamente – evidenziato dai giudici di secondo grado la circostanza che la L. abbia percepito le somme in questione risulta:
– dalla confessione stragiudiziale della stessa L., confessione che ex art. 2735 c.c., comma 1, è liberamente valutabile dal giudice (cfr., ad esempio, Cass. 15 dicembre 2011, n. 27042);
– dalla sentenza resa ai sensi dell’art. 444 c.p.p., la quale – per pacifica giurisprudenza sul punto – costituisce un importante elemento di prova per il giudice, il quale, ove intenda disconoscere tale efficacia probatoria, ha il dovere di motivarne le ragioni (Cass. 26 marzo 2012, n. 4804; Cass. 6 dicembre 2011, n. 26203; Cass. 20 luglio 2011, n. 15889);
– dalla stessa condotta sia extraprocessuale che processuale del F. (art. 116 c.p.c., comma 2) il quale, oltre a presentare denuncia querela nei confronti della L. per i fatti che ora assume non adeguatamente provati, ha chiesto (e ottenuto) per gli stessi fatti, dal tribunale di Alessandria, in funzione di giudice del lavoro, sequestro conservativo su tutti i beni della stessa L. sino alla concorrenza di un milione e trecentomila Euro, sequestro eseguito presso terzi e trascritto sui beni immobili della stessa L..
E’ evidente, conclusivamente, che non sussiste una insufficiente motivazione della sentenza gravata per avere questa ritenuto provato il danno subito dalle contro ricorrenti a causa del comportamento del proprio subagente.
Specie tenuto presente che il vizio di insufficiente motivazione, deducibile in sede di legittimità ex art. 360 c.p.c., n. 5, sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia e non può invece consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, perchè la citata norma non conferisce alla Corte di legittimità il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico- formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito al quale soltanto spetta di individuare le fonti del proprio convincimento e, a tale scopo, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, e scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (Tra le tantissime, ad esempio, Cass. 17 giugno 2011, n. 13398).
6. Risultato infondato in ogni sua parte, il proposto ricorso, in conclusione, deve rigettarsi, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
LA CORTE rigetta il ricorso;
condanna il ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità liquidate in Euro 200,00, oltre Euro 5.000,00 per onorari e oltre spese generali e accessori come per legge.
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