CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. II CIVILE – SENTENZA 18 maggio 2011, n.10910 CONTRATTO D’OPERA PROFESSIONALE CON LA P.A.

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Motivi della decisione

Con il primo motivo il ricorrente ha prospettato la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 16 e 17 R.D. 18.11.1923 n. 2440, nonché la insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 comma 1, nn. 3 e 5 c.p.c..

Il ricorrente deduce che erroneamente la corte territoriale avrebbe ritenuto che il requisito della forma scritta, prescritto da R.D. n. 2440/1923, sarebbe soddisfatto solamente dalla sottoscrizione del disciplinare di incarico, essendo al contrario principio assolutamente consolidato quello per il quale il requisito della forma scritta potrebbe essere integrato senza contestualità delle sottoscrizioni delle parti. Il motivo non merita accoglimento.

Per il contratto d’opera professionale, quando ne sia parte una pubblica amministrazione e pur ove questa agisca iure privatorum, é infatti, richiesta, in ottemperanza al disposto degli artt. 16 e 17 del R.D. 18.11.1923 n. 2240, come per ogni altro contratto stipulato dalla pubblica amministrazione stessa, la forma scritta ad substantiam, che é strumento di garanzia del regolare svolgimento dell’attività amministrativa nell’interesse sia del cittadino, costituendo remora ad arbitrii, sia della collettività, agevolando l’espletamento della funzione di controllo, ed é, quindi, espressione dei principi d’imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione posti dall’art. 97 della Costituzione; pertanto, il contratto deve tradursi, a pena di nullità, nella redazione d’un apposito documento, recante la sottoscrizione del professionista e del titolare dell’organo attributario del potere di rappresentare l’Ente interessato nei confronti dei terzi, dal quale possa desumersi la concreta instaurazione del rapporto con le indispensabili specifiche e puntuali determinazioni in ordine sia alla prestazione da rendere sia al compenso da corrispondere (ex pluribus, Cass. 17.5.2010 n. 12032; Cass. 1.4.2010 n. 8000; Cass. SU. 22.3.2010 n. 6827; Cass. 26.10.2007 n. 22537; Cass. 26.1.2007 n. 1752; Cass. 19.10.2006 n. 22501; Cass. 18.4.2006 n. 8950; Cass. 12.4.2006 n. 8621; Cass. 2.3.2006 n. 4635; Cass. 24.11.2005 n. 24826; Cass. 30.7.2004 n. 14570).

Di conseguenza, ai fini d’una valida conclusione del contratto rimane del tutto irrilevante l’esistenza di una deliberazione con la quale l’organo collegiale dell’Ente abbia autorizzato il conferimento dell’incarico al professionista, ove tale deliberazione non risulti essersi tradotta nel necessario distinto ed autonomo documento sottoscritto dal rappresentante esterno dell’Ente stesso e dal professionista, giacché detta deliberazione non costituisce una proposta contrattuale nei confronti di quest’ultimo, ma un atto con efficacia interna all’Ente che, almeno ai fini che ne occupano, ha solo natura autorizzatoria e quale unico destinatario il diverso organo legittimato ad esprimerne la volontà all’esterno (Cass. 18.6.2008 n. 16576; Cass. 26.1.2007 n. 1752; Cass. 19.10.2006 n. 22501; Cass. 2.3.2006 n. 4635; Cass. 24.11.2005 n. 24826; Cass. 30.7.2004 n. 14570; Cass. 21.11.2003 n. 17695).

Del pari irrilevante a tal fine é anche la lettera con la quale il detto rappresentante esterno dell’Ente porti a conoscenza del professionista l’intervenuta deliberazione, con la quale l’organo collegiale dell’Ente medesimo abbia manifestato la volontà d’affidare l’incarico, quand’anche in essa possa ravvisarsi una proposta, così come irrilevante é che il destinatario a sua volta invii altro atto suscettibile d’essere interpretato quale accettazione, trattandosi di procedimento del tutto inidoneo alla costituzione d’un valido rapporto contrattuale, in quanto ne continua, non di meno, a difettare la necessaria formalizzazione nei modi normativamente prescritti. Se pure, infatti, la legge sulla contabilità generale dello Stato, alla quale fa espresso richiamo la disciplina dei contratti degli Enti locali, consente, ferma restando la forma scritta, la conclusione a distanza del contratto a mezzo corrispondenza, tuttavia tale modalità di costituzione può essere utilizzata per i soli rapporti con le imprese commerciali – i quali, per intuibili esigenze di praticità, possono anche essere definiti nel loro contenuto con riferimento agli "usi del commercio" per quanto concerne sia il prezzo sia le modalità d’esecuzione – ma non per la costituzione di rapporti complessi, quali quelli aventi ad oggetto il conferimento d’un incarico professionale, la cui costituzione non può aver luogo, e la cui sussistenza non può essere desunta, se non mediante la formazione del suindicato imprescindibile documento dal quale soltanto, e non aliunde, tutti i necessari e puntualmente indicativi elementi identificativi della prestazione e del relativo compenso possono essere legittimamente desunti (Cass. 18.6.2008 n. 16576; Cass. 26.1.2007 n. 1752; Cass. 19.10.2006 n. 22501; Cass. 2.3.2006 n. 4635; Cass. 24.11.2005 n. 24826; Cass. 30.7.2004 n. 14570; Cass. 21.11.2003 n. 17695).

Né potrebbe, in ipotesi, utilmente invocarsi, ai fini della prospettata tesi della valida costituzione del rapporto, l’affidamento che il professionista avrebbe potuto riporre nelle pur inidonee attività poste in essere dall’Ente, dacché, nel tipo di rapporto in discussione, l’invalidità del negozio deriva da disposizioni generali da presumersi note ai consociati – e, particolarmente, al professionista, soggetto che, per sua specifica competenza in materia, non può essere considerato ignaro della normativa regolatrice della materia stessa – onde é da escludere un affidamento incolpevole della parte adempiente, affidamento che, in presenza delle richiamate specifiche norme imperative regolatrici della materia, neppure può trovare giustificazione in una eventuale difforme "prassi" degli Enti, giacché precedenti di comportamenti invalidi della Pubblica Amministrazione né legittimano affidamento siffatto né possono essere invocati sotto i profilo dell’errore incolpevole (Cass. 6.12.2001 n. 15486).

Dunque come correttamente evidenziato dalla corte territoriale, i documenti prodotti in sede di procedimento monitorio a sostegno della domanda, in particolare la delibera della giunta municipale n. 768/GM del 3.9.1986, nonché quella antecedente n. 101 del 10.2.1986, cui era allegato il relativo disciplinare, e la lettera del Sindaco del 20.10.1986 prot. n. 15510 con la quale comunicava al professionista l’affidamento dell’incarico di progettazione, non costituiscono prova valida del dedotto rapporto. Del resto dallo stesso tenore della comunicazione inviata al professionista dal Sindaco – trascritta integralmente nel ricorso – emerge la mancanza di requisiti essenziali (es. determinazione del compenso, definizione del rapporto, durata,…) per poter essere definita anche quale proposta contrattuale.

Né la stessa può essere integrata con le previsioni contenute nelle delibere di autorizzazione dell’organo collegiale del Comune, di cui si é detto sopra, stante la natura meramente autorizzatoria di detti atti, con efficacia interna nei soli confronti dell’unico destinatario, ossia il diverso organo legittimato ad esprimere la volontà all’esterno. Né la deduzione di parte ricorrente secondo cui si sarebbe fatto riferimento all’ipotesi di clausola compromissoria contraddice la conclusione cui é pervenuta la corte di merito, in quanto nella specie manca del tutto una manifestazione di volontà riconducibile a fattispecie contrattuale.

Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1175 e 1375 c.c. e della legge n. 241/1990, nonché motivazione insufficiente e contraddittoria su un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5 c.p.c..

La Corte territoriale avrebbe errato nell’affermare che la nullità del contratto d’opera professionale non faccia residuare a carico della pubblica amministrazione alcuna responsabilità contrattuale e ciò sia quindi sufficiente ad escludere che l’attore abbia svolto azioni per responsabilità contrattuale, rigettandone la domanda. Occorre al riguardo preliminarmente rilevare che si tratta di domanda introdotta per la prima volta dal ricorrente con la comparsa di costituzione avanti alla Corte di appello di Brescia, avendo – di converso – in primo grado esercitato azione di adempimento. Ciò precisato, il ricorrente nell’incentrare la censura in riferimento al concetto di responsabilità della pubblica amministrazione, dimostra di non avere colto la ratio decidendi della sentenza impugnata, non potendosi far valere l’inadempimento, con relativo risarcimento danni, allorché sia stata esercitata dal creditore l’azione di adempimento.

Del resto l’eventuale domanda ex art. 2041 c.c. proposta nei confronti del Comune é da ritenere inammissibile per difetto di sussidiarietà di detta azione. Al più nella specie era da configurare la proposizione dell’azione di indebito arricchimento, che però sarebbe stata nuova e dunque inammissibile (v. Cass. 6.7.2007 n. 15296). In conclusione il ricorso va respinto alla stregua delle precedenti considerazioni. Al rigetto del ricorso consegue, come per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di Cassazione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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