T.A.R. Lazio Roma Sez. I bis, Sent., 15-12-2011, n. 9811

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con il ricorso introduttivo del giudizio la ricorrente P.R. ha chiesto l’accertamento del suo diritto ad essere inquadrata nella qualifica funzionale e profilo professionale superiori così come indicato in epigrafe.

La ricorrente, dipendente civile del Ministero della Difesa, in servizio presso S.M.M.E.P., inquadrata ai sensi dell’art. 4, ottavo comma, della legge n. 312/80 nel profilo professionale n. 25 della IV qualifica funzionale, fa presente di essere stata assegnata, a decorrere dal 1981, allo svolgimento delle superiori mansioni di assistente amministrativo, inerenti il profilo professionale n. 2 della VII qualifica funzionale, il cui espletamento risulta da atti formali della P.A.

Con lettera dell’11 maggio 1992 la ricorrente inoltrava all’Amministrazione competente una richiesta di inquadramento nella VII qualifica funzionale, profilo professionale n. 2, ai sensi del 10° comma dell’art. 4 della legge n. 312/80.

L’Amministrazione non adottava alcun provvedimento limitandosi a fornire all’interessata una risposta evasiva e comunque interlocutoria con foglio n. 24303 del 4 giugno 1992.

Ritenendo erroneo ed illegittimo il comportamento dell’Amministrazione la ricorrente ha proposto il presente ricorso, nel quale ha sollevato, in via pregiudiziale, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 57 del D. L.vo n. 29 del 3 febbraio 1993 in relazione all’art. 3 della Costituzione, nella parte in cui, in deroga all’art. 2103 del Cod. civ., prevede che l’esercizio temporaneo di mansioni superiori non attribuisca al dipendente il diritto all’assegnazione definitiva delle stesse.

L’Amministrazione intimata si è costituita formalmente in giudizio a mezzo dell’Avvocatura Generale dello Stato.

Alla pubblica udienza del 18 maggio 2011 la causa è passata in decisione.

Motivi della decisione

1. Il Collegio osserva che la ricorrente, dipendente civile del Ministero della Difesa, in servizio presso S.M.M.E.P., sul presupposto di aver svolto dal 1981 mansioni superiori rientranti nell’ambito del profilo professionale n. 2 della VII qualifica funzionale, ha chiesto l’accertamento del suo diritto ad un diverso superiore inquadramento.

Al riguardo, è stato sostenuto che l’Amministrazione avrebbe erroneamente interpretato le disposizioni contenute nel d. lgs. n. 29/1993, senza tenere conto che la parte ricorrente aveva maturato tale diritto nella vigenza dell’abrogato comma 10 dell’articolo 4 della legge n. 312 del 1980, il quale prevedeva l’inquadramento nella corrispondente qualifica funzionale per i dipendenti che svolgevano da oltre cinque anni mansioni superiori, previo espletamento di una prova selettiva mai indetta dall’Amministrazione.

Peraltro, tale pretesa, a parere della ricorrente, non sarebbe in contrasto con quanto stabilito dall’art. 57 del d. lgs. n. 29/1993, considerando che l’interessato aveva svolto per un lungo numero di anni mansioni superiori e che, quindi, in ragione delle necessità funzionali e organizzative dell’Amministrazione, le mansioni assegnate avevano acquistato i caratteri della definitività e dell’irreversibilità, sicchè non si comprendono le ragioni per le quali l’Amministrazione non avrebbe potuto soddisfare le richieste della parte ricorrente, se non altro per ragioni di equità e di giustizia sostanziale.

Comunque, lo svolgimento di mansioni superiori con le modalità e per il tempo indicati, hanno determinato il consolidamento della situazione soggettiva della ricorrente.

La ricorrente ha, inoltre, dedotto la violazione dell’art. 57 del D. Lgs. 3/2/93, n. 29, in quanto la disciplina introdotta con il citato articolo 57 ha previsto che "l’utilizzazione del dipendente può essere disposta esclusivamente per un periodo non eccedente i tre mesi (I comma). Nel caso di assegnazione a superiori mansioni il dipendente ha diritto al trattamento economico corrispondente all’attività per il periodo di espletamento delle medesime…". In sostanza, in deroga all’art. 2103 c.c. tale normativa non ha previsto che l’esercizio temporaneo di mansioni superiori attribuisca il diritto all’assegnazione definitiva delle stesse. Nel caso di specie, però, le superiori mansioni corrispondenti alla VI qualifica funzionale ex D.P.R. n. 12189/84, assegnate ed espletate dalla ricorrente per molti anni in favore del Ministero della Difesa, hanno acquisito nel corso del tempo, in ragione delle necessità funzionali ed organizzative dell’articolazione pubblica, il predicato della definitività e della non reversibilità, risolvendosi nella sostanza in una riscontrata modificazione dei compiti in origine assegnati al dipendente. L’eccezionalità e la particolarità della condizione lavorativa della ricorrente impongono, quindi, per ragioni di equità e giustizia sostanziale, la declaratoria del diritto alla tutela apprestata al prestatore di lavoro dall’art. 2103 c.c. sia in ordine alla richiesta di inquadramento professionale superiore, sia ai fini del riconoscimento del diritto alla liquidazione delle differenze retributive medio tempore maturate e mai corrisposte dall’Amministrazione.

In via pregiudiziale la ricorrente ha sollevato la questione di legittimità costituzionale del suddetto art. 57 in relazione all’art. 3 della Costituzione nella parte in cui, in deroga all’art. 2103 del Cod. civ., stabilisce che l’esercizio temporaneo di mansioni superiori non attribuisca al pubblico dipendente il diritto all’assegnazione definitiva delle stesse.

In subordine, la ricorrente ha evidenziato che la giurisprudenza della Corte Costituzionale (sent. n.57 del 23/2/89), in tema di prestazioni lavorative di fatto ha sancito il principio per cui il difetto di atto formale che conferisca al dipendente l’assegnazioni a mansioni superiori è supplito dal principio della prestazione di fatto di cui all’art. 2126 c.c., applicabile anche ai rapporti di pubblico impiego. Per cui l’Amministrazione non può disconoscere al ricorrente il diritto di godere del maggior trattamento economico sulla base anche del disposto dell’art. 2126 c.c.

2. Il Collegio ritiene che la domanda avanzata dalla parte ricorrente – di accertamento del diritto di essere inquadrato in un diverso profilo professionale – sia infondata e debba essere respinta per le ragioni di seguito indicate.

L’art. 4 del D.P.R. n. 312/1980 (recante il Nuovo assetto retributivofunzionale del personale civile e militare dello Stato), richiamato dalla ricorrente, nel disciplinare il primo inquadramento nelle qualifiche funzionali del personale in servizio al 1° gennaio 1978 ha, tra l’altro, stabilito che "il personale che ritenga di individuare in una qualifica funzionale superiore a quella in cui è stato inquadrato le attribuzioni effettivamente svolte da almeno cinque anni può essere sottoposto, a domanda da presentarsi entro 90 giorni dall’entrata in vigore della presente legge e previa favorevole valutazione del consiglio di amministrazione, ad una prova selettiva intesa ad accertare l’effettivo possesso della relativa professionalità" (comma 10).

Tale comma è stato abrogato dall’art. 74, D. Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29 e dall’art. 72, D. Lgs. 30 marzo 2001, n. 165 ma durante la sua vigenza risulta evidente che non si è addivenuti ad un nuovo inquadramento dell’interessato non tanto perché l’Amministrazione non avesse disposto la prova selettiva intesa ad accertare l’effettivo possesso della relativa professionalità (prevista dall’ultima parte del citato comma 10, dell’art. 3, D.P.R. n. 312/1980), quanto perché la ricorrente non risulta aver presentato (come imposto dalla norma richiamata) domanda entro 90 giorni dall’entrata in vigore della norma citata al fine di essere sottoposto alla valutazione del Consiglio di Amministrazione ed alla prova selettiva tesa ad accertare l’effettivo possesso della sua professionalità.

Appare evidente, pertanto, che la ricorrente non può lamentare di non aver ottenuto un diverso inquadramento, posto che non risulta neanche averlo chiesto a tempo debito.

Né si può giungere ad una diversa conclusione sulla base di quanto stabilito dall’art. 57 del d.lgs. n.29/1993 (poi trasfuso nel d.lgs. n.165/2001), in quanto tale norma, nel dettare disposizioni in tema di mansioni superiori, ha stabilito che solo "per obiettive esigenze di servizio, il prestatore di lavoro può essere adibito a mansioni immediatamente superiori: a) nel caso di vacanza di posto in organico, per un periodo non superiori a tre mesi dal verificarsi della vacanza, salva possibilità di attribuire le mansioni superiori ad altri dipendenti per non oltre tre mesi ulteriori della vacanza stessa; b) nel caso di sostituzione di altro dipendente con diritto alla conservazione del posto per tutto il periodo di assenza, tranne quello per ferie". Ma "L’assegnazione alle mansioni superiori è disposta, con le procedure previste dai rispettivi ordinamenti, dal dirigente preposto all’unità organizzativa presso cui il dipendente presta servizio, anche se in posizione di fuori ruolo o comando, con provvedimento motivato, ferma restando la responsabilità disciplinare e patrimoniale del dirigente stesso. Qualora l’utilizzazione del dipendente per lo svolgimento di mansioni superiori sia disposta per sopperire a vacanze dei posti di organico, contestualmente alla data in cui il dipendente è assegnato alle predette mansioni devono essere avviate le procedure per la copertura dei posti vacanti". E, comunque, "Non costituisce esercizio di mansioni superiori l’attribuzione di alcuni soltanto dei compiti propri delle mansioni stesse, disposta ai sensi dell’articolo 56, comma 2".

Tali disposizioni, peraltro, hanno assunto efficacia a decorrere dalla data di emanazione, in ciascuna Amministrazione, dei provvedimenti di ridefinizione degli Uffici e delle piante organiche di cui agli articoli 30 e 31 e, comunque, a decorrere dal 31 dicembre 1996 (art.57, comma 6, d.lgs. n.29/1003).

Va, quindi, rigettata la domanda della ricorrente volta ad ottenere l’accertamento del diritto all’inquadramento superiore richiesto.

In ordine, infine, alla dedotta questione di legittimità costituzionale dell’art. 57 del D. L.vo n. 29 del 1993, la stessa si appalesa manifestamente infondata, attesa la particolare natura del rapporto di pubblico impiego nel quale non possono assumere alcun rilievo le mansioni superiori svolte dai pubblici dipendenti, sia ai fini giuridici che economici, salvo i casi in cui una espressa norma di legge intenda derogare a tale principio nei soli limiti da essa sanciti.

3. Alla luce delle considerazioni che precedono il Collegio ritiene che il ricorso sia infondato e debba essere respinto.

4. Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna la ricorrente al pagamento, in favore dell’Amministrazione resistente, delle spese del presente giudizio che liquida in complessivi Euro 2.000,00 (duemila).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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