Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 26-10-2011) 11-11-2011, n. 41161 Reato continuato e concorso formale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. – Con ordinanza, deliberata il 20 settembre 2009 e depositata il 25 settembre 2009, il Tribunale ordinario di Benevento, in composizione monocratica e in funzione di giudice della esecuzione, ha respinto la richiesta avanzata dal condannato R.S. per il riconoscimento della continuazione tra sette delitti di ricettazione (uno dei quali commesso in concorso col delitto di truffa e un altro in concorso col delitto di falsificazione di monete), motivando, dopo aver richiamato pertinenti principi di diritto: "non è emerso alcun elemento idoneo a ritenere che i reati posti in essere dal R. siano stati commessi in esecuzione di una medesima risoluzione criminosa"; i fatti sono stati commessi nell’arco di circa due anni; se è pur vero che "il notevole lasso di tempo intercorso tra una violazione e l’altra non vale" di per sè a escludere la continuazione, comportando, piuttosto, la necessità di più pregnanti "indici rivelatori", nella specie il condannato si è "limitato unicamente a una mera elencazione di reati", senza offrire "prove o argomentazioni tali da dimostrare l’unicità del disegno criminoso", semplicemente asserita; la necessità di "garantirsi sia pure illecitamente delle entrate" ha plausibilmente determinato "singole azioni criminose"; senza che, tuttavia, le condotte siano riconducibili "a una visione criminosa di natura unitaria idonea a cementarle nell’ambito del medesimo disegno". 2. – Ricorre per cassazione il condannato, col ministero del difensore di fiducia, avvocato Romolo Vignola, mediante atto del 14 ottobre 2010, col quale denunzia promiscuamente "violazione" dell’art. 671 cod. proc. pen., contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, nonchè travisamento del fatto.

Il difensore deduce: il giudice della esecuzione ha contraddittoriamente negato la continuazione pur avendo riconosciuto che "le condotte erano cementate da una volontà unitaria"; invero la sequela dei reati si connette alle "vicende personali e professionali accadute nel periodo tra l’anno 1999 e il 2000 nel corso del quale il R. maturava la ideazione del programma criminoso", essendosi reso conto "di non poter ereditare il mandato di agente assicurativo del padrè e avendo, quindi, deciso "di commettere una serie di reati sfrullando la sua esperienza nel settore finanziario"; le condotte delittuose furono "concepite e decise nelle loro caratteristiche essenziali sin dal momento iniziale della attività criminosa per conseguire un determinato fine"; i reati furono commessi nell’arco di cinque mesi (tra l'(OMISSIS)), salvo l’ultimo, commesso, sei mesi dopo nel (OMISSIS); mentre erronea è la data di commissione della ricettazione (oggetto del decreto di condanna del giudice per le indagini preliminari del tribunale ordinario di Santa Maria Capua Vetere 19 novembre 2003), indicata nel relativo capo di imputazione e desunta dalla falsa data dell’assegno ricettato ((OMISSIS)), dovendo piuttosto "che la condotta sia avvenuta in epoca prossima" alla iscrizione nel registro delle notizie di reato ((OMISSIS)); il giudice della esecuzione nel supporre un arco temporale "molto più ampio del reale" è incorso nel travisamento del fatto; e concorre la violazione dell’art. 671 cod. proc. pen..

3. – Il procuratore generale della Repubblica presso questa Corte, con atto del 15 marzo 2001, osserva dopo alcune considerazioni di carattere generale in ordine alla continuazione: non sono risolutivi il parametro temporale, la omogeneità/eterogeneità dei reati, il modus operandi, i loci commissi delicti; rilevano piuttosto il "nesso funzionale" lo scopo perseguito dall’agente, presupposto della programmazione criminosa; la identità del relativo disegno non necessita della prova al di là di ogni ragionevole dubbio; basta che "l’ipotesi della continuazione raggiunga la soglia della ragionevolezza"; correlativamente il diniego della continuazione richiede la prova al di là di ogni ragionevole dubbio della esclusione del disegno criminoso; nel caso in esame il giudice della esecuzione ha posto illegittimamente a carico del condannato l’onere della dimostrazione della continuazione e ha trascurato di analizzare i singoli reati "alfine di accertare la possibile ricorrenza di elementi di fatto tali da integrare il disegno criminoso". 4.- Il ricorso è infondato.

4.1 – Non ricorre il vizio della violazione di legge:

– nè sotto il profilo della inosservanza (per non aver il giudice a quo applicato una determinata disposizione in relazione all’operata rappresentazione del fatto corrispondente alla previsione della norma, ovvero per averla applicata sul presupposto dell’accertamento di un fatto diverso da quello contemplato dalla fattispecie);

– nè sotto il profilo della erronea applicazione, avendo il giudice della esecuzione esattamente interpretato le norme applicate, alla luce dei principi di diritto fissati da questa Corte, nè, oltretutto, opponendo il ricorrente alcuna alternativa interpretazione a quella correttamente seguita nel provvedimento impugnato.

4.2 – Neppure ricorre vizio alcuno della motivazione.

La supposta contraddittorietà della motivazione appare piuttosto frutto della improprietà e incongruenza espressiva della infelice proposizione, contenuta nella ordinanza e riportata dal ricorrente, risultando, invero, palese dal tenore del provvedimento la categorica negazione della "volontà unitarià che avrebbe "cementato" tutte le condotte.

La considerazione della tempistica dei reati – peraltro oggetto, quanto alla ricettazione relativa al succitato decreto di condanna, di mera illazione in punto di fatto del difensore che postula la posticipazione della data di commissione del reato – non assume valenza rilevante in rapporto alla ratio decidendi.

Dirimente è il rilievo, di carattere negativo, del giudice della esecuzione circa la assenza di elementi che accreditino la supposizione che i reati siano frutto di una unica, iniziale risoluzione criminosa.

A tal fine privo affatto privo di pregio è il nebuloso riferimento del difensore alle vicende personali e professionali del condannato tra la fine del (OMISSIS), in mancanza della indicazione di specifiche circostanze che diano positivamente conto della precisa insorgenza del proponimento criminoso e del concepimento unitario e contestuale di tutti i delitti successivamente commessi.

Conclusivamente il giudice a quo ha dato conto adeguatamente – come illustrato nel paragrafo che precede sub 1. – delle ragioni della propria decisione, sorretta da motivazione congrua, affatto immune da illogicità di sorta, sicuramente contenuta entro i confini della plausibile opinabilità di apprezzamento e valutazione (v. per tutte:

Cass., Sez. 1, 5 maggio 1967, n. 624, Maruzzella, massima n. 105775 e, da ultimo, Cass., Sez. 4, 2 dicembre 2003, n. 4842, Elia, massima n. 229369) e, pertanto, sottratta a ogni sindacato nella sede del presente scrutinio di legittimità; laddove le deduzioni, le doglianze e i rilievi residui espressi dal ricorrente, benchè inscenati sotto la prospettazione di vitia della motivazione, si sviluppano tutti nell’orbita delle censure di merito, sicchè, consistendo in motivi diversi da quelli consentiti dalla legge con il ricorso per cassazione, sono inammissibili à termini dell’art. 606 c.p.p., comma 3. 4.3 – Conseguono il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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