Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 26-10-2011) 11-11-2011, n. 41113 Associazione per delinquere

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. La Corte di Appello di Roma, con sentenza deliberata il 18 maggio 2011, riformando parzialmente quella del GUP della sede, impugnata da C.A., B.L., Ch.Gi., Ma.Si., M.G., F.R. e S.F.:

– assolveva il C. ed il M. dal reato "associativo" di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, commi 1 e 2, ad essi ascritto al capo 1) della rubrica, perchè il fatto non sussiste;

– confermava la dichiarazione di penale responsabilità dei predetti appellanti in relazione ai reati "fine" contestati ai capi 1), 2), 6), 7), 8), 9), 10), e 11) della rubrica, ed esclusa, con riferimento ai soli capi 6), 8) e 9) della rubrica, l’aggravante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80, comma 2, riduceva, per l’effetto, la pena inflitta nel giudizio di primo grado, quanto al C., ad anni 12 di reclusione ed Euro 50.000,00 di multa; quanto al M., ad anni 11 e mesi 4 di reclusione ed Euro 48.000,00 di multa;

– confermava la dichiarazione di penale responsabilità degli appellanti Ch., Ma. e F. in relazione ai reati contestati ai capi 6) e 7) della rubrica, e per effetto dell’esclusione dell’aggravante della quantità ingente di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80, comma 2, riduceva la pena inflitta al Ch. nel giudizio di primo grado, ad anni 8 e mesi 8 di reclusione ed Euro 40.000,00 di multa; la pena inflitta al Ma. ed al F., ad anni 7 e mesi 8 di reclusione ed Euro 27.000,00 di multa ciascuno;

– confermava la condanna dell’appellante B. alla pena di anni 4 e mesi 6 di reclusione ed Euro 18.000,00 di multa, siccome colpevole dei reati a lui ascritti ai capi 3) e 4) della rubrica;

– confermava la condanna di S. alla pena di anni 5 di reclusione ed Euro 18.000,00 di multa, siccome colpevole del reato continuato di cui al capo 12 della rubrica.

1.1 Come specificato nella sentenza impugnata, il procedimento definito con la stessa traeva origine da una complessa attività investigativa che aveva avuto inizio nell’agosto del 2005 – a seguito dell’arresto di F.P. eseguito nel settembre di quell’anno ed al contestuale sequestro di circa 490 grammi (lordi) di cocaina – e si era poi sviluppata mediante l’intercettazione di numerose utenze telefoniche e di colloqui ambientali. Tale attività investigativa, prevalentemente incentrata sull’attività di intercettazione di plurime utenze telefoniche, ma integrata, altresì, anche da servizi di osservazione "mirati", pur non fornendo – secondo i giudici di appello – una "prova certa e tranquillante" dell’esistenza di una vera e propria struttura associativa, ancorchè rudimentale, anche in considerazione dell’avvenuto proscioglimento dal reato associativo, già in primo grado, dei pretesi partecipi F., Ma. e Ch., aveva comunque consentito di disvelare gli stretti rapporti sussistenti tra gli indagati M., C., F., Ch. e Ma., ed il loro sicuro riferirsi all’acquisto da fornitori esteri (prevalentemente sudamericani) ed alla successiva importazione in Italia per lo spaccio, di quantitativi di sostanze stupefacenti, talora anche consistenti, come dimostrato anche dai sequestri di dette sostanze, operati in Brasile il 27 marzo 2006 (oltre 6 kg di cocaina);

all’aeroporto di Roma-Ciampino il 29-30 maggio 2006 (3,5 kg di cocaina); all’aereoporto di (OMISSIS) (11 kg di cocaina); a (OMISSIS) (45.000 pasticche di ecstasy), e ciò malgrado il ricorso da parte degli indagati a metodiche collaudate per assicurare la massima riservatezza ai contatti (utilizzo di cabine telefoniche pubbliche, incontri personali, scambio di utenze riservate, periodica sostituzione delle stesse).

1.2 Con riferimento alle questioni prospettate nei motivi di appello che assumono ancora rilevanza nel presente giudizio, la pronuncia della Corte territoriale, risulta così articolarsi:

– tutte le conversazioni telefoniche intercettate – salvo quelle captate sulle utenze cellulari spagnole utilizzate dal M. e dirette ad utenze sudamericane, ovvero alle utenze del Ch., quando costui si trovava in Belgio -dovevano ritenersi utilizzabili, anche se eseguite su utenze estere, tenuto conto dell’ormai pacifica legittimità della tecnica del così detto "instradamento", la quale, comportando il "convogliamelo" delle chiamate partenti da una certa zona all’estero in un "nodo" (ponte telefonico) posto In Italia, e viceversa, non configura alcuna violazione della sovranità di uno Stato estero;

– l’inutilizzabilità delle telefonate "estero su estero", già dichiarata dal tribunale del riesame, non assumeva alcuna decisiva rilevanza nel giudizio di appello, in quanto la sentenza del GUP, pur facendo "alcuni riferimenti" al loro contenuto, non poteva ritenersi, però, "fondata" sulle stesse;

– il "fatto storico" dell’esistenza di contatti fra il M. ed i "fornitori sudamericani" ed il coimputato Ch., non può ritenersi accertato illegittimamente dal primo giudice, a ragione dell’inutilizzibilità delle telefonate "estero su estero", desumendosi esso anche dalle conversazioni del M. con il C. e gli altri imputati ed essendo l’attività captativa a carico di tale ultimo indagato iniziata nel novembre 2005, molto tempo prima che venissero disvelati i suoi traffici Internazionali, In particolare con il M.;

– l’esame dei decreti autorizzativi delle altre intercettazioni, porta ad escludere la fondatezza dell’assunto difensivo secondo cui la motivazione degli stessi si baserebbe effettivamente su elementi desunti proprio delle conversazioni "estero su estero", con conseguente configurabilità, in tal caso, di una "inutilizzabilità derivata" anche di tali intercettazioni;

– alla luce della più recente giurisprudenza di legittimità in tema di "remotizzazlone" (la sentenza delle Sezioni Unite n. 36359 del 26 giugno 2008, imp. Carli) nessun profilo di inutllizzabilità delle intercettazioni è ravvisabile con riferimento alla circostanza che l’attività di trascrizione delle telefonate – ma non già quella di registrazione – sia stata svolta al di fuori dei locali in uso alla Procura della Repubblica, trattandosi di attività che legittimamente può essere eseguita "in remoto";

– i riconoscimenti fotografici e vocali operati dalla polizia giudiziaria e "consacrati nei relativi verbali", devono ritenersi pienamente utilizzabili a ragione dell’accettazione da parte di tutti gli imputati del così detto rito "abbreviato secco" e conseguentemente l’identificazione degli imputati – in specie quella di C., F. e Ma. oggetto di specifica contestazione – operata in base ai summenzionati riconoscimenti fotografici e vocali, deve ritenersi convincente ed "indiscutibile";

– la contestata aggravante dell’ingente quantitativo, tenuto conto della elaborazione giurisprudenziale in argomento ormai consolidata, deve ritenersi sussistente con riferimento ai quantitativi oggetto delle imputazioni di cui ai capi 7 ed 11, relativi, rispettivamente, al sequestro di cocaina idonea a confezionare 18.374 dosi e di sostanza stupefacente "ecstasy", idonea a confezionare 16.734 dosi;

– il ruolo del F., sino a quando costui ha collaborato con il C., non può definirsi marginale e subordinato, e come tale inquadrabile nella previsione dell’art. 114 cod. pen., tenuto conto che dalle intercettazioni risulta: a) che ancora nel giugno 2006 il predetto imputato aveva contattato il M. preannunciando un prossimo viaggio in Spagna, con conseguente "proiezione futura" del rapporto, poi incrinatosi per la diffidenza maturata nei suoi confronti dal C.; b) che lo stesso, nell’ambito dell’attività delittuosa oggetto d’indagine, aveva assunto un ruolo non secondario, desumibile dal rapporto privilegiato intrattenuto con il M. ed il Ma., dal riferimento nei colloqui intercettati ad appuntamenti "al solito posto", dalla verificata conoscenza del sistema e dei codici di comunicazione, delle utenze riservate e delle numerazioni delle lettere di vettura dei plichi; c) dall’assunzione da parte del predetto imputato, in alcune occasioni, di una posizione critica nei confronti del C.;

– la decisione del GUP di non accogliere la richiesta degli imputati di concessione delle attenuanti generiche merita conferma, non sussistendo alcuna valida ragione per la loro concessione, neppure avuto riguardo al comportamento processuale tenuto dagli imputati, a ragione della obiettiva gravità dei fatti, e dell’esistenza di precedenti penali a carico di tutti loro, salvo il C. ed il S., rispetto ai quali la incensuratezza e l’assoluzione dal reato associativo, poteva assumere rilevanza, comunque, solo con riferimento alla entità della pena.

2. Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione, il difensore di B.L., il comune difensore di R. F., Ch.Gi. e S.F.; con due ricorsi autonomi ma di contenuto sostanzialmente identico, il comune difensore di M.G. e di C.A., nell’Interesse del quale risultano presentati anche motivi aggiunti, con memoria del 20 aprile 2011; l’ulteriore difensore di G. C.; il difensore di Ma.Si. e l’ulteriore difensore di S.F..

2.1. Nel ricorso proposto nell’interesse di B.L. dal suo difensore F.F., con l’unico motivo d’impugnazione dedotto, si censura, sotto il profilo della violazione di legge e del vizio di motivazione, la mancata concessione dell’attenuanti generiche, decisione che, si sostiene, non risulta in alcun modo motivata dalla Corte territoriale, sebbene nella sentenza impugnata si attribuisca particolare rilevanza alle dichiarazioni confessorie rese dall’imputato.

2.1.1. L’impugnazione proposta nell’Interesse del B. è inammissibile perchè basata su motivi manifestamente infondati. La denunzia relativa a pretese carenze motivazionali della sentenza impugnata relativamente al diniego delle attenuanti generiche e di riflesso alla misura della pena inflitta al ricorrente, si rivela palesemente priva di fondamento ove si consideri che, contrariamente a quanto dedotto nel ricorso, i giudici di appello hanno proceduto ad una più che adeguata valutazione dell’istanza, evidenziando che all’accoglimento della richiesta dell’appellante si opponeva, oltre l’obiettiva gravità del fatto contestato, anche il rilievo che le ammissioni dell’imputato erano solo parziali; che lo stesso aveva acquistato cocaina per almeno mezzo chilo, pagando un corrispettivo non inferiore ad Euro 20.000,00; che lo stesso si era servito del cognato F., per non esporsi in prima persona, in quanto gravato da un precedente specifico. Tale motivazione, deve ritenersi, invero, del tutto adeguata e conforme a principi ripetutamente affermati da questa Corte, secondo cui, "ai fini dell’assolvimento dell’obbligo della motivazione in ordine al diniego della concessione delle attenuanti generiche, il giudice non è tenuto a prendere In considerazione tutti gli elementi prospettati dall’imputato, essendo sufficiente che egli spieghi e giustifichi l’uso del potere discrezionale conferitogli dalla legge con l’indicazione delle ragioni ostative alla concessione e delle circostanze ritenute di preponderante rilievo" (così ex multis Cass., sez. 2, sentenza n. 2285 dell’11/10/2004 – 25/1/2005, riv. 230691, imp. Alba).

2.2 Nel ricorso proposto, congiuntamente, nell’Interesse di F. R., C.G. e S.F. dal comune difensore dei predetti, avvocato Giosuè Bruno Naso, si prospettano quattro motivi d’impugnazione.

2.2.1 Con il primo motivo d’impugnazione, comune a tutti i ricorrenti, si chiede l’annullamento con rinvio dell’impugnata sentenza, per "inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche su utenze estere" e conseguentemente di quelle autorizzate su utenze italiane sulla base delle acquisizioni investigative, scaturenti dalle prime.

Da parte del ricorrente, in estrema sintesi, si sostiene, in dichiarato dissenso con la prevalente elaborazione giurisprudenziale in argomento, l’illegittimità della tecnica "dell’instradamento delle conversazioni telefoniche", in quanto la stessa – avuto riguardo alla logica che informa la legislazione vigente in materia, ispirata al contemperamento tra l’esigenza di tutela della libertà e segretezza delle comunicazioni, connaturale ai diritti della personalità definiti inviolabili dall’art. 2 Cost., e la necessità di prevenire e reprimere i reati, anch’esso oggetto di protezione costituzionale – darebbe, in buona sostanza, prevalenza a quest’ultima, finendo, di fatto, per consentire indiscriminatamente l’intercettazione di una utenza telefonica situata all’estero, così incidendo su diritti soggettivi che ricadono sotto la sovranità di altro Stato; situazione questa che rende utilizzabili tale tipo d’intercettazione solamente attivando il meccanismo della rogatoria internazionale, per quanto le relative regole possano, al momento, "rilevarsi come macchinose ed inadeguate per fronteggiare fenomeni criminosi e trasnazionali". 2.2.1.2 Il motivo è manifestamente infondato. Preliminare ed assorbente risulta il rilievo che le deduzioni difensive prospettate in ricorso, nelle loro poliformi articolazioni, mentre non considerano, per un verso, che nel presente giudizio risulta già affermata dai giudici di merito la inutilizzabilità delle conversazioni intercettate "estero su estero", non soddisfano, dall’altro, il generale principio di autosufficienza del ricorso, nel senso che non provvedono a specificare i decreti che autorizzano Intercettazioni di utenze italiane, che secondo il ricorrente sarebbero stati motivati con riferimento ad acquisizioni investigative "frutto" di intercettazioni inutilizzabili.

2.2.2 Con il secondo motivo d’impugnazione, in ricorso si denunzia la illegittimità della sentenza di appello per vizio di motivazione, con riferimento all’affermazione di penale responsabilità degli imputati, e quanto al S., altresì, in relazione al mancato riconoscimento dell’applicabilità del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, (fatto di lieve entità).

Solo apparentemente, Infatti, i giudici di appello hanno fornito risposta ai rilievi critici mossi sul punto alla decisione del giudice di prime cure.

2.2.2.1 In particolare, quanto all’affermazione di penale responsabilità del F. (ritenuto colpevole del reato di cui al capo 6 delle rubrica (tentata importazione in Italia di oltre 6 kg di cocaina, quantitativo sequestrato dalla polizia Brasiliana presso l’aeroporto di Virapocos) e di quello al capo 7 (importazione dal Perù di 3,625 kg di cocaina, quantitativo sequestrato a Roma- Ciampino il 29-30 maggio 2006), la Corte territoriale avrebbe fornito una risposta assolutamente incongrua ai rilievi critici sollevati con i motivi di appello, che contestavano, in primo luogo, l’attendibilità del "riconoscimento vocale" operato dalla polizia giudiziaria. Sul punto si evidenzia che i giudici di appello: a) hanno fatto ricorso ad un argomento "manifestamente irrazionale", allorquando hanno valorizzato il dato che "il F. venne visto in precedenza più volte in compagnia del C.", non essendovi alcuna attinenza tra l’utilizzazione di una determinata utenza telefonica e l’asserita pregressa conoscenza del C.; b) nulla hanno replicato, alla specifica deduzione difensiva secondo cui, presupposto ineludibile per riconoscere attendibilità ad un riconoscimento vocale operato dalla polizia giudiziaria, è l’esistenza, intanto, di "una lunga e costante attività intercettativa", laddove le telefonate che avrebbero visto come protagonista il ricorrente risultano essere solo dieci; c) hanno sviluppato argomentazioni apodittiche e meramente congetturali per replicare all’osservazione che, nelle intercettazioni attribuite al ricorrente, in alcune conversazioni captate, risulta utilizzato il nome M. (possibile utilizzazione da parte del F. di un nome convenzionale); tale spiegazione, secondo il ricorrente, deve ritenersi senz’altro illogica, malgrado la precisazione contenuta in sentenza circa una generale attenzione manifestata dagli imputati ad evitare l’uso dei rispettivi nomi di battesimo, in quanto non fornisce adeguata giustificazione del perchè il nome R. risulti utilizzato in due sole occasioni.

I giudici di appello, si sostiene ancora in ricorso, hanno sostanzialmente eluso, altresì, anche il rilievo difensivo secondo cui non appariva adeguatamente dimostrato che le telefonate intercettate attribuite al F. provassero l’effettivo coinvolgimento dell’imputato negli episodi contestati al capi 6) e 7) della rubrica. Ed invero, con riferimento al primo episodio, nella sentenza impugnata si afferma che nelle telefonate intercettate il C. ed il F., ritenuto uomo di fiducia del primo, si sarebbero dimostrati vivamente preoccupati, almeno inizialmente, per il mancato arrivo in Italia dello stupefacente importato dal Brasile, temendo un’appropriazione del plico contenente la droga da parte del corriere, solo in un secondo momento avendo appreso, da un dipendente dello spedizioniere DHL, asseritamene loro complice, che il "pacco era morto" in Brasile (id est era stato sequestrato dalla polizia locale).

Orbene tale spiegazione è ritenuta illogica dal ricorrente, sia perchè a fondamento della stessa viene posto il contenuto di conversazioni intercorse tra il Ma. ed il Ch., sia perchè, sotto altro profilo, tale argomentazione fa riferimento ad una circostanza in fatto, il concorso nel reato di un dipendente della società di spedizioni DHL, che costituisce un dato solo ipotetico, non figurando alcuna persona inquisita in relazione al predetto fatto delittuoso che risulti impiegato presso la suddetta società di spedizioni internazionali. Quanto poi alla partecipazione del F. al reato di cui al capo 7), la ricostruzione del fatto operata dai giudici di merito si rivela contraddittoria nella parte in cui si afferma che il M., in data 18 maggio, avrebbe comunicato una prima volta, direttamente all’imputato, il "codice di spedizione" identificativo del collo contenente la droga, salvo poi ritrasmettere, una seconda volta, direttamente al C. detto codice il 21 maggio, costituendo tale doppia comunicazione a breve distanza di tempo, un dato in contrasto con la prospettazione accusatoria che individua nel F. il "braccio destro", l’uomo di fiducia del C..

2.2.2.1.2 Il motivo è infondato. Con riferimento alle deduzioni difensive prospettate in ricorso nell’interesse del F. relativamente alla pretesa insufficienza e manifesta illogicità e contraddittorietà delle motivazioni addotte dalla Corte territoriale a confutazione delle censure mosse nei motivi di appello in tema di affermazione di penale responsabilità del predetto imputato per i reati di cui ai capi 6 e 7, occorre considerare, in primo luogo, che secondo l’orientamento del tutto consolidato di questa Corte "non vi è inadempimento all’obbligo della motivazione qualora il giudice d’appello abbia accertato e valutato il materiale probatorio con criteri omogenei a quelli usati dal giudice di primo grado. In tal caso le motivazioni delle sentenze dei due gradi di merito costituiscono una sola entità logico-giuridica, alla quale occorre far riferimento per giudicare della congruità della motivazione, integrando e completando quella adottata dal primo giudice le eventuali carenze di quella d’appello" (in termini, Sez. 1, Sentenza n. 1309 del 22/11/1993, dep. 04/02/1994, Rv. 197250, imp. Albergamo).

Ciò posto, con riferimento allo specifico tema della identificazione del F. come uno dei soggetti concorrenti nei predetti illeciti, nessun profilo di illogicità può fondatamente ravvisarsi nella sentenza impugnata, se i giudici di appello, al pari del giudice di primo grado, hanno attribuito rilevanza alla circostanza, in fatto, che nel corso del servizio di pedinamento eseguito nei confronti del C. era emerso che il predetto imputato si accompagnava frequentemente al ricorrente, anche allorquando il predetto effettuava da cabine pubbliche delle telefonate ritenute di elevato interesse investigativo. Ed invero, a prescindere dall’importanza che tale circostanza ha assunto ai fini del "riconoscimento vocale" e che verrà meglio illustrata in prosieguo, alla stessa non può comunque negarsi una rilevanza indiziante nella misura in cui attesta l’esistenza di una frequentazione tra i due coimputati protrattasi nel tempo – quanto meno dal 14 gennaio al 1 febbraio 2006 – e denota, altresì, l’esistenza di un rapporto di reciproca fiducia.

Del tutto generiche ed apodittiche si rivelano, in particolare, le deduzioni difensive circa la scarsa attendibilità del "riconoscimento vocale" del F. come uno degli interlocutori delle conversazioni intercettate poste a base della condanna del ricorrente, posto che il numero di dieci telefonate non può ritenersi certamente un campione limitato e, per ciò, sufficiente di per sè ad inficiare l’attendibilità del riconoscimento.

Al riguardo occorre considerare, infatti, per un verso, che come già più volte precisato da questa Corte, la "ricognizione di voce" costituisce un grave indizio di colpevolezza che ben può essere utilizzato quando sia accordata attendibilità alle dichiarazioni di colui che, avendo ascoltato la voce della persona sottoposta a indagini, afferma di identificarlo con sicurezza (in termini, Sez. 2, Sentenza n. 47673 del 23/11/2004, dep. 09/12/2004, Rv. 229909, imp, Teri, relativa ad un caso in cui l’identificazione vocale era stata effettuata da un ufficiale di polizia che aveva ascoltato la registrazione di una serie di telefonate estorsive fatte dall’imputato); che nello specifico, come precisato dai giudici di appello (pag. 7 della sentenza impugnata), tutti gli imputati hanno scelto il rito abbreviato così detto "secco" (salvo il C. che lo ha subordinato solo alla produzione di un certificato di detenzione), accettando quindi la piena utilizzabilità degli atti legittimamente acquisiti, e dunque, oltre che del materiale intercettativo, anche dei riconoscimenti fotografici e verbali operati dalla polizia giudiziaria e consacrati nei relativi verbale.

Sul punto, per altro, non è superfluo rilevare che come già precisato dal primo giudice (pag. 9), la polizia giudiziaria era pervenuta al riconoscimento vocale del F. con assoluta certezza, in quanto il 18 maggio 2006 il personale operante della sala intercettazioni aveva informato che una persona stava contattando M.G. sull’utenza (OMISSIS) e che gli agenti portatisi in via (OMISSIS) avevano notato F.R. all’interno della cabina pubblica ivi ubicata, avvisando il personale preposto alla sala di quanto stava accadendo.

Logica e plausibile deve ritenersi, altresì, anche la spiegazione fornita dai giudici di appello per negare dedsività alla circostanza che l’utilizzatore dell’utenza radiomobile (OMISSIS) – identificato dalla polizia giudiziaria nel F. – nel corso di una telefonata intercorsa tra il M. ed il C. era stato individuato come M., avendo valorizzato, al riguardo, la circostanza, desumibile dall’intero complesso captativo, che nel corso delle telefonate gli indagati erano molto prudenti e usualmente non facevano riferimento a nome di battesimo ma ad abbreviazioni (la lettera S per Ma.), sicchè appariva verosimile che M. fosse un nome convenzionale attribuito al F..

Anche le argomentazioni svolte in ricorso per negare rilevanza probatoria alle conversazioni intercettate valorizzate dai giudici di merito, con sintoniche decisioni, come elemento dimostrativo di un coinvolgimento del F. nei due episodi delittuosi a lui contestati, lungi dal dimostrare un effettivo e verificabile travisamento delle emergenze processuali, si risolvono nella prospettazione di una "lettura alternativa" delle stesse, non consentita In sede di legittimità. 2.2.2.2 Quanto poi alla affermazione di penale responsabilità del Ch., in ricorso si sostiene, in generale, la insufficiente valenza indiziaria del contenuto delle conversazioni intercettate valorizzate dai giudici di merito, sia perchè le stesse si riferivano a colloqui intercorsi tra terze persone, sia anche perchè le stesse, per il loro carattere frammentario ed equivoco, specie avuto riguardo alla dichiarata indisponibilità di denaro da parte dell’imputato, dovevano ritenersi insufficienti a fondare una pronuncia di condanna, in assenza di effettivi elementi di riscontro che chiariscano il ruolo in concreto ricoperto dal ricorrente nella vicenda, tale non potendo ritenersi, evidentemente, il semplice rapporto di amicizia del Ch. con il Ma..

2.2.2.2.1 Il motivo è infondato. Al riguardo va evidenziato, infatti, per un verso, che esso muove dall’errato presupposto, in diritto, che gli indizi raccolti nel corso delle intercettazioni telefoniche per costituire fonte diretta di prova della colpevolezza dell’imputato devono necessariamente trovare riscontro in altri elementi esterni, avendo al contrario questa Corte più volte escluso l’assoluta necessità di tali riscontri (in termini Sez. 4, Sentenza n. 22391 del 2/04/2003, dep. 21/05/2003, Rv. 224962, imp. Qehalliu Luan), evidenziando, in particolare, come in tema di valutazione della prova, con riferimento ai risultati delle intercettazioni di comunicazioni, il giudice di merito debba invece accertare "che il significato delle conversazioni intercettate sia connotato dai caratteri di chiarezza, decifrabilità dei significati, assenza di ambiguità, di modo che la ricostruzione del significato delle conversazioni non lasci margini di dubbio sul significato complessivo della conversazione" (in tal senso, Sez. 4, Sentenza n. 21726 del 25/02/2004, dep. 07/05/2004, Rv. 228573, imp. Spadaro); operazione questa che risulta svolta da entrambi i giudici di merito ed in particolare da quello di prime cure, che ha riportato nella sentenza di primo grado i passaggi delle conversazioni ritenuti più significativi, illustrando le ragioni per cui dalle stesse emergeva il pieno coinvolgimento nella vicenda degli imputati, tra cui anche il Ch., individuando anche il precipuo ruolo svolto dallo stesso "quale persona di fiducia di coloro che avevano venduto la droga e comunque destinatario di una parte della sostanza importata", sicchè, anche in questo caso, in presenza di un percorso argomentativo pienamente logico e coerente, le deduzioni della difesa del Ch., lungi dal dimostrare un effettivo e verificabile travisamento delle emergenze processuali, si risolvono in una apodittica negazione del valore indiziante delle stesse ovvero in una sollecitazione a compiere una lettura delle stesse in senso più favorevole all’imputato, non consentita in sede di legittimità. 2.2.2.3 Del tutto apodittiche sono ritenute, infine, dal ricorrente, le argomentazioni svolte dalla Corte territoriale per confermare la pronuncia di condanna del S., in relazione all’unica (articolata) imputazione a lui mossa, che includeva più episodi delittuosi unificati nel vincolo della continuazione, mancando, in particolare, un apparato motivazionale idoneo a spiegare: a) le ragioni per cui gli elementi valorizzati per prosciogliere il ricorrente dalla imputazione relativa ad una terza cessione di droga (in favore di tal P.), non potevano venire utilizzati "per mandarlo assolto anche dalle altre contestazioni", non potendo considerasi sufficiente, in proposito, il generico riferimento ad un non meglio precisato "contesto in cui il prevenuto si muoveva"; b) il mancato riconoscimento dell’attenuante del fatto di lieve entità, dovendo ritenersi, per un verso, senz’altro illogico l’argomento sviluppato in sentenza, secondo cui dalle intercettazioni emergeva che il ricorrente non era dedito a traffici occasionali e non poteva definirsi uno spacciatore "al minuto", dal momento che deve ritenersi incongruo ricollegare il riconoscimento o meno dell’attenuante "alle caratteristiche del soggetto piuttosto che al dato ponderale e agli altri elementi di natura oggettiva"; e risultando, per altro verso, priva di risposta, la principale censura sollevata con l’atto di appello, con la quale si denunziava l’assenza di riscontri obiettivi in merito all’effettivo scambio di stupefacente, avendo il giudice di primo grado, in definitiva, "finito per attribuire rilevanza penale alle intenzioni piuttosto che a condotte effettivamente poste in essere". 2.2.2.3 Il motivo è infondato. Con riferimento alle censure difensive prospettate nell’interesse del S., relative ai dedotti vizi di violazione dei canoni di valutazione probatoria e di carenza e manifesta illogicità della motivazione, giova premettere che questa Corte ha da tempo chiarito, che il compito del giudice di legittimità non è quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito in ordine all’affidabilità delle fonti di prova, bensì di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti (così Cass., Sez. U, Sentenza n. 930 del 29/1/1996, Rv. 203428).

In applicazione di tale condivisibile principio è agevole rilevare come nessun profilo di illegittimità è fondatamente ravvisabile nella decisione impugnata, avendo la Corte territoriale (pag. 19) fornito esauriente e logica spiegazione delle ragioni per cui il S. doveva ritenersi colpevole di entrambi gli episodi a lui ascritti in sentenza, malgrado non fossero stati eseguiti sequestri di droga, evidenziando al riguardo, con motivazioni assolutamente plausibili e per ciò non censurabili. In sede di legittimità, che il contenuto delle intercettazioni relative agli episodi del 24 gennaio e del 31 gennaio 2007 (riportate nella sentenza di primo grado alle pagine 78 e 79 ed ascoltate direttamente dal Gup, il quale ne aveva percepito e commentato i toni), contenevano riferimenti alla qualità ed al peso, oltre che al prezzo ed alle modalità di consegna ed alle cautele da adottare, che non lasciavano dubbi che l’oggetto delle trattative e delle consegne fosse la cocaina.

Considerazioni analoghe valgono anche con riferimento alla esclusione della diminuente speciale D.P.R., ex art. 73, comma 5, avendo i giudici di appello fornito più che adeguata motivazione sul punto, che oltre ad escludere la possibilità di "parcellizzare" la condotta dell’imputato, ha valorizzato, altresì, la "indubbia rilevanza" del dato ponderale (50-100 gr. lordi) e l’ulteriore rilievo che dalle intercettazioni ambientali emergeva che il ricorrente era dedito a traffici di stupefacente tutt’altro che occasionali, essendosi anche recato con il C. in Spagna e avendo discusso con lo stesso sulla redditività di acquisti più frequenti di quantitativi non elevati.

2.2.3 Con il terzo motivo, in ricorso, si denunzia la illegittimità della sentenza impugnata per violazione di legge e vizio di motivazione, con riferimento al mancato riconoscimento al F. della circostanza attenuante di cui all’art. 114 cod. pen., evidenziandosi, al riguardo, che "l’unico dato certo ed obiettivamente riscontrato" valorizzato dai giudici di appello per escludere l’attenuante – e cioè la conoscenza "del sistema e dei codici di comunicazione" – poteva assumere rilevanza dirimente solo con riferimento al reato associativo, ma non anche con riferimento agli specifici episodi per i quali è intervenuta condanna, in quanto esso non fornisce alcuna precisa indicazione sulla concreta efficacia della condotta del F. ai fini della consumazione dei delitti e che la difesa del F. ribadisce essere stata comunque assolutamente minima, invocando a sostegno di ciò il rilievo che nella parte motiva della sentenza impugnata dedicata alla trattazione dei reati contestati ai capi 6) e 7) della rubrica, non si fa alcuno specifico riferimento alla condotta dell’imputato.

2.2.3.1 Il motivo è infondato. La circostanza attenuante di cui all’art. 114 cod. pen., comma 1, – come questa Corte ha più volte precisato (in tal senso, si veda, ex multis, Sez. 4, Sentenza n. 12811 del 08/02/2007, dep. 29/03/2007, Rv. 236198, imp. Muggeri) – è configurabile solo quando l’opera del concorrente sia stata non solo minore rispetto a quella dei correi, ma abbia avuto minima importanza nella preparazione ed esecuzione del reato.

In tal senso, come spiegato dai giudici di merito con argomentazioni del tutto plausibili ed aderenti alle risultanze processuali, non può ritenersi contributo di minima partecipazione la collaborazione prestata dal ricorrente al C. nell’importazione della sostanza stupefacente oggetto dell’imputazione, con riferimento alla cura dei rapporti con i coimputati Ma. e M. – il quale, dall’estero, intratteneva a sua volta stretti rapporti con i fornitori sudamericani – quale desumibile dalle "numerose e fondamentali conversazioni telefoniche intercettate tra il 20/3 ed il 20/5/2006 in cui risultano scambiati codici identificativi dei pacchi contenenti gli stupefacenti ed altre informazioni direttamente attinenti alle spedizioni di cui ai capì 6 e 7".

Non si tratta, infatti, di apporto obiettivamente così lieve da apparire marginale nell’ambito della relazione causale.

2.2.4 Con il quarto motivo d’impugnazione, in ricorso si denunzia, infine, la illegittimità della sentenza impugnata per vizio di motivazione, con riferimento al diniego a tutti i ricorrenti delle attenuanti generiche e quanto al F. ed al Ch., altresì, al riconoscimento dell’aggravante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80.

In ricorso si deduce, con specifico riferimento al diniego delle attenuanti generiche: a) che intanto il F., contrariamente a quanto affermato dai giudici di appello, non ha precedenti specifici;

b) che il riferimento in sentenza alla molteplicità degli episodi delittuosi commessi e dei ripetuti contatti tra gli imputati, non può considerarsi in effetti dato indicativo, di per sè, di una "dedizione dei medesimi ad attività illecita nel campo degli stupefacenti non occasionale ma professionale"; c) che l’aver valorizzato con riferimento all’Imputato S., incensurato, il dato "dell’indubbia gravità dei fatti reato", era indicativo del vizio di fondo della statuizione contestata, frutto di un "intimo convincimento" del giudicante, privo di qualsiasi aggancio fattuale e di una valutazione arbitraria che non ha operato alcun distinguo, pur doveroso nel caso in esame, tra le posizioni dei diversi imputati, specie ove si consideri, quanto al dato costituito dalla "quantità di sostanza trafficata", che lo stesso, per il S., è assai meno incidente rispetto ai coimputati; quanto al dato delle "somme di denaro investite", che per il S. ed il F. mancano riscontri relativamente a tali pretesi "investimenti"; quanto al dato degli "accertati contatti degli imputati con trafficanti internazionali", che dall’attività investigativa emergeva che non tutti gli Imputati potevano vantare tali contatti; quanto al dato della "molteplicità degli episodi", che una volta caduta l’imputazione associativa, si imponeva una precisazione al riguardo, dal momento che non tutti gli imputati rispondono degli stessi fatti.

Con riferimento poi al riconoscimento dell’aggravante D.P.R. 309 del 1990, ex art. 80, in ricorso si denuncia la "parzialità" del riferimento al dato del numero delle dosi, in quanto non integrato da una valutazione del "mercato di riferimento" e da una indicazione precisa circa il grado di purezza della sostanza, in palese violazione dei criteri di valutazione suggeriti dalla lezione della nota sentenza Primavera delle Sezioni Unite di questa Corte.

2.2.4.1 Anche tale ultima articolata censura è priva di fondamento.

Ed invero, quanto al diniego delle generiche, è agevole rilevare come dalle stesse prospettazioni difensive emerge come il percorso motivazionale addotto dai giudici di merito sul punto risulti quanto mai articolato e del tutto adeguato, ove si consideri che, a prescindere dal recente riconoscimento normativo, della non decisività del solo dato dell’incensuratezza, come ripetutamente affermato da questa Corte, "al fini dell’assolvimento dell’obbligo della motivazione in ordine al diniego della concessione delle attenuanti generiche, il giudice non è tenuto a prendere in considerazione tutti gli elementi prospettati dall’imputato, essendo sufficiente che egli spieghi e giustifichi l’uso del potere discrezionale conferitogli dalla legge con l’indicazione delle ragioni ostative alla concessione e delle circostanze ritenute di preponderante rilievo" (così ex multis Cass., sez. 2, sentenza n. 2285 dell’11/10/2004 – 25/1/2005, riv. 230691, imp. Alba).

Quanto poi al riconoscimento della circostanza aggravante della quantità ingente di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80, va rilevato che nessun profilo di illegittimità è ravvisabile nella decisione impugnata, la quale risulta del tutto conforme al condivisibile e prevalente orientamento giurisprudenziale secondo cui la predetta aggravante è configurabile quando, sulla base di un accertamento che il giudice di merito deve condurre in concreto – indipendentemente dal riferimento a prefissati indici quantitativi, non contemplati dal legislatore e pur in difetto della verifica di fatto del contenuto di principio attivo della sostanza – la sostanza stupefacente sia oggettivamente tale da costituire un rilevante pericolo per la salute pubblica, in quanto idonea a soddisfare le esigenze di un numero elevato di tossicodipendenti, senza che rilevi la situazione del mercato e la sua eventuale saturazione, trattandosi di un elemento di difficile valutazione, considerata l’impossibilità di disporre al riguardo di dati certi e verificabili in concreto, (in tal senso si veda, ex multis, Sez. 4, Sentenza n. 24571 del 03/06/2010, dep. 30/06/2010, Rv. 247823, Imp. Iberdemaj; Sez. 5, Sentenza n. 22766 del 03/05/2011, dep. 07/06/2011, Rv. 250398, imp. Pellegrino).

2.3 Nel ricorso proposto nell’interesse di M.G. dal suo difensore, avvocato Marco Cavaliere – con il quale si impugna non solo la sentenza d’appello ma anche l’ordinanza emessa dal GUP del Tribunale di Roma in data 17 dicembre 2007 in tema di utilizzabilità delle intercettazioni – si prospettano due motivi d’impugnazione.

2.3.1 Con il primo motivo, evidenziata preliminarmente la circostanza che nel presente procedimento "il vasto impianto accusatorio" a carico degli imputati è costituito in larga parte dal risultato delle operazioni di intercettazioni telefoniche ed ambientali che hanno riguardato, in più di un’occasione, anche utenze straniere (spagnole, argentine, portoghesi, venezuelane, peruviane e belghe), e che in sede di riesame era stata accolta l’eccezione della difesa di inutilizzabilità delle intercettazioni sia pure limitatamente alle conversazioni tra il M., all’epoca latitante in Spagna, ed i suoi referenti sudamericani ed a quelle con il coimputato Ch., quando quest’ultimo si trovava in Belgio, in ricorso si censura come illegittima per violazione di legge ( artt. 266, 271 e 727 cod. proc. pen.) e vizio di motivazione, la "dissonante" decisione del GUP, di ritenere invece utilizzabili tutte le intercettazioni eseguite dalla Procura, e quindi, si sostiene, anche quelle relative a telefonate "estero su estero, captate in territorio straniero".

In particolare la difesa del M. ritiene incongruo il riferimento compiuto dal primo giudice alla tecnica dell’lstradamento e sostiene che il ricorso allo strumento della rogatoria internazionale sia necessario quando deve compiersi attività di captazione all’estero, ovvero nei casi in cui l’attività di intercettazione ha ad oggetto "conversazioni o comunicazioni che transitano unicamente sul territorio straniero".

Con riferimento al dato della internazionalità dell’utenza, in ricorso si sottolinea l’assoluta rilevanza del dato rispetto a quello dell’ubicazione dell’apparecchio, nel senso che è dalla nazionalità dell’ente gestore del servizio che discende la individuazione della regolamentazione tecnica e giuridica delle comunicazioni e si prospetta la tesi, anche sulla scorta di principi enunciati da questa Corte – il riferimento è alla sentenza della Sez. 4 n. 35229 del 7 giugno 2005, imp. Mercato Vasquez – che "il ricorso alla procedura ex artt. 727 e segg. cod. proc. pen. diventa indispensabile tutte le volte in cui l’attività di captazione comporti necessariamente la cooperazione di soggetti giuridici stranieri.

Eventualità questa senz’altro verificatasi nel presente giudizio come si desume: a) dal contenuto del decreto d’urgenza in data 16 gennaio 2006, il primo che ha riguardato un utenza estera in uso al M.; b) dal riferimento contenuto nei successivi decreti, alla tecnica del "roaming", dato tecnico che consente di affermare, secondo il ricorrente, che la captazione delle conversazioni, anche se disposta dall’Italia, "è stata resa possibile proprio grazie all’utilizzo delle reti telefoniche appartenenti agli Stati interessati e quindi, attraverso un’inevitabile ingerenza nello spazio aereo afferente alla loro giurisdizione". Nel ricorso si censura, altresì, la mancanza nei decreti di urgenza di una limitazione dell’attività captativa "alle telefonate da o verso il territorio nazionale".

Sempre con riferimento alle censure mosse in ricorso alla sentenza impugnata relativamente alla specifico tema dell’utilizzabilità delle intercettazioni, da parte della difesa del M. si segnala, altresì, la illogicità e contraddittorietà dell’apparato argomentativo formulato sul punto.

Ed invero i giudici di appello, pur affermando di condividere le pronunce emesse in sede cautelare relativamente all’intercettazione delle conversazioni "estero su estero", non hanno poi censurato la "scelta contraria" del giudice di primo grado, il quale, ai fini decisori, ha fatto comunque riferimento al contenuto di tali dati probatori, ciò giustificando, per un verso, operando un illogico distinguo tra utilizzazione del contenuto delle conversazioni – non consentita – e utilizzabilità dei dati storici (contatti del M. con fornitori sudamericani e con il coimputato Ch.) invece consentita sebbene accertata, aliunde, attraverso l’attività di captazione delle conversazioni del C.; per altro verso, precisando che essendo l’intercettazioni del coimputato C. già iniziata nel 2005, molto prima dell’emersione del dato dei traffici internazionali con il M., l’inutilizzabilità delle telefonate estero su estero non poteva impedire l’utilizzabllità delle altre conversazioni.

Con riferimento a tale impianto argomentativo in ricorso si evidenziano i seguenti punti di criticità:

1) poichè le conversazioni estero su estero sono state dichiarate inutilizzabili e l’inutilizzabilità deve essere considerata come un tipo d’invalidità direttamente incidente sul libero convincimento del giudice (una sorta di prova legale negativa) non è legittimo utilizzare quel medesimo materiale probatorio che per legge, oltretutto, andrebbe distrutto, come un dato storico comunque idoneo a dimostrare l’esistenza di contatti tra f coimputati ed i loro fornitori sudamericani;

2) l’inutilizzabilità "a catena" delle intercettazioni è stata esclusa in base ad un argomento (inizio delle captazioni relative all’indagato C. nel novembre 2005) frutto di un’interpretazione storico-fattuale delle circostanze di accusa, da ritenersi errata, ove si consideri che il suddetto coimputato è stato condannato per una serie di episodi di cessione di sostanza stupefacente, fortemente caratterizzati da elementi di internazionalità; considerazione questa che porta il ricorrente ad escludere che la "primissima fase di attività captativa svolta sulle utenze del C.", sia stata utile a "delineare i contorni della complessa vicenda" essa disvelando in realtà solo i contatti del C. con i coimputati B., R. e con il F. (episodio di cui al capo 2 della rubrica) ed a sostenere, di contro, che la stessa "è stata ricostruita dagli inquirenti solo grazie a quelle operazioni di intercettazione sulle numerose utenze straniere".

In particolare dopo aver ripercorso gli snodi investigativativi che avevano portato all’emissione il 16 gennaio 2006 del primo decreto d’urgenza di autorizzazione dell’intercettazione di un’utenza estera in uso al M. – arresto di tal M.M. nell’estate 2005; rinvenimento di una contabilità contenente annotazioni relative ai coimputati C. e B.; arresto nel settembre 2005 del cognato di quest’ultimo, trovato in possesso di cocaina asseritamene acquistata con un’operazione che coinvolgeva i predetti imputati;

utilizzo da parte del C. di una cabina pubblica, sita in zona Tuscolana; acquisizione dei dati del traffico telefonico in uscita dalla predetta utenza – nel ricorso si denunzia come illegittima l’avvenuta registrazione di tutte le chiamate In entrata ed uscita su detta utenza (iniziando proprio da quelle effettuate tra numeri stranieri) evidenziando come proprio il monitoraggio delle utenze estere (quella spagnola del M.; quella peruviana, di un interlocutore del predetto indagato) senza il ricorso allo strumento della rogatoria, abbia consentito di delineare gli esatti contorni dei fatti contestati ai capi 7, 8 ed 11 della "rubrica incolpativa".

Compendiando un percorso argomentativo assai più articolato, che anche attraverso riferimenti alla teoria statunitense "dell’exclusionary rule" o dottrina del frutto dell’albero velenoso, diffusamente affronta il tema della "inutilizzabilità derivata" – principio che si evidenzia come abbia trovato riconoscimento anche in una decisione delle Sezioni Unite di questa Corte, la n. 5021 del 1996 in tema di perquisizione illegittima e sequestro di cose pertinenti al reato, ed ancor prima nella nota sentenza della Corte Costituzionale in tema di intercettazioni, la n. 34 del 6 aprile 1967 – in ricorso si sostiene, in sintesi, che "il contenuto delle conversazioni transitate unicamente su territorio estero ha avuto influenza sia diretta che indiretta nella ricostruzione del quadro probatorio, fornendo impulso per gli ulteriori sviluppi delle indagini, ma, soprattutto, costituendo l’apparato motivazionale dei successivi decreti autorizzativi delle intercettazioni eseguite". 2.3.1.1 Il motivo è infondato. Una disamina dello stesso non può prescindere dalla preliminare considerazione, per un verso, che in materia di intercettazioni telefoniche, l’inutilizzabilità va riferita solo alla violazione delle norme dell’art. 267 e art. 268 cod. proc. pen., commi 1 e 3, mentre le eventuali illegittimità formali (come quelle relative a violazione delle altre previsioni del citato art 268 o alla mancata motivazione del decreto autorizzativo) ne determinano, semmai, l’Invalidità (in termini, Sez. U, Sentenza n. 11 del 25/03/1998, dep. 02/06/1998, Rv. 210610, imp. Manno);

dall’altro, che in tema di utilizzabilità della prova, la circostanza che l’inutilizzabilità sia stata dichiarata nel corso del procedimento incidentale "de liberiate" svoltosi durante le indagini preliminari, anche se con il vaglio della Corte di cassazione, non ha alcun effetto preclusivo sulla sua utilizzazione in sede di giudizio, dal momento che il problema dell’utilizzabilità delle prove si pone esclusivamente con riferimento al dibattimento ed ogni valutazione compiuta in proposito in tema di procedimento cautelare, non può vincolare il giudice del dibattimento (in tal senso, Sez. 6, Sentenza n. 5501 del 12/12/1995, dep. 04/06/1996, Rv.

205649, imp. Falsone).

Anche alla stregua dei principi sopra richiamati, ed avuto riguardo alle pur articolate deduzioni difensive, è agevole rilevare come nessun profilo di illegittimità sia fondatamente ravvisabile nelle decisione dei giudici di appello, di rigettare l’eccezione di inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche valorizzate dal giudice di primo grado, per l’affermazione di penale responsabilità del ricorrente.

Ed invero, premesso che tra la pronuncia di parziale inutilizzabilltà delle intercettazioni resa nel procedimento de libertatate e la decisione sul punto del giudice di primo grado non è ravvisabile, in realtà, alcuna effettiva ed insuperabile dicotomia, avendo la seconda soltanto precisato la scarsa decisività dell’ubicazione all’estero di una delle utenze telefoniche intercettate o di entrambe, assumendo piuttosto rilevanza, per stabilire la legittimità dell’utilizzazione delle intercettazioni, il dato che l’intera attività di captazione e registrazione sia stata svolta sul territorio dello Stato, vuoi per l’utilizzazione da parte delle utenze intercettate "anche solo occasionalmente" "di impianti presenti sul territorio dello Stato", vuoi perchè la trasmissione dei flussi dei segnali avvenga secondo "la tecnica dell’instradamento", rileva il Collegio come tale apparato motivazionale, risulta del tutto adeguato ed esente dai denunziati profili di illogicità, conformandosi esso, del resto, a principi ormai consolidati nella giurisprudenza di questa Corte, assolutamente univoca nell’affermare la piena legittimità della tecnica dello "instradamento" (in termini si veda, ex multis, Sez. 5, Sentenza n. 4401 del 02/07/1998, dep. 21/10/1998, Rv. 211520, imp. Assisi; Sez. 6, Sentenza n. 7258 del 02/11/2004, dep. 24/02/2005, Rv. 231467, imp. Commisso; Sez. 1, Sentenza n. 13972 del 04/03/2009, dep. 31/03/2009, Rv. 243138, imp. Barbaro).

E del resto la sola apodittica deduzione difensiva secondo cui la captazione di alcune delle telefonate utilizzate dai giudici di merito per affermare la penale responsabilità del M. sia avvenuta mercè la collaborazione di operatori di telefonia estera, non dimostra ancora che la captazione, sia stata eseguita all’estero e non invece nello Stato, come sostenuto invece dai giudici del merito.

2.3.2 Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia l’illegittimità della sentenza d’appello, per violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta sussistenza dell’aggravante D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 80, con riferimento ai capi 7 ed 11 della rubrica. Richiamati i presupposti di applicabilità della norma quali desunti dal bene giuridico che il legislatore ha inteso proteggere (il riferirsi il fatto contestato ad un quantitativo di sostanza stupefacente, tale da creare, secondo l’apprezzamento del giudice di merito, a conoscenza della realtà sociale dei comprensorio territoriale nel quale opera, condizioni di agevolazione dei consumo nei riguardi di un rilevante numero di consumatori;

configurabilità di un pericolo per la salute pubblica, ovvero per un rilevante ancorchè indefinito numero di assuntori, indipendentemente dalla eventuale saturazione del mercato) da parte del ricorrente si contesta la sussistenza degli stessi quanto meno in riferimento al delitto di cui al capo 7 (afferente l’importazione di grammi 2810,154 netti di cocaina, tenuto conto, per un verso, della necessità di rapportarsi, ai fini di tale valutazione, più che al solo dato quantitativo anche a quello qualitativo, al grado di purezza della sostanza (il così detto principio attivo) e della sua "effettiva capacità drogante"; sotto altro profilo, dell’elaborazione da parte della più recente giurisprudenza di legittimità di "limiti", che operano però solo in senso negativo, nel senso che per quantitativi al di sotto degli stessi non sarebbe applicabile l’aggravante, laddove il loro superamento non comporterebbe Invece l’automatica configurabllità della stessa. In base a tali argomentazioni e tenuto conto, con riferimento al reato sub 7 che dalla sostanza importata erano ricavabili poco più di 18.000 dosi medie e che il mercato di destinazione era quello romano, il che configura, con riferimento all’intera area metropolitana, una platea di potenziali acquirenti di oltre tre milioni di individui, "l’accento di eccezionalità", l’incremento del pericolo per la salute pubblica, non è tale da giustificare un incremento di pena.

2.3.2.1 Anche tale motivo risulta infondato, valendo anche per le argomentazioni prospettate nell’interesse del M. le considerazioni già svolte con riferimento ad analoga censura proposta nel ricorso proposto, congiuntamente, nell’interesse di F.R., C.G. e S.F..

2.4 Nel ricorso proposto nell’interesse di C.A. dal suo difensore avvocato Marco Cavaliere, con il quale si impugna non solo la sentenza d’appello ma anche l’ordinanza emessa dal GUP del Tribunale di Roma in data 17 dicembre 2007, si prospettano tre motivi d’impugnazione.

2.4.1 Con il primo motivo si ripropongono le identiche argomentazioni svolte in tema di inutilizzabilità delle intercettazioni, prospettate nell’interesse del ricorrente M., le quali non possono evidentemente trovare accoglimento per tutte le ragioni già illustrate al paragrafo 2.3.1.1 ed alle quali si rinvia.

2.4.2 Con il secondo motivo si denunzia l’illegittimità della sentenza impugnata per violazione di legge ( artt. 192 e 546 cod. proc. pen.) e vizio di motivazione, con riferimento alla individuazione del C. come l’autore delle conversazioni (telefoniche ed ambientali) allo stesso attribuite.

Al riguardo viene censurata, in primo luogo, la scelta del GUP di non disporre l’espletamento di una apposita perizia fonica, ritenuta assolutamente indispensabile a ragione di alcuni "eclatanti episodi" che minavano in modo radicale la certezza del riconoscimento vocale effettuato dagli operanti, e segnatamente l’assoluta inconciliabilità ravvisabile in tre diversi accertamenti investigativi in atti:

a) il primo (allegato 4) costituito dall’annotazione di servizio del 29 luglio 2006, che riferiva di un viaggio a Barcellona, compiuto dall’Imputato, unitamente al S. ed al C. (altro imputato, deceduto nelle more del giudizio), con partenza da Roma – Fiumicino il giorno 26 luglio 2006, (volo con partenza alle 16,10) e ritorno con volo del 29 luglio, con arrivo alle 19,40;

b) il secondo (allegato 5) costituito dall’annotazione di servizio del 26 luglio 2006 (giorno della partenza dell’Imputato per Barcellona), relativa ad un servizio di pedinamento del C., nella quale si riferiva che l’Imputato era stato visto effettuare una telefonata alle ore 15,53 circa, da una cabina pubblica sita in via (OMISSIS);

c) il terzo, costituito dal "brogliaccio" relativo alla intercettazione ambientale Iniziata alle ore 16,46 del 26 luglio 2006 ed eseguita in un garage, avente ad oggetto il colloquio che si assume avuto dal C. con il C., all’interno della propria auto "monitorata", ed al quale avrebbe partecipato anche il S.. L’evidente incompatibilità di tali atti, tutti riferibili agli investigatori che hanno effettuato il riconoscimento vocale, renderebbe inattendibile lo stesso e più in generale l’identificazione stessa del ricorrente.

Orbene, in presenza di elementi d’incertezza così eclatanti, assolutamente incongrua ed illogica deve ritenersi, secondo il ricorrente, la motivazione fornita dai giudici di appello secondo cui le argomentazioni difensive non apparivano "dirimenti". 2.4.2.1 Il motivo è infondato. Contrariamente a quanto dedotto in ricorso, entrambi i giudici di merito hanno fornito, infatti, una spiegazione del tutto logica e plausibile delle ragioni per cui l’identificazione del C. doveva ritenersi certa e l’espletamento di una perizia fonica del tutto superfluo, a prescindere dalla scelta del giudizio abbreviato. In proposito occorre considerare, infatti, come espressamente precisato dal giudice di primo grado (pag. 7 e 8) che l’identificazione dell’Imputato è avvenuta a ragione dei rapporti dallo stesso intrattenuti con il coimputato B.L., accertati dagli inquirenti almeno sin dal gennaio 2007, all’esito di osservazioni con pedinamento del predetto imputato e che lo stesso si è basato anche su di un riconoscimento fotografico e sull’ascolto di numerosissime telefonate intercettate e di plurime captazioni ambientali, in epoca quindi assai precedente le segnalate incongruenze investigative, che anche a ragione di tale dato temporale, con plausibile motivazione, sono state ritenute Inidonee ad invalidare un riconoscimento che aveva trovato significativa conferma anche nelle dichiarazioni accusatorie del B. e di altro coimputato, R.S..

2.4.3 Con il terzo motivo, infine, si ripropongono le identiche argomentazioni in tema di sussistenza dell’aggravante D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 80, già illustrate in sede di trattazione del ricorso M., le quali non possono evidentemente trovare accoglimento per tutte le ragioni già illustrate al paragrafo 2.2.4.1 in sede di trattazione di analoga censura prospettata nell’interesse dei coimputati F.R., C.G. e S.F..

2.4.4 Con i motivi aggiunti, infine, per un verso, vengono riproposte, anche attraverso un approfondimento dei più recenti approdi giurisprudenziali in argomento, le ragioni che militano a favore dell’esclusione, con riferimento agli episodi delittuosi contestati al ricorrente, dell’aggravante speciale e sotto altro profilo, si indica, quale ulteriore esempio della già denunziata insufficienza motivazionale della sentenza di appello, l’incompletezza e povertà dell’apparato argomentativo fornito per escludere la concessione delle attenuanti generiche al C. nonostante la condizione di formale incensuratezza, avuto riguardo, in particolare, alla mancata valutazione del dato, segnalato mediante apposita memoria difensiva, che il GUP, con ordinanza del 10 dicembre 2008, aveva rigettato la richiesta di aggravamento della misura cautelare applicata, a ragione del rilievo che il ricorrente, nel periodo di detenzione domiciliare, "sembrava aver avviato un percorso di resipiscenza e riabilitazione sociale". 2.4.4.1 Anche i motivi aggiunti, però, al pari dei motivi principali,non possono trovare accoglimento, non illustrando gli stessi effettivi profili di illegittimità della sentenza impugnata, mentre inammissibili si rivelano le deduzioni relative al diniego delle generiche, in quanto non prospettate tempestivamente in sede di ricorso.

2.5 Nell’ulteriore ricorso proposto nell’interesse dell’imputato C.G. dall’avvocato Lucio Esbardo, con l’unico motivo d’Impugnazione dedotto, si denunzia l’illegittimità della sentenza impugnata per vizio di motivazione, con riferimento all’affermazione di penale responsabilità per i reati contestati ai capi 6 e 7 della rubrica, rispetto al quali, si sostiene, neppure risulta ben precisata la condotta in concreto attribuita al ricorrente, segnalandosi quali specifici punti critici del percorso motivazionale: a) l’inattendibilità del riconoscimento vocale del Ch. avvenuto, quanto al capo 6), nel luglio 2006 ed eseguito dagli stessi operanti che avevano proceduto al monitoraggio delle utenze in uso all’imputato; quanto al capo 7), attraverso delle conversazioni estero su estero, ritenute inutilizzabili; b) Il carattere apodittico delle argomentazioni, di natura soltanto deduttiva, utilizzate per affermare la partecipazione dell’imputato ai delitti a lui contestati; c) la mancanza di risposta, ai plurimi rilievi critici mossi alla decisione di primo grado, quali, ad esempio, la mancanza dei verbali di sequestro della sostanza stupefacente, pure rilevanti per stabilire la sussistenza dell’aggravante speciale; la mancata identificazione del dipendente DHL con il quale il ricorrente si assume avesse contatti finalizzati alla commissione del reato.

2.3.1 Il motivo è infondato. Non discostandosi le argomentazioni difensive sviluppate in ricorso, dalle deduzioni già prospettate nell’altro atto d’impugnazione proposto nell’interesse del Ch., per rimarcarne l’infondatezza valgono evidentemente le considerazioni svolte nel paragrafo 2.2.2.2.1 alle quali espressamente si rinvia, con l’ulteriore precisazione, quanto alle censure che valorizzano il dato della mancanza dei verbali di sequestro, che come già precisato da questa Corte "la prova dei reati di detenzione a fini di spaccio e di spaccio di sostanza stupefacente non deriva soltanto dal sequestro o dal rinvenimento della sostanza, potendo desumersi da altre risultanze probatorie" (in termìniSez. 4, Sentenza n. 48008 del 18/11/2009, dep. 16/12/2009, Rv. 245738, imp. Palmerini).

2.6 Nel ricorso proposto nell’interesse di Ma.Si. dal suo difensore avvocato Angela Porcelli, si prospettano due motivi d’impugnazione.

2.6.1 Con il primo, si censura la sentenza d’appello con riferimento all’illegittimità delle intercettazioni telefoniche ed ambientali, nel quale si ripropongono argomentazioni non dissimili rispetto a quelle prospettate dagli altri ricorrenti, segnalandosi in particolare: l’Illegittimità della tecnica dell’istradamento, per altro espressamente autorizzata solo in un numero limitato di decreti di convalida; la incongruenza delle deliberazioni della Corte territoriale, che pur affermando la inutilizzabilità di alcune intercettazioni, da tale statuizione non ha fatto discendere le dovute conseguenze giuridiche con riferimento all’intero materiale captativo, omettendo di analizzare le conseguenze che la rilevata inutilizzabilità determinava anche con riferimento alle intercettazioni, specie se successive alle prime, inopinatamente ritenute, invece, utilizzabili.

2.6.1.1 Il motivo è infondato. Le argomentazioni svolte dal ricorrente, le quali ripropongono il tema dell’inutilizzabilità delle intercettazioni non possono evidentemente trovare accoglimento, per tutte le ragioni già illustrate al paragrafo 2.3.1.1 ed alle quali si rinvia.

2.6.2 Quanto poi al secondo motivo, con esso si denunzia l’illegittimità della sentenza impugnata per violazione di legge e vizio di motivazione, con riferimento sia all’affermazione di penale responsabilità sia alla configurabilità dell’aggravante D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 80, comma 2 sia infine, in via subordinata, con riferimento al trattamento sanzionatorio.

2.6.2.1 In particolare, con riferimento al primo profilo dell’articolato motivo d’impugnazione, precisato che gli elementi di prova a carico del ricorrente con riferimento ad ambedue gli episodi delittuosi contestati, si esaurisce nel contenuto di alcune intercettazioni, da parte del ricorrente si censura:

– in primo luogo, le modalità di individuazione del Ma. come l’interlocutore (individuato con la sola lettera S) del fornitore belga, a sua volta rimasto a lungo ignoto ed individuato in C.G. solo in un secondo momento, a seguito dell’accertata presenza dell’imputato nell’aula bunker di Reggio Calabria e la captazione di una utenza cellulare, però, diversa rispetto a quella (intercettata) ritenuta a lui riferibile, evidenziandosi al riguardo che le telefonate attribuite all’imputato registrate sull’utenza in uso al Ch., provenivano da utenze pubbliche, laddove la captazione di utenze cellulari ritenute attribuibili all’imputato, non aveva prodotto utili acquisizioni probatorie;

– che l’interpretazione delle conversazioni intercettate che i giudici di merito hanno posto a base della condanna, acriticamente ricettiva di quella fornita dagli inquirenti, non fornisce adeguata spiegazione ai rilievi critici sollevati dalla difesa, che afferivano, quanto all’episodio sub 6), all’individuazione dell’oggetto stesso dei colloqui, che facevano riferimento a somme di denaro, incongruamente ritenute riferibili al quantitativo di sostanza stupefacente, non essendovi assoluta coincidenza numerica (40.000 Euro – 6 chili di cocaina); quanto all’episodio sub 7), relativo all’importazione dal Perù, per il tramite del M., di un quantitativo di cocaina da suddividersi, tra il Ma. ed il Ch., ed il F. ed il C., oltre ai già esternati dubbi sulla identificazione del colloquianti, alla logicità stessa della ricostruzione dell’episodio, non apparendo comprensibile il ruolo svolto dal M., residente in Spagna, rispetto ad una spedizione proveniente direttamente dal Perù, l’incongruenza ravvisarle nell’invio della droga con un unico plico a fronte di una ricerca di due plichi; l’opinabilità dell’assunto secondo cui il M. avrebbe provveduto a controllare il percorso della spedizione anche attraverso la ricezione dal ricorrente del codice di spedizione del plico; ruolo del ricorrente, per altro, significativamente modificatosi nel corso del processo, incongruamente contestandosi all’imputato, da ultimo, di aver fatto da "interfaccia" tra il Ch., uomo di fiducia dei venditori, ed il gruppo degli acquirenti romani, pur emergendo dalle conversazioni, l’assoluta autonomia del Ch. nell’intrattenere rapporti con i predetti acquirenti.

2.6.2.1.1 Con riferimento agli ulteriori profili di illegittimità della sentenza denunziati con il secondo motivo, in ricorso si evidenzia:

– relativamente all’aggravante speciale, l’opinabilità del ricorso al criterio rappresentato dal calcolo del "numero di dosi", in assenza del verbale di sequestro dello stupefacente ed in assenza di una perizia che consentisse di accertare la quantità dei principi attivi e della mancata considerazione, altresì, specie con riferimento all’episodio contestato al capo 7), del dato rappresentato dalla assenza di certezza nel presente giudizio, vuoi sull’identificazione del paese ultimo destinatario della sostanza, vuoi sulla divisione dell’intero quantitativo tra i diversi acquirenti, sicchè, ad esempio, con riferimento alla droga destinata al Ch., che operava in Belgio, la valutazione sulla configurabilità dell’aggravante non può prescindere dalla conoscenza della quantità di sostanza allo stesso destinata dopo l’importazione In Italia, ed al bacino di utenza riferibile al luogo in cui la droga sarebbe stata "commercializzata";

– relativamente al trattamento sanzionatorio, l’eccessività della pena base e dell’aumento per la continuazione, atteso il ruolo "presuntivamente assunto dal Ma." e la contestazione del reato di cui al capo 6) nella forma del tentativo e la censurabilltà della decisione di applicare nei suoi confronti una misura di sicurezza (la libertà vigilata per anni due), valutata la personalità dell’imputato, gravato da un unico precedente, e l’attuale suo inserimento lavorativo.

2.6.2.2 Il motivo è infondato in tutte le sue poliformi articolazioni. Quanto alle censure sollevate in merito all’attendibilità del riconoscimento, va infatti ribadito, che a fronte di un percorso motivazionale quanto mai circostanziato sviluppato sul punto, soprattutto dal giudice di primo grado a pagina 10 della relativa sentenza, che ha valorizzato I servizi di osservazione svolti dalla polizia giudiziaria, le deduzioni difensive sviluppate in ricorso, lungi dall’evidenziare verificabili travisamenti delle risultanze processuali, si risolvono in una generica confutazione dell’attendibilità delle sintoniche valutazioni probatorie dei giudici di merito, che in quanto sviluppate in un percorso motivazionale logico ed aderente alle risultanze processuali, risulta non sindacabile in sede di legittimità.

Quanto, invece, alla denunziata illegittimità della contestazione dell’aggravante speciale D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. art. 80, comma 2, valgono le considerazioni tutte già illustrate al paragrafo 2.2.4.1 in sede di trattazione di analoga censura prospettata nell’interesse dei coimputati F.R., Ch.Gi. e S.F..

Manifestamente infondato deve ritenersi anche il motivo di impugnazione relativo al trattamento sanzionatorio ed all’applicazione di una misura di sicurezza (libertà vigilata), tenuto conto, per un verso, che nel rideterminare la pena Inflitta al ricorrente a ragione dell’esclusione dell’aggravante speciale con riferimento ai capi 6, il giudice di appello non era tenuto a dar conto di tutti gli elementi di cui all’art. 133 cod. pen., nell’ambito della valutazione della fattispecie criminosa sottoposta al suo esame, al fine della gradazione della pena, bensì unicamente di quelli, tra essi, cui specificamente si riferiva (in tal senso ex multis, Sez. 2, Sentenza n. 5787 del 16/04/1993, dep. il 09/06/1993, imp. Croci, Rv. 194056) e che tale onere motivazionale risulta senz’altro rispettato, nel caso in esame, avendo la Corte territoriale rimarcato la obiettiva gravità dei fatti contestati, quale desumibile in particolare dalla loro reiterazione, e l’esistenza di precedenti penali a suo carico; e che la conferma dell’applicazione della misura della libertà vigilata è stata ricollegata ad un motivato giudizio di rilevante pericolosità sociale, quale desumibile dalla natura dei reati commessi e dalla negativa valutazione della personalità del reo.

2.7 Nel ricorso proposto nell’interesse di S.F. dal suo difensore avvocato Marco Cavaliere, si prospetta un unico articolato motivo d’impugnazione, con il quale si deduce l’illegittimità della sentenza impugnata per violazione di legge e vizio di motivazione, con riferimento sia all’affermazione di penale responsabilità del reato contestato al predetto imputato, sia al mancato riconoscimento dell’attenuante speciale D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 73, comma 5 e delle attenuanti generiche.

Con riferimento al primo dei profili di illegittimità dedotti, nel ricorso, dopo aver evidenziato che al S. inizialmente erano stati contestati quattro diversi episodi relativi a cessione di cocaina e che già dal primo giudice, il materiale probatorio raccolto a carico dell’imputato – e costituito soltanto dal contenuto di quattro conversazioni "captate in ambientale" all’interno di un’autovettura – era stato ritenuto idoneo a fondare un giudizio di colpevolezza solo con riferimento a due degli episodi oggetto di imputazione (il primo, relativo alla cessione a tale G. di un quantitativo di cocaina del valore di poco superiore ai 2000,00 Euro, commesso il (OMISSIS); il quarto relativo alla cessione di 50 gr. di cocaina a tale P., commesso il (OMISSIS)) – si ribadisce l’assoluta insufficienza del materiale probatorio, tenuto conto della ambiguità dell’interpretazione del contenuto dei colloqui come riferentesi senz’altro alla cessione di stupefacente, che costituisce secondo il ricorrente solo una ipotesi Investigativa non corroborata da però ulteriori e significativi riscontri, quali il sequestro della sostanza asseritamene ceduta, rilevandosi in particolare, specie alla luce del proscioglimento da ben due degli episodi contestati, il passaggio della sentenza impugnata in cui si indica il S. come dedito a traffici di stupefacenti, vieppiù considerata l’assenza di precedenti penali specifici a suo carico.

Incongrua si ritiene, altresì, l’esclusione dell’attenuante del fatto di lieve entità, in considerazione del mancato sequestro di sostanze stupefacenti e la conseguente incertezza, in applicazione del principio del favor rei, sull’effettivo quantitativo di sostanza stupefacente asseritamente oggetto delle cessioni contestate al S., così come la mancata concessione delle attenuanti generiche, decisione laconicamente ed apoditticamente ricollegata alla "indubbia gravità del fatto". 2.7.1 Il motivo è infondato, in tutte le sue poliformi articolazioni. Ed invero, premesso che le deduzioni difensive sviluppate in ricorso, ripropongono, con prospettazioni di contenuto sostanzialmente identico, le medesime questioni già sollevate nell’altro ricorso pure proposto nell’interesse del S., per rimarcarne l’infondatezza è sufficiente qui richiamare le argomentazioni tutte già esposte al paragrafo 2.2.2.3. 3. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso proposto da B.L. consegue la condanna del predetto ricorrente al pagamento delle spese processuali e – non ricorrendo ipotesi di esonero in mancanza di elementi indicativi dell’assenza di colpa (Corte Cost, sent. n. 186 del 2000) – al versamento alla cassa delle ammende di una somma congruamente determinabile in Euro 1000,00, mentre dal rigetto degli altri ricorsi discende, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna di ciascuno dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso di B.L. e condanna il ricorrente predetto al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00;

rigetta gli altri ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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