Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 26-10-2011) 11-11-2011, n. 41057

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1.- Con la sentenza in epigrafe la Corte di Cassazione rigettava il ricorso svolto da C.L. avverso la sentenza n. 934 emessa il 3.6.2009 dalla Corte di appello di Bari.

Con riguardo a detta pronunzia il ricorrente lamenta errori di fatto l’erronea applicazione della disciplina transitoria prevista dalla L. n. 251 del 2005, art. 10, comma 3, la quale deve essere intesa nel senso che tale esclusione riguarda solo le disposizioni che investono i nuovi criteri di calcolo dei termini prescrizionali, ma non anche – e come invece ritenuto dalla Corte – quelle che hanno comunque come effetto la loro riduzione, tra cui, in particolare, la disposizione che, eliminando dall’art. 158 c.p. ogni riferimento al reato continuato, ha fatto decorrere il termine di prescrizione per i reati uniti da tale vincolo dalla consumazione di ciascuno di essi e non più dalla data di cessazione della continuazione. A tale errata interpretazione è conseguita omessa pronuncia di intervenuta prescrizione dei reati contestati ai punti c), e), f), l), m), n) del capo di imputazione. Lamenta inoltre una ulteriore svista con riguardo al rigetto del quinto motivo di ricorso, concernente l’assoluto difetto di motivazione in ordine alla cessazione della data del reato associativo di cui alla lettera gì) del capo di imputazione, rilevante al fine del calcolo sulla prescrizione dei reati contestati ai punti c), e), f), l), m), n) del capo di imputazione.

2. – Il ricorso è manifestamente infondato e deve essere dichiarato inammissibile.

Come ha già avuto modo di precisare questa Corte di legittimità, "in punto di accesso alla procedura e ai fini dell’ammissibilità del ricorso straordinario per errore di fatto, è necessario che sia denunciato o un errore meramente materiale ovvero una disattenzione di ordine meramente percettivo, causata da una svista o da un equivoco, la cui presenza sia immediatamente ed oggettivamente rilevabile in base al semplice controllo del contenuto del ricorso, e che abbia determinato una decisione diversa da quella adottata, dovendosi escludere che il rimedio in oggetto possa essere utilizzato al fine di denunciare un errore di valutazione (Sez. 6, Sentenza n. 27035 del 19 febbraio 2008, rv. 240973, Di Bari). Inoltre, presupposto indefettibile per l’accoglimento del ricorso ex art. 625 bis c.p.p. è altresì quello della decisività del presunto errore (v. al riguardo Sez. un., 27 marzo 2002, n. 16103, Basile, rv.

221280) che si trovi cioè in rapporto di derivazione causale necessaria con la decisione adottata risolvendosi in un’incidenza effettiva sul contenuto del provvedimento. Inoltre, qualora la causa dell’errore non sia identificabile esclusivamente in una fuorviata rappresentazione percettiva e la decisione abbia comunque contenuto valutativo, non è configurabile un errore di fatto, bensì di giudizio (rv. 221280 citata) e tale errore esula dal campo di applicazione dell’art. 625 bis c.p.p., atteso che il ricorso straordinario non è un ulteriore grado di giurisdizione, ma ha il solo scopo di porre rimedio a sviste o ad errori di percezione nei quali fosse incorso il giudice di legittimità (Sez. 5, 5 aprile 2005 n. 37725 rv. 232313). E’ bene quindi chiarire che, mentre con l’errore materiale il giudice valuta correttamente un fatto ma lo estrinseca in modo errato di talchè la volontà rappresentata è diversa da quella voluta (perchè erroneamente comunicata), nell’errore di fatto si verifica l’esatto contrario, in quanto la volontà rappresentata è proprio quella voluta dal giudice ma è inesatta per difetto di rappresentazione (perchè erroneamente percepita a livello sensoriale): il giudice in quest’ultimo caso vizia la propria volontà per essersi mal rappresentato il fatto (o l’atto) sottoposto alla sua attenzione ovvero per non averlo valutato per mera dimenticanza. Perchè l’errore di fatto non si risolva in un errore di giudizio (sottratto come si è accennato all’area delibativa del ricorso ex art. 625 bis c.p.p.) occorre quindi che lo sbaglio ricada su un fatto di per sè già fruibile dal giudicante nel suo processo decisorio (come lo può essere una svista nella lettura degli atti, cfr. Cass., Sez. 1, 13 ottobre 2009, n. 4061, Boccioni, rv. 245569) trattandosi di un dato che non necessita cioè per il suo utilizzo di una sua ulteriore elaborazione, magari in concatenazione con altri parametri di giudizio o normativi: non deve in altri termini costituire solo la base di partenza per una valutazione complessa ancora da effettuare ma sia già presente nell’atto e sia di immediata valorizzazione" (Cass., sez. 1, 25.1.2011, n. 4783).

Circa la rilevazione della prescrizione si registrano sentenze di questa Corte parzialmente difformi, sostenendosi sia che l’omesso esame, da parte della Corte di cassazione, della questione della prescrizione del reato, causato dalla mancata rilevazione del "tempus commissi delicti" integra errore di fatto di natura percettiva (Cass., Sez. 3, 11 marzo 2010, n. 15683, P.G. in proc. Gargiulo, rv.

246963) sia che la valutazione di maturata prescrizione non possa esaurirsi nel mero prender atto di un dato fattuale altrimenti ignorato (appunto il "tempus commissi delicti") ma richieda piuttosto un giudizio complesso di valore implicante a sua volta l’esame di un insieme di parametri anche normativi nell’apprezzamento a volte anche della successione nel tempo delle norme applicabili (dovendosi a tacer d’altro verificare non solo la data di contestazione del reato e il relativo decorso del tempo, ma anche la mancanza di validi fatti sospensivi eventualmente maturati nel corso del giudizio di cognizione, con necessaria consultazione degli atti); cosicchè detto giudizio può semmai culminare in un errore valutativo e di diritto, ma giammai in un mero errore percettivo e di fatto (Cass., sez. 1, 25.1.2011, n. 4783).

Nel caso di specie, tuttavia, non si rivela necessario prendere partito tra le due tesi, in quanto la questione sulla prescrizione risulta non omessa in sentenza sibbene affrontata, sia pure con esiti non condivisi dal ricorrente. Ciò che vorrebbe spacciarsi per errore materiale potrebbe dunque, e al più, integrare soltanto un errore giuridico (ma in realtà ad errare è il ricorrente, avendo chiarito questa Corte che la disciplina transitoria prevista dalla L. n. 251 del 2005, art. 10, comma 3, deve essere intesa nel senso che l’esclusione dal raggio di applicazione della legge riguarda anche la disposizione conformativa dell’art. 158 c.p.: cfr. Cass. n. 41811/2007).

3. – Ne discende, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 1000.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione, Sezione Seconda Penale, dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000 in favore della Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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