Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 26-10-2011) 11-11-2011, n. 41051 Sequestro preventivo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

In data 13 gennaio 2009 il g.i.p. del Tribunale di Roma ha disposto il sequestro preventivo sui beni di F.G. ed F. E., in applicazione del combinato disposto degli artt. 322 ter e 640 bis c.p. e dell’art. 321 c.p.p..

Ricadono, fra i beni sequestrati, le partecipazioni dei prevenuti nella Tecnomech s.r.l..

G., F., A.M. e F.M., figli e nipoti degli indagati, hanno chiesto la revoca del sequestro, affermando di essere titolari esclusivi ed effettivi delle quote sociali. Contro il rigetto dell’istanza hanno proposto appello, anch’esso rigettato con ordinanza del tribunale capitolino del 7 aprile 2011.

I ricorrenti chiedono oggi l’annullamento di quest’ultimo provvedimento per due motivi.

Col primo motivo osservano che il sequestro finalizzato alla confisca c.d. per equivalente è consentito solo nell’ipotesi di truffa ai danni dello Stato, di cui all’art. 640 bis c.p.; che F.E. non risulta coinvolto in alcuna attività delittuosa di tal specie;

che per F.G. non sussistono indizi di colpevolezza, esclusa alla base dalla circostanza di aver egli assunto cariche sociali all’interno della Tecnomech s.r.l. solo in data successiva al sequestro. Concludono quindi che non sussistevano, in relazione a nessuno dei due indagati, le condizioni per procedere al sequestro preventivo.

La seconda doglianza si fonda sulla constatazione che le quote della Tecnomech s.r.l. sono sempre state intestate, ab origine, agli odierni ricorrenti, sicchè deve escludersi che si sia in presenza di un accordo interpositorio.

Entrambi i motivi dedotti sono infondati e il ricorso deve essere rigettato.

In ordine al primo profilo va osservato che nell’ordinanza impugnata si legge testualmente "l’unica ipotesi – tra quelle ipotizzate – che giustifica l’adozione del provvedimento di sequestro è esclusivamente quella di truffa aggravata ai danni dello Stato e della Unione Europea (art. 640 bis c.p., e art. 61 c.p., nn. 7 e art. 99 c.p.), ipotesi ascritta provvisoriamente a tutti gli indagati destinatari del provvedimento". Consegue che l’asserzione secondo cui difetterebbe il presupposto per l’applicazione della misura cautelare reale per estraneità dei pretesi interponenti al reato di cui all’art. 640 bis c.p., è smentita dalla semplice lettura dell’ordinanza pronunciata dal giudice di appello.

D’altro canto, sul punto il ricorso non offre alcun elemento di segno contrario e, poichè tale premessa non costituisce oggetto di specifica contestazione, deve concludersi che il dato non è controverso.

Sempre nell’ambito del primo motivo, i ricorrenti deducono la carenza di elementi indiziari a carico di F.G., divenuto amministratore della Tecnomech s.r.l. solo in epoca successiva al sequestro. La questione è inammissibile in questa sede innanzitutto perchè avverso i provvedimenti cautelari reali il ricorso per cassazione è ammesso solo per violazione di legge, "in tale nozione dovendosi comprendere sia gli errores in indicando o in procedendo, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice" (Cass. sez. un. 29 maggio 2008, n. 25932;

conf. Cass. sez. un. 29 maggio 2008, n. 25933). Non ricorre tale vizio nel caso di specie, in quanto il provvedimento impugnato non presenta carenze argomentative.

Sebbene tale rilievo sia assorbente, non è inutile osservare che – oltretutto -l’argomento speso dai ricorrenti è privo di univoca significanza, dal momento che la titolarità di cariche sociali non è un presupposto necessario per concorrere nella commissione dei delitti ascritti a F.G., non trattandosi di reati propri dell’amministratore.

Parimenti infondato si rivela, come già anticipato, il secondo motivo di ricorso. Secondo la tesi sostenuta dai ricorrenti l’interposizione presupporrebbe un accordo trilaterale fra dante causa, interponente ed interposto; accordo che darebbe quindi luogo ad un negozio relativamente simulato sotto il profilo soggettivo (di comune intesa fra le parti, l’interposto è solamente un acquirente simulato). Alla stregua di questa ricostruzione, il fenomeno non sarebbe ravvisabile ogni qualvolta il bene appartenga ab origine a colui che viene indicato dalla pubblica accusa come soggetto interposto, difettando alla base l’accordo simulatorio ed il negozio simulato.

L’eventualità così prospettata ricorrerebbe nella specie, dacchè le quote di partecipazione al capitale della Tecnomech s.r.l. sono sempre state intestate, fin dalla costituzione della società, agli odierni ricorrenti.

In realtà, la fattispecie considerata dalla difesa è quella della c.d. interposizione "fittizia", ossia di un negozio traslativo simulato i cui effetti apparentemente si spiegano fra dante causa ed interposto, ma in realtà – per comune volontà di tutte le parti – l’acquisto avviene in capo all’interponente. Ai fini dell’adozione della misura cautelare assume rilievo, invece, anche la diversa figura della c.d. interposizione "reale", che ricorre allorquando l’interponente trasferisce o intesta, ad ogni effetto di legge, taluni beni all’interposto, ma con l’accordo fiduciario sottostante che detti beni saranno detenuti, gestiti o amministrati nell’interesse del dominus e secondo le sue direttive.

In questo diverso, e più ampio, contesto assumono rilievo ai fini dell’individuazione dei beni che possono essere sottoposti al sequestro preventivo finalizzato alla confisca "per equivalente", non soltanto i casi in cui l’intestazione in capo all’interposto sia solo apparente (interposizione fittizia), ma anche le ipotesi in cui l’interposto è effettivo titolare erga omnes, purchè costui sia legato da un rapporto fiduciario con l’interponte (interpretazione reale fiduciaria).

Il ricorso è quindi infondato e deve essere rigettato, con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese di questo grado di giudizio.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 26 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2011

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