Cassazione civile anno 2005 n. 1741 Successione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Svolgimento del processo
Con ricorso del 28.8.92 R. D. B., nella qualità di procuratore speciale di G. e G. B. adiva il Pretore di S. M. Capua Vetere, sez. dist. di Sessa Aurunca, nei confronti di A. B. fratello delle anzidette, per le reintegra nel compossesso di beni lasciati in eredità legittima dal comune germano G. B. (deceduto il 15.5.92), costituiti da terreni e da un fabbricato siti in Roccamonfina, sul quale ultimo, in particolare, intimato avrebbe accampato diritti, trattenendone le chiavi e rifiutandone la consegna di copia alle istanti, adducendo il proprio possesso esclusivo anteriore all’apertura della successione e l’esistenza un non ben precisato testamento olografo a suo favore.
L’adito pretore, dopo l’emissione di provvedimento interdittale di accoglimento del ricorso relativamente al solo fabbricato, disponente la consegna al ricorrente, nella qualità, di un esemplare delle chiavi, all’esito della successiva fase di merito, nella persistente contumacia dell’intimato, confermava la reintegra e condannava il B. al risarcimento dei danni, stimati in L. 3.016.093 al netto delle spese di gestione, come da consulenza tecnica, in favore delle ricorrenti, oltre al rimborso delle spese di lite.
Proposto appello dal B., resistito dal D. B. nella qualità, con proposizione di appello incidentale relativo alla liquidazione delle spese, con sentenza del 15.2.2000 l’adita corte territoriale, accogliendo per quanto di ritenuta ragione il gravame principale e disatteso quello incidentale, revocati l’interdetto possessorio del 6.11.92 e la successiva ordinanza ammissiva di c.t.u., rigettava le richieste e compensava interamente le spese del doppio grado del giudizio. Detta decisione si basava, per quanto ancora in questa sede rileva, sull’essenziale considerazione che, "rivestendo l’attuale appellante qualità di chiamato all’eredità, l’aver costui trattenuto le chiavi dell’immobile abitativo rientrante nell’asse ereditario, senza che sia stata dimostrata la clandestinità o la violenza del conseguimento del bene, non costituisce violazione del compossesso con gli altri chiamati allo stesso titolo ma semplicemente una ritenzione da godimento esclusivo a titolo di comproprietà per effetto del meccanismo successorio." Avverso detta sentenza il D. B. n.q. ha proposto ricorso per Cassazione, affidato ad un unico motivo, cui resiste con controricorso, illustrato da successiva memoria, il B..

Motivi della decisione
Il ricorso deduce "violazione degli artt. 1140, 1146, 1168 cod. civ. e 112, 113 c.p.c. in correlazione con l’art. 360 c.p.c.", essenzialmente lamentando che la corte di merito avrebbe erroneamente e riduttivamente qualificato le ricorrenti germane B. "chiamate all’eredità", così negando loro la tutela del compossesso dei beni relitti dal de cuius, senza tenere conto che invece le medesime, avevano agito quali eredi legittimi, avendo tacitamente accettato l’eredità, in virtù di atti vari, tra i quali la nomina del D. B. ad amministratore dei beni ereditali e la proposizione di istanze amministrative, nonchè dello stesso ricorso introduttivo del procedimento possessorio, nel quale avevano, tra l’altro, chiesto che nella successiva fase di merito si dichiarasse aperta la successione con conseguente divisione della massa ereditaria.
In tale qualità, che erroneamente la corte di merito non avrebbe loro riconosciuto, ed a fronte dell’ingiustificato diniego del compossessore ad ammetterle al godimento in comune del cespite, dal quale si erano viste di fatto escluse in violazione delle fondamentali regole dettate dall’art. 1102 c.c., la tutela possessoria, fondatamente richiesta ex art. 1130 c.c. dall’amministratore, quale atto conservativo, avrebbe dovuto essere accordata. Il ricorso, fondato per quanto di ragione,va accolto nei termini di seguito precisati. Poco o punto rileva, ai fini della decisione, se le parti rivestano la semplice qualità di "chiamati all’eredità" (nella quale vengono accomunate nella motivazione della sentenza impugnata), oppure di eredi, come, più correttamente, avrebbero dovuto essere qualificati ex art. 476 c.c. in virtù della tacita accettazione, integrata, quanto al resistente, dall’apprensione dei beni ereditarie quanto ai ricorrenti, quantomeno, dall’aver adito l’autorità giudiziaria, al fine di tutelare il compossesso di tali beni, per la cui divisione peraltro pendeva contemporaneo giudizio (v. a tale ultimo riguardose relative deduzioni ammissive dell’appellante, riportate nella narrativa della sentenza di secondo grado).
Il chiamato all’eredità subentra al de cuius nel possesso dei beni ereditali senza la necessità di materiale apprensione, come si desume dall’art. 460 c.c. che lo abilita, anche prima dell’accettazione, alla proposizione delle azioni possessorie a tutela degli stessi, così come l’erede, ex art. 1146 c.c., vi succede con effetto dall’apertura della successione.
Sicchè, nel caso di specie, in cui l’eredità legittima, era stata devoluta ai tre germani e comunque era stata dai medesimi tacitamente accettataci era instaurata una situazione di compossesso sui beni costituenti l’asse ereditario, non esclusa dalla circostanza che gli stessi fossero materialmente detenuti solo da uno dei chiamati (poi divenuti eredi), nella specie da A. B..
Premesso, al riguardo, che il possesso può, ai sensi dell’art. 1140 co. 2 c.c., essere esercitato o "direttamente o per mezzo della persona che ha la detenzione della cosa", giudici di appello, che, pur avevano, per altro verso, disatteso il motivo di gravame secondo il quale il suddetto appellante, avrebbe posseduto in modo esclusivo il bene fin da epoca anteriore all’apertura della successione, avrebbero dovuto ritenere che il B., compossessore al pari delle germane dell’immobile, lo detenesse in parte nel suo interesse ed in parte per conto delle medesime.
In siffatto contesto il rifiuto, opposto alle composseditrici, di farle partecipare al godimento del cespite, oltre a costituire un chiaro atto oppositivo ex art. 1141 co. 2 c.c. esternante una propria pretesa possessoria esclusiva sul bene, incompatibile con le concorrenti facoltà delle suddette e tale da impedirne (in violazione dei fondamentali principi di cui all’art. 1102 c.c. valevoli anche in tema di compossesso) l’esercizio, avrebbe dovuto essere considerato anche quale spoglio, idoneo a giustificare il ricorso alla tutela di cui all’art. 1168 c.c..
Al riguardo va ribadito il principio, costantemente affermato dalla giurisprudenza di questa S.C., secondo il quale la violenza, agli effetti della configurabilità dello spoglio sanzionabile con l’azione di reintegrazione, non deve necessariamente esplicarsi, materialmente, sulla persona o sulle cose, essendo a tal fine sufficiente il compimento di atti arbitrari, costituenti espressione di consapevole antagonismo rispetto alla volontà, espressa o presunta, del possessore, ed idonei ad impedirgli in via permanente l’esercizio delle relative facoltà (v., tra le altre, Cass., sez. 3^, 6.9.1995 n. 9381, sez. 2^, 30.8.2000, n. 11453).
Non convincente al riguardo, tenuto conto che nel caso di specie risulta esternata una pretesa esclusiva sul bene incompatibile con le concorrenti facoltà di compossesso, deve ritenersi il richiamo della corte di merito ad un lontano precedente giurisprudenziale (Cass. 2^, 4/5/82 n. 2745), solo apparentemente in termini, considerato che nella relativa vicenda, a differenza che nella presente, all’omessa consegna delle chiavi non si accompagnava alcuna pretesa di possesso esclusivo sul bene, sicchè fu ritenuto che tale rifiuto fosse di per sè inidoneo a sovvertire la situazione di compossesso a vantaggio del compossessore detentore ed a discapito di quello non detentore;
non conferente è, altresì, il richiamo a Cass. n. 5517/98, relativo a fattispecie del tutto diversa.
Impropria deve, infine, ritenersi la menzione della facoltà di "ritenzione da godimento esclusivo", considerato: a) che l’esclusività di tale godimento, che il resistente ha ritenuto di dover instaurare mediante il rifiuto di ammissione dei coeredi all’uso dell’immobile, essendo il risultato conseguito con tale comportamento, nel quale si configurano gli estremi dello spoglio, non può assurgere a causa giustificativa dello stesso; b) che l’istituto della "ritenzione", in quanto forma eccezionale di autotutela accordata dalla legge in casi tipici, in deroga alle regole generali che prevedono il ricorso all’A.G. per l’affermazione e tutela delle proprie pretese, non è suscettibile di applicazione analogica e, pertanto, non può essere invocato al di fuori delle ipotesi normativamente previste (v., tra le altre, Cass. sez. 2^, 19.8.02 n. 12232, sez. 3^, 8.5.03, n. 6981).
Per le suesposte considerazioni, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio, per nuovo esame del gravame di merito, ad altra sezione della corte territoriale, che regolerà anche le spese del presente grado, tenuto conto dell’esito finale della lite.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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