Cassazione civile anno 2005 n. Contratto preliminare Esecuzione specifica dell’obbligo di concludere il contratto Vendita di cosa altrui

OBBLIGAZIONI E CONTRATTI VENDITA

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Svolgimento del processo
B. J. conveniva in giudizio G. F. esponendo: che, con scrittura 12/11/1984. il convenuto gli aveva proposto la vendita di due appartamenti siti in Milano; che, con successiva scrittura 23/6/1986, lo stesso G. F. aveva indicato le modalità di pagamento del prezzo di L. 100.000.000: che siglato il contratto esso attore aveva pagato per detto titolo L. 159.443.000. Il B. chiedeva pertanto il trasferimento ex articolo 2932 c.c. della proprietà degli immobili in questione in suo favore, con la condanna del convenuto alla restituzione della somma pagata in eccesso rispetto al prezzo pattuito.
(G. F. resisteva alla domanda negando la stipula tra le parti di un contratto di compravendita e sostenendo che gli importi versati dall’attore erano pertinenti ai rapporti locativi relativi ai due appartamenti.
Interveniva volontariamente nei giudizi G. A., fratello del convenuto, il quale dichiaratosi comproprietario pro indiviso degli immobili in contestazione – chiedeva il rigetto della domanda relativamente alla quota del 50% di detti immobili.
Con sentenza 18/2/1987 l’adito tribunale di Milano rigettava le domande dell’attore e condannava quest’ultimo a rilasciare a favore del convenuto e dell’intervenuto gli immobili in questione.
Avverso la detta sentenza B. J. proponeva appello al quale resistevano, con separati atti. F. e A. G..
Con sentenza 7/11/2000 la corte di appello di Milano rigettava il gravame osservando: che andava disattesa l’eccezione preliminare di nullità dell’atto di appello per omessa indicazione dei termini di cui all’articolo 163 n. 7 c.p.c. trattandosi di omissione superata dalla avvenuta costituzione degli appellati e dalla piena accettatone del contraddittorio; che l’azione diretta alla pronuncia costitutiva del trasferimento immobiliare verteva su beni intestati, a seguito di devoluzione ereditaria, ai due fratelli G. per quote paritarie ed indistinte; che la domanda ex articolo 2932 c.c. era stata proposta dal Barasti nei confronti di G. F. – come soggetto firmatario degli atti negoziali posti a fondamento della domanda – e non nei confronti di A. G., coerede cointestatario dell’oggetto dei detti atti; che quindi si era verificata una incompleta manifestazione del consenso al trasferimento da parte di tutti i soggetti legittimati con conseguente impedimento alla stipulazione del contratto definitivo; che in una situazione di questo tipo non poteva essere emessa una sentenza costitutiva ex articolo 2932 c.c. che non sarebbe stata corrispondente all’assetto degli interessi di tutti i soggetti titolari del diritto di proprietà ed anzi avrebbe attuato in modo arbitrario un superamento del deficit del consenso;
che per effetto della alienazione disposta da G. F. non si era realizzata la divisione parziale dei beni mediante lo scioglimento della comunione ed il prelevamento in natura della quota ad esso spettante: che mancava al riguardo la volontà di uno dei due soggetti aventi diritto: che era quindi insuperabile il problema della inesistenza o invalidità del contratto preliminare per mancanza di consenso di uno dei soggetti aventi diritto: che restava impregiudicato il diritto dell’appellante a tutela della sua posizione creditoria ed alla restituzione delle somme versate per un titolo non riconosciuto con la confermata sentenza di primo grado;
che infatti non era stata domandata la restituzione ma la sola condanna (inaccoglibile) al risarcimento a carico della parte convenuta.
La cassazione della sentenza della corte di appello di Milano è stata chiesta da B. J. con ricorso affidato a cinque motivi illustrati da memoria. F. ed A. C. hanno resistito con controricorso ed hanno proposto ricorso incidentale con un unico motivo contenente numerose censure.

Motivi della decisione
Il ricorso principale e quello incidentale vanno riuniti a norma dell’articolo 335 c.p.c..
Con il primo motivo del ricorso principale B. J. deduce che la corte di appello, nel ritenere inesistente un valido contratto preliminare per la mancanza di consenso di uno degli aventi diritto, ha erroneamente interpretato gli articoli 2932 e 732 c.c.. Sostiene il ricorrente che ogni coerede è unico titolare e proprietario fin dall’origine dei soli beni caduti nella sua quota: la divisione ha carattere dichiarativo e non attributivo del diritto di proprietà e lo scioglimento ha carattere retroattivo anche quanto ai frutti.
L’atto di disposizione di un bene ereditario operato da un coerede durante la comunione rimane quindi fermo attribuendosi quel bene a quel coerede nella divisione definitiva. Alla luce dei detti principi ermeneutici dell’articolo 732 c.c. deve ritenersi valida l’alienazione ad esso B. effettuata dal G. F. il quale ha esercitato di fatto il godimento separato dei beni in questione animo domini. L’alienazione ad esso ricorrente ha comportato la divisione parziale dei beni, lo scioglimento della comunione ereditaria rispetto ad essi, il prelevamento in natura in acconto sull’asse ereditario, salva la resa dei conti in sede di divisione definitiva dell’intero asse.
Il motivo non è fondato: la sentenza impugnata è corretta e si sottrae alle critiche di cui è stata oggetto con la censura in esame.
La corte di appello si è pienamente uniformata al principio più volte affermato da questa Corte secondo cui nel caso di preliminare di vendita di un bene oggetto di comproprietà indivisa, dovendosi presumere – in difetto di elementi, desunti dal tenore del contratto, che siano idonei a far ritenere che con esso siano state assunte (anche contestualmente) dai comproprietari promittenti distinte autonome obbligazioni aventi ad oggetto il trasferimento delle rispettive quote di comproprietà – che il bene sia stato considerato dalle parti come un unicum giuridico inscindibile. si deve ritenere che i promittenti venditori si pongano congiuntamente come un’unica parte contrattuale complessa e che. dunque, le singole manifestazioni di volontà provenienti da ciascuno di essi siano prive di una specifica autonomia e destinate invece a fondersi in un’unica manifestazione negoziale, con la conseguenza che. qualora una di dette manifestazioni manchi, o risulti viziata da invalidità originaria, o venga caducata per una qualsiasi causa sopravvenuta, si determina una situazione che impedisce non soltanto la prestazione del consenso negoziale della parte complessa alla stipulazione del contratto definitivo, ma anche la possibilità che quella prestazione possa essere sostituita dalla pronuncia giudiziale ai sensi dell’art. 2932 c.c., restando, pertanto, escluso che il promissario acquirente possa conseguire la sentenza ai sensi di detta norma nei confronti di quello (o di quelli) tra i comproprietari promittenti, dei quali esista e persista l’efficacia della relativa manifestazione negoziale preliminare (tra le tante, sentenze 5/6/2003 n. 8983; 26/11/2002 n. 16678; 13/5/1999 n. 4747).
Nella specie il contratto preliminare in questione è relativo ad beni immobili facenti parte di un più vasto compendio ereditario ed è stato stipulato da uno solo dei due eredi: al momento della conclusione di tale contratto i beni promessi in vendita non erano di proprietà esclusiva di G. F. – solo ed unico promittente venditore – bensì di questi e del fratello A. per una pari ed indeterminata quota in virtù di una persistente comunione ereditaria tra i due germani, con conseguente impossibilità della richiesta da parte del promissario acquirente della pronuncia di una sentenza costitutiva ex articolo 2932 c.c. nei confronti di uno solo dei comproprietari.
Del tutto inconsistente è poi la tesi del ricorrente secondo cui la promessa di alienazione di parte dei beni ereditari avrebbe comportato lo scioglimento della comunione ereditaria in relazione a tali beni, il prelevamento in natura dall’asse ereditario e la divisione parziale dell’asse ereditario.
Come ineccepibilmente posto in evidenza nella sentenza impugnata, l’asserita divisione parziale dei beni ereditari deve escludersi nella specie in quanto uno dei due aventi diritto (ossia G. A.) ha espressamente manifestato in modo inequivoco la sua volontà di non aderire a tale ipotetica divisione rivendicando la propria quota di proprietà dei beni ereditari promessi in vendita solo dal fratello e chiedendo il rigetto della domanda ex articolo 2932 ex., avanzata dal promissario acquirente, quanto meno per la detta sua quota di proprietà.
Con il secondo motivo il B. denuncia vizi di motivazione in ordine alla pronuncia di rilascio degli appartamenti per cui è causa a carico di esso ricorrente ed a favore delle controparti: detto punto aveva formato oggetto specifico dell’appello avverso la sentenza di primo grado. Al riguardo vi è mancanza di motivazione in quanto la corte di merito si è limitata "a confermare integralmente" la sentenza del tribunale senza spiegare le ragioni del rigetto del gravame. Peraltro la motivazione data in proposito dal tribunale è errata in quanto l’ordine di rilascio doveva semmai essere pronunciato nei confronti del custode già immesso nel possesso dei beni per cui esso B. difettava comunque di legittimazione passiva al riguardo.
Con il terzo motivo il ricorrente principale, denunciando vizi di motivazione con riferimento all’entità del compendio immobiliare oggetto della condanna alla restituzione, deduce di aver chiesto, sia in primo che in secondo grado, il rigetto di tutte le domande delle controparti inclusa quella, formulata da G. F., di restituzione degli appartamenti occupati dal M. posti al secondo e quarto piano dell’edificio in questione: nessuna domanda di restituzione era stata invece formulata da G. A.. Neppure su questa problematica si è pronunciata la corte di appello onde deve ritenersi che anche a tale proposito il giudice di secondo grado abbia condiviso le motivazioni della decisione del tribunale il quale, a sua volta, è in corso ne) vizio di ultra petita per aver condannato alla restituzione di immobili in favore di G. A. che non aveva formulato alcuna richiesta in tal senso. I giudici del merito, inoltre, hanno condannato a restituire sia gli appartamenti, sia un altro vano e due solai che non avevano mai formato oggetto della domanda di restituzione proposta da G. F..
La Corte rileva l’infondatezza dei detti motivi che, per evidenti ragioni di ordine logico e per economia di trattazione, possono essere esaminati congiuntamente per la loro stretta connessione e interdipendenza riguardando entrambi, sia pur sotto profili diversi.
Lo stesso capo della sentenza impugnata concernente la conferma della decisione di primo grado relativa alla condanna del ricorrente alla restituzione del compendio immobiliare in contestazione.
Occorre osservare che. come dedotto in fatto nello stesso ricorso, il B. con l’atto introduttivo del giudizio ha invocato l’applicazione dell’articolo 2932 c.c. senza formulare alcuna richiesta di riconoscimento del diritto a detenere i locali in questione a diverso titolo.
Pertanto, rigettata la domanda ex citato articolo 2932 c.c. e in mancanza di una rivendicazione di altro titolo per la detenzione dei detti locali, i giudici del merito hanno logicamente riconosciuto la sussistenza dell’obbligo del B. di restituire i beni immobili oggetto della controversia in favore dei legittimi comproprietari, ossia in favore non del solo F. G. ma anche del fratello A..
Va poi aggiunto che l’ordine di rilascio non poteva essere emesso nei confronti del custode giudiziario – nominato con l’ordinanza di sequestro giudiziario degli immobili – incaricato solo di amministrare i beni oggetto del disposto sequestro (venuto meno a seguito della sentenza di primo grado) ed occupati dal B. senza alcun titolo giustificativo.
E’ infine inammissibile la censura (di cui al terzo motivo di ricorso ) relativa all’asserita non esatta corrispondenza tra gli immobili che avevano formato oggetto del sequestro e quelli indicati nella pronuncia di condanna alla restituzione.
Si tratta infatti di questione e problematica in fatto e in diritto che dalla lettura della sentenza impugnata non risulta – nè è stato dedotto in ricorso – che abbiano formato oggetto del contraddittorio nel giudizio di secondo grado. E’ pacifico nella giurisprudenza di questa Corte il principio secondo cui ove il ricorrente in sede di legittimità proponga una questione non trattata nella sentenza impugnata, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura. ha l’onere (nella specie non rispettato) non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione avanti al giudice de) merito, ma anche di indicare in quale atto del precedente giudizio lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di Cassazione di controllare "ex actis" la veridicità di tale asserzione, prima di esaminarne il merito (sentenze 9/1/2002 n. 194; 7/8/2001 n. 10902;
8/1/2001 n. 13834; 15/4/1999 n. 3737).
La detta tesi esposta dal ricorrente non è quindi deducibile in questa sede di legittimità perchè introduce per la prima volta un autonomo e diverso sistema difensivo che postula indagini e valutazioni non compiute dal giudice di secondo grado perchè non richieste.
Con il quarto motivo il B. lamenta l’omessa condanna dei G.. in accoglimento della proposta domanda subordinata, alla restituzione delle somme pagate da esso ricorrente principale. La corte di merito, nel respingere la detta domanda, è caduta in contraddizione avendo ammesso che non risultava "contestato (dai G.) il versamento di somme ingenti (da parte del B.)". somme corrisposte senza titolo.
La domanda di risarcimento del danno proposta da esso B. deve ritenersi comprendente innanzi tutto la restituzione delle somme pagate. In ogni caso non è comprensibile la ragione per cui la corte di appello non ha condannato i G. alla restituzione della somma di L. 59.443.000 pagata in eccesso rispetto al prezzo di vendita concordato, nonchè alla restituzione dei canoni non dovuti pagati dopo il versamento della prima rata del detto prezzo.
Anche questo motivo, al pari degli altri, deve essere disatteso.
Dalla lettura della sentenza impugnata risulta che il B. non chiese – contrariamente a quanto sostenuto in ricorso – la restituzione di somme pagate senza titolo "ove non fosse stato ritenuto perfezionato raccordo di vendita", bensì chiese, sia in primo che in secondo grado, il trasferimento ex articolo 2932 c.c. degli immobili in questione e, in applicazione delle clausole contenute nei contratti preliminari di vendita, la restituzione di somme versate "in eccesso" rispetto al corrispettivo pattuito. Solo in via subordinata il B. formulò domanda di risarcimento del danno.
Pertanto la corte di merito – accertata "l’inesistenza o l’invalidità del contratto preliminare per mancanza di consenso di uno dei soggetti aventi diritto" (pagine 21 sentenza impugnata) – coerentemente ha escluso la possibilità di ordinare, in accoglimento di una domanda formulata in applicazione ed in attuazione di una delle clausole del contratto ritenuto "inesistente o invalido", la restituzione di somme "versate" in eccesso rispetto a quanto pattuito.
Del pari la corte di appello non poteva condannare i G. ad una richiesta di risarcimento del danno priva di ogni giustificazione in mancanza di accertamento (e della stessa dimostrazione) della lesione di un diritto, ossia del presupposto del risarcimento.
Va altresì segnalato che con Patto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado il B. chiese la restituzione delle somme versate in eccesso e il risarcimento degli "ulteriori" danni subiti per effetto di un dedotto asserito – ma non accertato dai giudici del merito – inadempimento della controparte.
Con il quinto motivo il ricorrente principale denuncia violazione dell’articolo 92 c.p.c. sostenendo che la corte di appello ha ritenuto sussistente un giusto motivo per la compensazione tra le parti delle spese del giudizio di secondo grado: lo stesso motivo andava ravvisato anche con riferimento alle spese del giudizio di primo grado.
La censura non è meritevole di accoglimento atteso che il giudice di appello ritenuti infondati tutti i motivi di gravame avverso la sentenza di primo grado non poteva che confermare interamente la decisione impugnata anche per il capo concernente le spese processuali che erano state poste dal tribunale a carico del soccombente B. il quale in relazione a detto capo non aveva formulato un autonomo motivo di gravame indipendente dagli altri concernenti più strettamente il merito della controversia.
In proposito è appena il caso di ribadire il principio pacifico nella giurisprudenza di legittimità secondo cui il giudice di appello nel caso di rigetto del gravame nei suoi profili di merito non può, in mancanza di uno specifico motivo di impugnazione, modificare la statuizione sulle spese processuali di primo grado (tra le tante, sentenze 17/10/2003 n. 15559; 2/7/2003 n. 10405; 10/5/2003 n. 7168).
Con l’unico motivo del ricorso incidentale F. ed A. G. prospettano più censure deducendo:
a) che la corte di appello, con motivazione errata ed insufficiente, ha disatteso la sollevata eccezione preliminare di nullità della citazione in appello per mancanza sia dell’invito agli appellati di costituirsi nel termine di 20 giorni prima dell’udienza indicata, sia dell’avvertimento in ordine alla decadenza di cui all’articolo 167 c.p.c.: in particolare, secondo i ricorrenti incidentali, la corte di merito non ha considerato che la costituzione di essi G. nel giudizio di secondo grado aveva sanato rirregolarità dell’atto di appello con effetto solo ex nunc e non ha quindi inciso sulle decadenze già verificatesi prima della costituzione;
b) che i giudici di merito hanno ritenuto assorbita, con la declaratoria di inapplicabilità della norma di cui all’articolo 2932 c.c. invocata dal ricorrente, la questione sollevata da essi G. circa l’insussistenza o nullità dell’asserito contratto preliminare di compravendita per mancanza dell’oggetto, ossia di un elemento essenziale del contratto;
c) che la corte di appello, anche se implicitamente, ha ritenuto assorbita la richiesta di esso G. A. di voler esercitare la prelazione di cui all’articolo 732 c.c.;
d) che non è convincente, in base alla documentazione in atti e alle risultanze del giudizio, la motivazione posta a base della compensazione delle spese del giudizio di appello.
Le dette censure sono o inammissibili o infondate.
La prima censura di cui al punto sub a) – che peraltro riveste carattere pregiudiziale – è palesemente infondata atteso che la nuova formulazione dell’articolo 163 n. 7 c.p.c. posto a base di detta censura (così come le nuove norme relative al contenuto dell’atto di citazione ed alla sua nullità nonchè alla sua sanatoria introdotte dalla legge 26/11/1990 n. 353) non è applicabile al caso di specie ratione temporis in quanto la controversia in esame era già pendente alla data del 30/4/1995.
In tali sensi, a norma dell’articolo 384 c.p.c. e senza la necessità di alcuna indagine di fatto, sul punto in questione va corretta la motivazione della sentenza impugnata il cui dispositivo è conforme a legge.
La seconda e la terza censura – di cui ai punti sub b) e c) – sono invece inammissibili riguardando questioni che, come dedotto dagli stessi ricorrenti incidentali, la corte di appello non ha esaminato in quanto ritenute (implicitamente o esplicitamente) assorbite.
Va pertanto richiamato il consolidato indirizzo giurisprudenziale di questa Corte secondo cui è inammissibile il ricorso incidentale, anche se condizionato, con il quale la parte vittoriosa in sede di merito riproponga – come appunto nella specie – questioni che il giudice di appello non abbia deciso avendole ritenute assorbite dalla statuizione adottata, in quanto in tale ipotesi difetta il presupposto del diritto all’impugnazione, cioè la soccombenza, sia pure teorica. La parte vittoriosa non deve riproporre le dette questioni neanche con il controricorso – non essendo applicabile nel giudizio di Cassazione la norma dell’articolo 346 c.p.c. – ma, ove venga cassata la sentenza impugnata, potrà far valere nuovamente le stesse, rimaste impregiudicate, davanti al giudice di rinvio (in tali sensi: sentenze 22/8/2003 n. 12344; 29/9/2003 n. 12680; 8/10/2002 n. 14382; 16/7/2001 n. 9637; 12/4/2001 n. 5503).
La quarta ed ultima censura. di cui al punto sub d), è priva di pregio in quanto, come è principio pacifico, il sindacato di questa Corte in tema di regolamento delle spese giudiziali è limitato all’ipotesi – non ricorrente nel caso in esame – nella quale le spese del processo siano state poste a carico della parte totalmente vittoriosa.
Nella specie la corte distrettuale ha ravvisato giusti motivi per la compensazione delle spese del giudizio di secondo grado in considerazione sia della circostanza pacifica del versamento di una somma ingente da parte del B. in favore dell’appellato F. G., sia della genericità della tesi difensiva di quest’ultimo circa l’asserita esistenza di un titolo locativo a giustificazione di detto versamento. Si tratta di una motivazione che non appare nè illogica nè errata e che ineccepibilmente si riferisce al giudizio circa la genericità di uno degli argomenti difensivi sviluppati dalla parte risultata vittoriosa e relativo ad un punto importante della controversia.
La corte di appello ha pertanto correttamente esercitato il potere discrezionale riconosciuto al giudice del merito di valutare l’opportunità di compensare per intero le spese processuali pur in mancanza della soccombenza reciproca.
In definitiva devono essere rigettati sia il ricorso principale che quello incidentale.
Per la sussistenza di giusti motivi le spese del giudizio di legittimità vanno compensate per intero tra le parti.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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