Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 25-10-2011) 11-11-2011, n. 41380

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ordinanza in data 29/6/2011 il Tribunale del riesame di Catania, adito dall’indagato P.M. in sede di appello, confermava l’ordinanza in data 19/5/2011, emessa dallo stesso Tribunale in composizione monocratica, reiettiva dell’istanza, da lui proposta, intesa ad ottenere la revoca della misura cautelare della custodia in carcere in ordine ai reati di cui agli artt. 572 e 582 c.p., commessi in danni della convivente R.S..

Il predetto nel procedimento penale apertosi nei suoi confronti per i reati summenzionati davanti al detto Tribunale in composizione monocratica e conclusosi con la condanna alla pena di anni uno e mesi due di reclusione, era sottoposto al regime degli arresti domiciliari, successivamente sostituito con il regime della custodia inframuraria a seguito della condotta violenta ed aggressiva da lui posta in essere nei confronti della R., violando anche la misura cautelare, cui era sottoposto, come da denunzia da costei presentata in data 16/5/2011.

In motivazione il giudice del gravame riteneva la concreta inidoneità della misura meno affittiva, valorizzando la denuncia della parte offesa, riscontrata dal referto medico e da quanto constatato dagli operanti, il cui intervento era stato sollecitato dalla donna immediatamente dopo la violenza subita.

Contro tale decisione ricorre l’imputato a mezzo del suo difensori, che nell’unico motivo a sostegno della richiesta di annullamento denuncia la violazione dell’art. 276 c.p.p., comma 1 ter e censura l’errore dei giudici del merito, i quali nel disporre l’aggravamento della misura, non avevano operato una valutazione seria dei motivi e delle circostanze di fatto denunciate dalla convivente, superando la presunzione di inadeguatezza della misura imposta, senza verificare l’esistenza dell’evasione, e dando per scontate le dichiarazioni accusatorie della donna, smentite invece dalla prova documentale prodotta, dalla quale emergeva che la donna aveva già rimesso la querela in ordine al reato di lesioni, onde veniva a mancare il movente della presunta visita, che la R. aveva indicato nel proposito dell’uomo di costringerla a rimettere la querela.

Il ricorso è inammissibile.

Le censure proposte esorbitano dal catalogo dei casi di ricorso, disciplinati dall’art. 606 c.p.p., comma 1, profilandosi come doglianza non consentite ai sensi del comma 3 cit. art., volte, come esse appaiono, ad introdurre come "thema decidendum" una rivisitazione del "meritum causae", preclusa, come tale in sede di scrutinio di legittimità.

Ed invero nel caso in esame correttamente è stata applicata la norma di cui all’art. 276 c.p.p., comma 1 ter, che impone in caso di trasgressione alle prescrizioni degli arresti domiciliari la revoca della misura e la sua sostituzione con la custodia cautelare in carcere.

La trasgressione, che il ricorrente ha fortemente contestato, trova invece adeguata motivazione nel provvedimento impugnato, laddove si valorizza con argomenti, immuni da vizi logici o giuridici, e quindi incensurabili in questa sede, non solo la denuncia della persona offesa, resa nell’immediatezza del fatto ai verbalizzanti, intervenuti a sua richiesta, ma i riscontri provenienti dal certificato sanitario acquisito e da quanto contestato direttamente dai verbalizzanti, che rinvennero la porta d’ingresso dell’abitazione palesemente forzata e all’interno di essa alcune sedie suppellettili varie, rovesciate a terra. Nè la circostanza che l’indagato fosse stato poi trovato pacificamente nella sua abitazione ovvero la condotta assunta dalla persona offesa in sede dibattimentale poteva indurre il Tribunale a diverso avviso, essendo evidente che nelle more dell’intervento e della constatazione dell’evento l’indagato ha avuto tutto il tempo di ritornare a casa e mettersi a letto e che la condotta osservata nel corso del dibattimento costutuisce chiaro indice del perdurante stato di soggezione vissuto dalla donna.

Segue alla declaratoria di inammissibilità la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento in favore della Cassa delle ammende della somma, ritenuta di giustizia ex art. 616 c.p.p., di Euro mille.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille in favore della Cassa delle ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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