Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 25-10-2011) 11-11-2011, n. 41378

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con ordinanza del 19 agosto 2011 il Tribunale di Messina confermava il provvedimento che aveva applicato la misura cautelare degli arresti domiciliari a V.L., indagata per i reati di millantato credito e di truffa aggravata ( art. 346 c.p., comma 1, e art. 640 c.p., comma 2, n. 2).

Contro l’ordinanza ricorre l’indagata che denuncia la violazione dell’art. 333 c.p.p., comma 3, assumendo che i risultati delle indagini sarebbero inutilizzabili perchè iniziate sulla base di fonte confidenziale anonima.

2. Il ricorso è manifestamente infondato.

E’ incontrovertibile che la denuncia anonima o proveniente da fonte confidenziale, essendo per espressa disposizione di legge ( art. 240 c.p.p.) vietato il suo uso processuale, non può valere come notitia criminis. Ciò non toglie, però, che la polizia giudiziaria, prendendo spunto dall’informazione anonima ricevuta, possa esercitare i poteri di iniziativa conferibile dall’art. 55 c.p.p., e, attraverso un’attività investigativa pre-procedimentale, apprendere la notizia di un reato che, non derivando dall’informazione anonima, ma traendo la sua legittimazione dagli atti di indagine autonomamente compiuti, è sicuramente valida e utilizzabile (Cass., Sez. 4, 22.12.1995, Figliolino, rv 204176).

Nella presente fattispecie, la polizia giudiziaria, ricevuta l’informazione confidenziale, ha assunto le sommarie informazioni di numerose persone e ha acquisito documenti vari, dai quali ha ricavato gli elementi per costruire la notizia di reato poi trasmessa all’autorità giudiziaria. La notizia confidenziale ha dunque offerto solo lo spunto per l’inizio delle indagini, mentre le sommarie informazioni e i documenti successivamente acquisiti, essendo dotati di autonoma capacità probatoria, sono stati legittimamente utilizzati come fonte dei gravi indizi posti a base del provvedimento cautelare.

Il ricorso deve dunque essere dichiarato inammissibile; segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma, ritenuta congrua, di euro mille alla cassa delle ammende.

P.Q.M.

La Corte di cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro mille alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *