Cass. civ. Sez. II, Sent., 17-05-2012, n. 7764 Onorari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

L’avv. S.C. propone ricorso per cassazione contro L.A., che non svolge difese in questa sede, avverso l’ordinanza del Tribunale di Bari n. 102/07 del 23.3.- 13.4.2007 (nel procedimento n. 1556/06 v.g. di liquidazione delle competenze di avvocato ex 29 1. 794/92) di accoglimento parziale del ricorso della istante con riconoscimento di Euro 13.873,60,di cui 581,90 per spese, Euro 3.191,70 per diritti ed Euro 10.100.000 per onorari, oltre accessori.

La vicenda era relativa alla attività difensiva svolta in favore della L. in occasione della decisione di porre termine nel 1997 alla convivenza con l’ing. C.M., dalla quale erano nate due figlie, e riguardava anche un giudizio instaurato a seguito della opposizione del C. avverso decreto presidenziale di assegnazione alla L. della casa familiare e di lire 5.000.000 mensili per il mantenimento delle figlie, conclusosi con sentenza n. 943/2003, di conferma del detto decreto e compensazione delle spese.

La richiesta di Euro 25.000.000 per compensi era stata denegata.

L’ordinanza, rispetto ad un valore della controversia indicato in Euro 387.342,679 e poi in Euro 421.000,000, riteneva applicabile l’art. 10 c.p.c., ed il valore indeterminabile e rilevante.

Col presente ricorso si denunziano, con relativi quesiti, 1) violazione del D.M. n. 585 del 1994, art. 6, dell’art. 12 preleggi, artt. 9, 10, 12, 13 e 15 c.p.c., per avere avuto il procedimento ad oggetto la richiesta di assegno di mantenimento per le figlie in lire 30.000.000 mensili, della casa familiare, di altro assegno sostitutivo od integrativo, del versamento una tantum della somma di lire 50.000.000 per acquisto di mobili ed arredi, circostanze pacifiche e non contestate. 2) violazione dell’art. 10 c.p.c., comma 2, artt. 13, 14 e 104 c.p.c., D.M. n. 585 del 1994, artt. 4, 5 e 6, e L. n. 794 del 1992, art. 29, per avere erroneamente il Tribunale qualificato indeterminabile la domanda di assegnazione della casa e proceduto al cumulo con quella dell’assegno. Anche la liquidazione dei diritti è inferiore a quella dovuta, comunque, non inferiore ad Euro 3.408,68. 3) violazione del D.M. n. 127 del 2004, artt. 4, 5 e 6, art. 91 c.p.c., L. n. 794 del 1992, artt. 24 e 29, L. n. 1051 del 1957, articolo unico, anche in ordine alle spese liquidate. 4) omessa motivazione sempre in ordine alla liquidazione delle spese.

Il ricorso, così come proposto, esige l’esame degli atti di merito, indagine preclusa al giudice di legittimità.

Questa Corte ha ripetutamente evidenziato come la parcella corredata dal parere espresso dal Consiglio dell’Ordine abbia, per il combinato disposto dell’art. 633 c.p.c., comma 1, n. 2, e art. 636 c.p.c., comma 1, valore di prova privilegiata, al pari di quanto previsto dal combinato disposto dell’art. 633 c.p.c., comma 1, n. 1, e artt. 634 o 535 c.p.c., per i documenti in questi ultimi considerati, e carattere vincolante per il giudice esclusivamente ai fini della pronunzia dell’ingiunzione, e come tali valore e carattere non abbia, per contro, costituendo semplice dichiarazione unilaterale del professionista, anche nel successivo giudizio in contraddittorio, introdotto dall’ingiunto con l’opposizione ex art. 645 c.p.c.; nel quale, attesane la natura d’ordinario giudizio di cognizione, il creditore in favore del quale l’ingiunzione è stata emessa assume la veste sostanziale d’attore e su di lui incombono i relativi oneri probatori ex art. 2697 c.c., ove vi sia stata contestazione da parte dell’opponente, in ordine così all’effettività delle prestazioni eseguite come all’applicazione della tariffa pertinente ed alla rispondenza ad essa delle somme richieste, circostanze la cui valutazione è, poi, rimessa al libero apprezzamento del giudice (Cass. 29.1.99 n. 807, 12.2.98 n. 1505, 7.5.97 n. 3972, 19.2.97 n. 1513, 30.10.96 n. 9514, 21.2.95 n. 1889, 26.1.95 95 n. 942, ma già, e pluribus, 21.3.83 n. 1977, 23.10.79 n. 5528, 28.11.78 n. 5610, 17.11.77 n. 5032, 12.7.75 n. 3498).

Nè la prevalente giurisprudenza di legittimità richiede che la contestazione mossa dall’opponente in ordine alla pretesa fatta valere dall’opposto sulla base della parcella corredata dal parere del Consiglio dell’Ordine abbia carattere specifico, per il determinarsi del suddetto onere probatorio a carico del professionista essendo sufficiente una contestazione anche di carattere generico, giacchè nel giudizio d’opposizione de quo non è applicabile, nei confronti dell’opponente-convenuto, il principio – desumibile dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, e valido, giusta lo specifico ambito d’operatività della norma, ai fini del solo ricorso per cassazione – per cui la censura intesa a prospettare la violazione delle tariffe professionali nella liquidazione delle spese di giudizio è ammissibile solo se articolata in una dettagliata disamina delle voci che s’intendono violate; onde ogni contestazione, anche generica, sollevata dall’opponente-convenuto in ordine all’espletamento dell’attività ed all’ortodossia dell’applicazione delle tariffe è idonea e sufficiente ad investire il giudice del potere-dovere di dar corso alla verifica della fondatezza della contestazione e, correlativamente, a far sorgere per il professionista l’onere probatorio in ordine tanto all’attività svolta quanto alla corretta applicazione della pertinente tariffa (Cass. 26.1.95 n. 942, 16.8.93 n. 8724, 14.12.92 n. 13181, ma già 20.5.77 n. 2101).

Non può essere condivisa la minoritaria e datata giurisprudenza (Cass. 4409/79 e 3019/73, pur ripresa dall’isolata Cass. 242/97,), per la quale la parcella del difensore sarebbe assimilabile ad un rendiconto in relazione al quale le contestazioni del destinatario non possono essere generiche ma devono riguardare le singole voci esposte; detta opinione non sembra, infatti, considerare che, in tal guisa argomentando e non potendosi tradurre la contestazione analitica in un semplice formalismo privo d’effetti giuridici, verrebbe, di fatto, invertito il principio dell’onere della prova, dovendosi poi richiedere dal convenuto-opponente autore di siffatta contestazione la dimostrazione del relativo fondamento, id est dell’insussistenza delle prestazioni dedotte dal professionista in parcella e della non corretta applicazione delle tariffe (prova negativa), così esonerandosi il professionista stesso dal fornire la dovuta dimostrazione dell’attività svolta e della legittimità della pretesa economica ad essa relativa (prova positiva); nè senza considerare che, come è stato altre volte ritenuto (Cass. 30.1.97 n. 932, 20.1.82 n. 384, 21.10.78 n. 4775), il parere del Consiglio dell’Ordine costituisce un mero controllo sulla rispondenza delle voci indicate in parcella a quelle previste dalla tariffa e non può estendersi nè all’accertamento del valore della causa, onde svolgere tale controllo anche sulla corretta applicazione della tariffa pertinente, nè, tanto meno, all’effettività delle prestazioni parcellate, ragion per cui non ha valore di certificazione amministrativa e non da luogo, pertanto, ad alcuna presunzione di verità che esoneri il professionista dall’onere della prova ed imponga al cliente quello della contestazione specifica. Nella fattispecie, non si tratta di decreto di ingiunzione a seguito di parcella vistata dall’ordine ma di procedura speciale, per la quale la ricorrente contesta il valore indeterminato rilevante stabilito dal Giudice.

Ciò premesso, in relazione al primo motivo va rilevato che il valore della causa, come indicato in domanda, riguarda l’ipotesi dell’integrale accoglimento di essa e di condanna del soccombente alle spese.

Nel caso in esame, l’ordinanza fa riferimento ad un ricorso ex artt. 147, 148, 261, 155 e 700 c.p.c., con richieste solo in parte accolte e ad un giudizio di opposizione nel quale la ricorrente ha assistito l’opposta, conclusosi col rigetto della opposizione e la compensazione delle spese.

Il valore della controversia va dimostrato in concreto, determinandosi in astratto un conflitto di interessi per una azione incoata per un dichiarato alto valore, ma infondata o non accolta anche in parte.

Al riguardo va sottolineato che già il D.M. 24 novembre 1990, n. 392, art. 6, attenuando la rigidità del criterio adottato dall’art. 10 c.p.c., comma 1, ha stabilito, nell’ipotesi dell’accoglimento parziale, nella liquidazione degli onorari a carico del soccombente, nel giudizi per pagamento somme, il riferimento alla somma attribuita alla parte vincitrice, piuttosto che quella domandata – Cass. 1.3.1995 n. 2338.

In caso di rigetto della domanda, il valore della controversia (art. 5, comma 1, stesso D.M.) è determinato dalla somma richiesta, salvo il potere di compensazione (Cass. 4.3.1998 n. 2407), ipotesi riferita alla liquidazione a favore del convenuto vittorioso.

Donde il rigetto del primo motivo.

Va accolto, invece, il secondo.

La generica motivazione adottata non consente di verificare il criterio concretamente adottato nella determinazione del valore di riferimento donde la corretta censura secondo la quale l’importo dello scaglione presuntivamente utilizzato dal tribunale non copre neanche il valore di una sola delle domande da sommare ai fini del cumulo.

Restano assorbiti gli altri motivi, in relazione al nuove esame demandato al Giudice di merito.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo motivo, accoglie il secondo, dichiara assorbiti il terzo ed il quarto, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, al Tribunale di Bari.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *