Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 24-10-2011) 11-11-2011, n. 41155

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – Con ordinanza del 10 dicembre 2010 il Tribunale di Siracusa – sezione distaccata di Augusta, deliberando in funzione di giudice dell’esecuzione ha respinto l’istanza avanzata nell’interesse di P.R. con la quale si richiedeva la restituzione nel termine per impugnare la sentenza di applicazione pena su richiesta delle parti emessa da quel giudice il 2 agosto 2010, con conseguente declaratoria di non esecutività della stessa.

Ma ritenuto infatti il giudice dell’esecuzione, che la circostanza addotta a sostegno dell’istanza – l’essere il P. agli arresti domiciliari durante il periodo di decorrenza del termine e per ciò nell’impossibilità materiale di proporre impugnazione in quanto nessun ufficiale della forza di polizia preposto al suo controllo si era reso disponibile a raccogliere l’atto di gravame nonostante le ripetute sollecitazioni avanzate anche a mezzo fax – non integrava una ipotesi di forza maggiore, non costituendo lo stato di detenzione un ostacolo insormontabile, evidenziando altresì al riguardo, in fatto, che non era stata fornita alcuna prova di un effettivo e tempestivo sollecito alle forze di polizia incaricate del controllo del condannato affinchè raccogliessero l’atto di impugnazione, posto che l’unico sollecito effettivamente inviato via fax ai Carabinieri, risultava diretto ad un numero di telefono non pertinente, laddove l’esposto proposto dal difensore sia al Procuratore della Repubblica sia al Procuratore Generale di Catania, risultava presentato solo il 25 settembre 2010, nell’imminenza della scadenza del termine, che cadeva il 1 ottobre 2010. 2. – Contro questa pronuncia il P. ha proposto personalmente ricorso per cassazione, deducendone l’illegittimità per inosservanza della legge processuale e per vizio della motivazione.

In particolare il ricorrente sostiene che la istanza di restituzione è stata rigettata in base ad argomentazioni del tutto illogiche posto che la sua volontà di impugnazione emergeva in modo esplicito dalla presentazione dell’esposto del suo difensore, e che trovandosi egli agli arresti domiciliari, la presentazione dell’atto di gravame nella forma di cui all’art. 123 cod. proc. pen. era l’unica modalità per impugnare consentitagli e resa impossibile dall’indisponibilità di un ufficiale di polizia giudiziaria che ricevesse l’atto.

Motivi della decisione

1. L’impugnazione proposta dal P. è basata su motivi manifestamente Infondati e va pertanto dichiarata inammissibile.

1.1 Tutte le argomentazioni prospettate In ricorso, ripropongono Infatti deduzioni in fatto già adeguatamente esaminate dal giudice dell’esecuzione e dallo stesso disattese con motivazioni adeguate ed immuni da vizi logici o giuridici. Al riguardo va anzitutto rilevato che la giurisprudenza di questa Corte è univoca nell’affermare che la detenzione dell’imputato non possa configurare un’ipotesi di caso fortuito o forza maggiore (in tal senso ex multis, Sez. 4, Sentenza n. 45364 del 18/09/2003, dep. 25/11/2003, Rv. 226836, imp. Conte).

Nè può assumere decisiva rilevanza nel caso in esame, la circostanza in fatto che l’imputato, per il tramite del suo difensore, abbia effettivamente manifestato, nell’imminenza della scadenza del termine, una volontà d’impugnazione della sentenza emessa nei suoi confronti ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., ove si consideri che ciò è avvenuto con modalità quanto meno singolari e improprie – attraverso cioè un esposto al Procura generale della Repubblica sull’operato di appartenenti all’arma dei Carabinieri, risultando dirimente, al riguardo, il rilievo che, a prescindere dall’assenza di adeguata prova circa una richiesta avanzata ai militari preposti al suo controllo affinchè costoro si ricevessero l’atto d’impugnazione asseritamente già predisposto, ben avrebbe potuto il condannato proporre ricorso ai sensi dell’art. 583 cod. proc. pen., con telegramma ovvero con atto da trasmettersi a mezzo di raccomandata, previa autenticazione della sottoscrizione da parte del suo difensore.

2. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e – non ricorrendo ipotesi di esonero in mancanza di elementi indicativi dell’assenza di colpa (Corte Cost., sent. n. 186 del 2000) – al versamento alla cassa delle ammende di una somma congruamente determinabile in Euro 1000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 1000,00 alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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