T.A.R. Lombardia Brescia Sez. II, Sent., 15-12-2011, n. 1743

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

In accoglimento della domanda volta ad ottenere il riconoscimento del diritto al risarcimento del danno e la condanna dell’Amministrazione alla corresponsione dello stesso, con sentenza n. 2300/10 questo Tribunale ha previsto che l’Amministrazione dovesse, previamente, esprimersi in ordine alla permanenza dell’interesse pubblico alla conservazione delle opere realizzate e, quindi, calcolare il risarcimento del danno dovuto in base ai parametri assegnati.

Accertata l’inerzia dell’amministrazione, considerata la sopravvenuta dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 43 del DPR 327/01 e preso atto del fatto che la ricorrente non ha chiesto la restituzione dei fondi, questo Tribunale, in sede di ottemperanza, individuava l’iter che avrebbe dovuto essere seguito dal Comune per la definizione della controversia. In particolare, con sentenza n. 173/11, si demandava all’Amministrazione di verificare la sussistenza dell’interesse pubblico all’acquisto della proprietà delle aree occupate, ovvero se vi fossero, al contrario, aree non destinate ad uso pubblico da considerarsi nella disponibilità dell’originario proprietario. Conseguentemente, il risarcimento avrebbe dovuto essere determinato applicando i criteri di stima a tal fine individuati alle aree da acquisire al patrimonio comunale.

In esecuzioni di tali obblighi, il Comune di Treviglio ha adottato la censurata deliberazione, nella quale sono state individuate come aree destinate a permanere in mano pubblica solo quelle che sono state destinate alla realizzazione delle piazzola ecologica (mq 180,65 del mappale 10722 e mq 2669,35 del mappale 3812 (erroneamente indicato come 10009). Le superfici utilizzate per la realizzazione della viabilità a servizio dell’area industriale sono state, invece, ritenute suscettibili della permanenza in proprietà dei privati, trattandosi di strade specificamente preordinate a consentire l’accesso agli stabilimenti degli stessi lottizzanti. Lo stesso Comune ha, quindi, ritenuto di potersi sostituire ai privati nel ravvisare l’interesse al mantenimento dello status quo, anziché ottenere il ripristino dello stato preesistente, proprio in ragione della specifica destinazione della strada, così escludendo di dover sostenere alcuna spesa per la rimessione in pristino stato.

La V.B. s.p.a. ha dedotto l’illegittimità di tali conclusioni del Comune, in primo luogo in ragione del fatto che mancherebbero i presupposti per la restituzione dei terreni alla medesima, essendovi stata l’irreversibile trasformazione dei fondi e non avendo, la proprietà, mai manifestato la volontà di vedersi restituiti i terreni.

Inoltre il Comune non avrebbe correttamente applicato i parametri fissati per la determinazione del risarcimento del danno.

Considerato che l’Amministrazione ha assegnato alla proprietà il termine di 20 giorni per l’accettazione del risarcimento del danno offerto, la V.B. s.p.a. ha formulato specifica domanda cautelare finalizzata a sospendere gli effetti dell’atto impugnato, nonché istanza istruttoria preordinata alla nomina di un consulente tecnico d’ufficio per la quantificazione della somma dovuta.

L’istanza è stata accolta, ordinando all’Amministrazione il riesame della propria posizione alla luce delle specificazioni dei criteri applicabili di cui alla stessa ordinanza 591/2011.

L’Amministrazione non si è rideterminata e parte ricorrente ha ribadito le proprie pretese, estrappolandone il sunto dalla perizia tecnica già allegata al ricorso.

Il Comune, invece, ha ribadito la propria convinzione circa l’insussistenza delle condizioni per l’acquisizione, sostenendo che le opere in questione non avrebbero la qualità di opere pubbliche.

Ha replicato la società ricorrente, insistendo sulla destinazione delle strade realizzate sui terreni di proprietà della stessa al collegamento tra un intero quartiere cittadino e il restante territorio della città e sull’impossibilità di dismettere le opere di urbanizzazione realizzate nell’ambito dell’attuazione di un piano di lottizzazione.

Anche il Comune ha replicato, sottolineando come il Tribunale stesso avesse riconosciuto al Comune la facoltà di valutare l’interesse alla conservazione dei manufatti oggetto di controversia.

Alla pubblica udienza del 30 novembre 2011 la causa, su conforme richiesta dei procuratori delle parti, è stata trattenuta in decisione.

Motivi della decisione

Il ricorso in esame impone la risoluzione di due questioni fondamentali: in primo luogo è necessario stabilire se ed in quale misura la deliberazione impugnata sia legittima laddove esclude che una parte dei terreni di cui parte ricorrente lamenta l’occupazione debbono essere acquisiti al patrimonio indisponibile o al demanio pubblico e solo successivamente ci si dovrà interrogare sull’equo risarcimento del danno spettante a parte ricorrente e, quindi, sulla correttezza della somma quantificata dal Comune nel medesimo provvedimento.

In ordine al primo punto appare opportuno, preliminarmente, sgombrare il campo da un equivoco ingenerato da parte resistente laddove, nella propria memoria depositata il 28 ottobre 2011, la difesa del Comune sostiene (ultimo capoverso della pagina 4) "nessun pagamento di oneri è quindi stato preteso dal Comune, diversamente da quanto si legge nell’ordinanza n. 581/11". Tale affermazione è smentita in atti.

La stessa deliberazione 13822/2011 oggetto di impugnazione dà atto non solo del fatto che parte dei mappali di proprietà della ricorrente sono stati occupati per la realizzazione della viabilità a servizio degli insediamenti produttivi che vi si affacciano, ma anche della circostanza per cui esse erano "ricomprese nella lottizzazione denominata "Buoncammino"". Proprio per la realizzazione di dette opere – di urbanizzazione primaria e secondaria, necessarie per il rispetto degli standards urbanistici di zona – il Comune stesso ha preteso, data l’inadempienza dei lottizzanti che avrebbero dovuto realizzarle e poi trasferirle al Comune, il pagamento degli oneri di urbanizzazione. All’ingiunzione di pagamento si è opposta la V.B. s.r.l., notificando il ricorso definito con sentenza di questo Tribunale n. 801/2008. Avverso la pronuncia, che ha riconosciuto la legittimità della pretesa comunale, pende ricorso in appello avanti al Consiglio di Stato.

Ciò, oltre a smentire quanto affermato dal Comune, in concreto ha rilevanza in quanto dimostra che le opere realizzate dalla dante causa della V. (la società "Buoncammino"), ancorchè parziali e non idonee a soddisfare pienamente l’interesse pubblico (tanto da indurre l’Amministrazione, nell’anno 2000 a progettarne la ristrutturazione, il completamento e l’integrazione, recuperando a tal fine gli oneri di concessione corrispondenti alla parte di opere non realizzate) sono sempre state qualificate come opere pubbliche.

Così come è indiscutibile la natura pubblica delle opere di ristrutturazione, urbanizzazione e formazione nuovi parcheggi di cui al progetto approvato dalla Giunta comunale con deliberazione n. 38 del 16 febbraio 2000, che ne ha anche dichiarato la pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza, la quale ha condotto all’occupazione d’urgenza di cui alla deliberazione della Giunta comunale n. 87 del 15 marzo 2000. Lo stesso dicasi, infine, per la piattaforma ecologica di via S. Eutropio, dichiarata di pubblica utilità con deliberazione n. 252 del 14 giugno 2000.

Dal confronto tra la planimetria allegata alla suddetta deliberazione 13822/2011 e la planimetria 4 allegata alla convenzione stipulata dalla "Buoncammino" nel 1980 (da ultimo depositata dal Comune), appare piuttosto chiaramente come le aree interessate siano sostanzialmente coincidenti.

Sempre la deliberazione n. 13822/2011, infine, dà atto del fatto che, pur non essendo stati conclusi i procedimenti espropriativi avviati per l’acquisizione delle aree interessate dalla realizzazione delle opere e mai trasferite al Comune, ancorchè l’obbligo in tal senso derivasse dalla convenzione di lottizzazione, "le aree occupate sono state effettivamente utilizzate per la realizzazione delle opere progettate".

Ciononostante il Consiglio comunale ha ritenuto – dopo che questo Tribunale, riconosciuta l’illegittima occupazione dei terreni, ha, con sentenza 2300/2010, rimesso al Comune di Treviglio di pronunciarsi in ordina alla sussistenza dell’interesse pubblico a mantenere la disponibilità dei beni occupati – che non sussistessero i presupposti per l’acquisizione di tutte le aree interessate dalla realizzazione delle suddette opere, con la sola esclusione dei mappali 10722 e 3812 su cui insiste la piattaforma ecologica.

A tale conclusione il Comune è giunto sulla scorta della considerazione che la viabilità insistente su parte del mappale 10722, del mappale 8679 e 8680 (oltre che sul mappale 8861 appartenente ad altro soggetto) sarebbe "da ritenersi a servizio pressoché esclusivo degli insediamenti produttivi che affacciano sulle strade realizzate e che, sotto il profilo urbanistico, esse sono ricomprese nella lottizzazione denominata "Buoncammino", di cui alla convenzione citata in premessa e che, di conseguenza, la viabilità così come i relativi sottoservizi, sono strettamente funzionali all’esercizio delle attività produttive ivi insediate, di proprietà privata".

Nessun riferimento risulta effettuato, né alcuna motivazione riportata da cui sia possibile desumere l’iter logico compiuto dall’Amministrazione e che l’ha indotta a ritenere di natura privata e, quindi, non di pubblico interesse, opere che, in prima battuta sono state indicate come opere di urbanizzazione primaria e secondaria all’interno della convenzione che ne prevedeva la cessione al Comune e che, successivamente, sono state espressamente dichiarate di pubblica utilità in sede di approvazione dei progetti per la loro realizzazione.

Né appare sufficiente a colmare tale lacuna motivazionale e ad escludere il carattere ondivago della condotta del Comune la mera circostanza evidenziata, e cioè che viabilità e sottoservizi siano strumentali all’esercizio delle attività produttive insediate nell’area lottizzata. Risulta intuitivo come tale giudizio ben si attaglierebbe a qualsiasi opera di urbanizzazione, in specie se collegata ad aree soggette a lottizzazione: le strade, con esclusione di quelle principali che costituiscono assi di collegamento, ad alto scorrimento, sono sempre destinate a servizio dei residenti nella zona o degli esercizi commerciali o produttivi ivi insediati. Cionondimeno non ne può essere esclusa la natura pubblica. Le planimetrie prodotte, peraltro, ben evidenziano come la viabilità in questione non sia rappresentata dal reticolo di viabilità secondaria destinato a garantire l’accesso alle singole realtà insediate nell’area, ma, al contrario, rappresenti proprio la viabilità principale che garantisce, oltre che l’accesso all’area produttiva nel suo complesso, anche, almeno in parte, alla stessa piattaforma ecologica. Si tratta, quindi, di opere pubbliche la cui realizzazione è imposta dalla necessità del rispetto degli standards urbanistici imposti dalla specifica normativa in materia edilizia ed urbanistica.

Ciò appare sufficiente ad escludere la legittimità del provvedimento impugnato, per carenza della motivazione dello stesso, atteso che la semplice considerazione della destinazione delle strade al servizio degli insediamenti esistenti non costituisce la rappresentazione di un interesse pubblico alla restituzione delle aree, prevalente su quello ad ottenere il risarcimento del danno fatto valere dalla ricorrente.

Peraltro non appare trascurabile il profilo dell’eventuale danno erariale che potrebbe configurarsi se quanto affermato dal Comune corrispondesse al vero. Ciò significherebbe, infatti, che il Comune avrebbe sostenuto oneri per la progettazione, occupazione e realizzazione di opere di natura privata con conseguente, evidente, danno per l’erario, ulteriormente aggravato dagli obblighi risarcitori che saranno definiti nel prosieguo.

Un’ultima precisazione si rende necessaria, al fine di definire il contenzioso in esame, con riferimento al contenuto della sentenza 2300/2010. Con tale pronuncia – in ossequio al dettato dell’art. 43 allora vigente, il cui contenuto è stato sostanzialmente reintrodotto nell’ordinamento mediante l’entrata in vigore dell’art. 42 bis del DPR 327/2001 – il giudice amministrativo ha inteso rimettere al Comune, in primo luogo l’accertamento dell’effettiva utilizzazione del terreno a suo tempo occupato per la realizzazione delle opere progettate. Riscontrata positivamente tale circostanza (e cioè la costruzione delle opere e la permanenza attuale della loro destinazione originaria), il Comune avrebbe dovuto procedere ad una valutazione circa l’eventuale sopravvenienza di ragioni di interesse pubblico che imponessero la dismissione delle opere pubbliche realizzate, con conseguente restituzione del terreno al proprietario, previo ripristino della situazione preesistente all’occupazione a spese dell’ente che l’ha posta in essere.

Nel caso di specie il Comune è andato ben oltre, mettendo in discussione – ferma restando l’esistenza e l’attuale utilizzazione delle opere in questione – la qualificazione delle stesse come di pubblica utilità e/o interesse, così necessariamente revocando in dubbio, nulla essendo mutato in relazione all’utilizzazione delle aree circostanti oggetto della lottizzazione, la legittimità delle scelte originariamente operate nel considerare le stesse, a tutti gli effetti di pubblica utilità.

Al contrario, l’accertamento dell’avvenuta realizzazione delle opere progettate e della loro attuale destinazione all’uso per il quale le stesse sono state realizzate, avrebbe dovuto condurre il Comune a dare corso al procedimento per l’acquisizione, non residuando alcuno spazio di discrezionalità in capo allo stesso. Discrezionalità che, al contrario, sussisterebbe solo se la situazione di fatto fosse mutata e fosse possibile mettere in discussione l’utilizzazione delle aree come opere pubbliche a servizio dell’area industriale, in prima battuta, e della collettività nel suo complesso considerata.

Accertata l’illegittimità dell’impugnata deliberazione nella parte in cui esclude che debbano essere acquisiti al patrimonio indisponibile del Comune, per carenza del requisito della pubblica utilità, tutte le aree occupate e non destinate alla realizzazione della piattaforma ecologica, si rende necessario entrare nel merito del calcolo operato dal Comune per la determinazione del risarcimento del danno dovuto.

A tale proposito si deve ricordare come la sentenza n. 2300/2010 prevedesse espressamente, quale criterio di riferimento, la qualificazione come edificabili delle superfici dei mappali 10722, 8679 e 8680 in quanto destinate a viabilità a servizio di insediamenti industriali, nonché di quella parte del mappale 10009 avente destinazione "Rispetto stradale", "Viabilità" e "Insediamenti esistenti con possibilità di ridestinazione terziariaresidenziale previo piano di recupero B/12". Le aree ricadenti in altre destinazioni urbanistiche dovevano essere qualificate come inedificabili.

Nel primo caso il risarcimento doveva essere pari al valore di mercato dei terreni edificabili con caratteristiche analoghe e nel secondo doveva essere commisurato al valore agricolo medio in relazione alla coltura in atto, in entrambe i casi assumendo a riferimento l’anno 2003.

Si può prescindere dal ricordare anche il regime degli interessi e del risarcimento per l’occupazione illegittima, in quanto non rimessi in discussione con il presente ricorso.

Accertato che il Comune non ha provveduto ad ottemperare all’ordinanza n. 591/2011, con cui si rimetteva allo stesso il riesame del proprio provvedimento alla luce di quanto nella stessa ordinanza evidenziato, appare opportuno premettere che il Collegio ritiene condivisibile l’individuazione delle aree interessate operata originariamente dal Comune (e coincidente, complessivamente, con 10.123,70 mq), non avendo la ricorrente fornito alcuna prova della proprietà del mappale 8861. Pertanto, ferma restando la qualificazione come edificabili di tutti i mappali, esclusi il 3812 e 3158,99 mq del mappale 10009, il risarcimento del danno spettante per l’acquisizione delle aree in questione deve essere così determinato.

Per le aree non edificabili, il valore di riferimento non può che essere quello correlato alla coltivazione in atto nel 2003. Poiché il mappale 3812 risultava essere destinato a seminativo arborato, il valore di riferimento è quello di Euro 4,07/mq, che moltiplicato per 2.950,81 mq equivale a 12.009,80 euro.

Il mappale 10009, invece, aveva una destinazione a prato ed un corrispondente valore a mq di 2,96 Euro, che moltiplicato per 3.158,99 mq equivale a 9.350,61 euro.

Deve, quindi, essere affrontata la questione, fortemente controversa tra le parti, del valore venale delle aree classificate come edificabili.

A tale proposito il Collegio non ritiene affatto condivisibile la stima di parte ricorrente che, anche dopo i chiarimenti depositati in vista della pubblica udienza, appare sommaria e disancorata da parametri reali.

La stima di parte ricorrente, infatti, nell’indicare il valore a mq di SLP (superficie lorda di pavimento) ha fatto riferimento a valori, peraltro non ufficiali, relativi al 2008 e a terreni ad "uso non residenziale", omettendo di specificare se trattasi di uso commerciale o produttivo, che notoriamente determina valori diversi, senza indicare i parametri utilizzati per risalire al valore nell’anno 2003 e senza dare conto di quei parametri che sono essenziali per stabilire il valore di ciascun metro quadrato di SLP. Ciononostante essa indica come valore al mq per SLP l’importo di 120,00 Euro/mq.

Dato atto di ciò, si rende necessario premettere che il valore di un terreno deve essere calcolato tenendo conto che, in base ai principi generali della scienza estimatoria, il valore di aree produttive soggette a piano attuativo, come nel caso di specie, deve essere abbattuto, rispetto al valore venale di un bene in comune commercio, in ragione della zona e della sua destinazione.

Tenuto nella debita considerazione tale principio estimatorio, si può, quindi, passare ad esaminare l’attendibilità della perizia acquisita dal Comune ai fini risarcitori, che ha indicato un valore al mq del terreno in questione pari a 60 Euro/mq.

Tale valore è stato ricavato – data l’impossibilità di reperire i valori ICI relativi all’anno 2003, in quanto determinati a partire solo dall’anno successivo – ritenendo ragionevole applicare il valore relativo al 2004, pari, per l’appunto, a 60 euro/mq.

Peraltro, come si evince dal Regolamento ICI approvato con deliberazione del Consiglio comunale n. 2 del 29 gennaio 1999 e da ultimo modificato con deliberazione n. 16 del 21 marzo 2007, per le aree industriali, il valore, a decorrere dal 1 gennaio 2007 è stato indicato in 150 Euro/mq, se l’edificazione era soggetta solo a concessione, in 110 Euro/mq in caso di assoggettamento a piano attuativo, ridotto a 70 Euro/mq se le aree risultavano soggette a PIP.

A ben vedere tali valori non si discostano in modo rilevante da quelli indicati da parte ricorrente (120 Euro/mq), con la conseguenza che appare, quindi, ragionevole, tenuto conto della particolarità dei terreni in questione (e cioè l’assoggettamento a PIP) e della retrodatazione al 2003, riconoscere agli stessi il valore di 60 Euro/mq.

Moltiplicando tale importo per 4013,9 mq, il risarcimento dovuto per l’acquisizione delle aree edificabili sarà pari a 240.834 Euro, che, sommati agli importi dovuti per le aree agricole, determina un totale di Euro 262.194,41.

Inoltre, come già affermato nella sentenza 2300/10, a titolo di risarcimento del danno per la mancata disponibilità dei terreni dovrà essere corrisposta una somma pari agli interessi legali calcolati sul valore delle aree come precedentemente fissato (e cioè prendendo come capitale la somma di Euro 262.194,41) per tutto il periodo di illegittima occupazione (e, quindi, a decorrere dal 25 luglio 2003) e sino all’adozione del provvedimento traslativo della proprietà.

Peraltro, trattandosi di debito di valore, sono dovuti anche gli interessi e la rivalutazione monetaria sulle somme come sopra determinate. Pertanto:

– dalla data della scadenza dell’occupazione legittima (25 luglio 2003) al giorno del saldo saranno dovuti interessi (nella misura del tasso legale) e la rivalutazione monetaria sulla somma di Euro 262.194,41;

– dalla scadenza di ogni anno al saldo per l’indennizzo dovuto, in relazione a ciascun anno, a fronte dell’illegittima occupazione (in altre parole, calcolato, in misura pari all’interesse legale per un anno applicato alla cifra di Euro 262.194,41, l’indennizzo per l’illegittima occupazione per il periodo 25 luglio 2003 – 25 luglio 2004, sullo stesso dovrà essere corrisposto l’interesse legale e calcolata la relativa rivalutazione monetaria. Per l’anno successivo e, quindi, il periodo 25- luglio 2004 – 25 luglio 2005, interessi e rivalutazione dovranno essere calcolati sulla somma dell’indennità di occupazione dovuta per entrambi gli anni e così via discorrendo, fino ad arrivare al momento del trasferimento della proprietà.

Appare altresì opportuno precisare, per completezza di trattazione, che con la presente pronuncia nulla può essere detto rispetto all’indennità di occupazione dovuta per il periodo di legittima occupazione, in quanto la sua quantificazione esula dalla competenza di questo Tribunale.

Ciò detto, appare chiaro come questo Tribunale non possa sostituirsi all’ente espropriante nella scelta del mezzo di acquisto della proprietà maggiormente confacente alla situazione (contratto o emissione del decreto ex art. 42 bis del DPR 327/01), da utilizzarsi a fronte della corresponsione del corrispettivo dovuto al proprietario per la perdita della proprietà. Spetterà, quindi, al Comune regolarizzare la situazione proprietaria attraverso la costituzione del titolo idoneo alla volturazione, la quale dovrà essere contestuale o fare immediatamente seguito alla corresponsione del risarcimento del danno dovuto al ricorrente per la perdita della proprietà, pena, anche in questo caso, il configurarsi di un danno erariale ancor più rilevante di quello derivato dalla non tempestiva conclusione del procedimento ablatorio nei termini di legge.

In considerazione di ciò si ritiene opportuno, al fine degli accertamenti di competenza, trasmettere la presente sentenza alla procura generale presso la Corte dei Conti della Lombardia.

Le spese del giudizio seguono l’ordinaria regola della soccombenza e debbono, quindi, essere poste a carico del Comune, anche in considerazione del comportamento palesemente elusivo delle pronunce di questo Tribunale.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei limiti di cui in motivazione.

Condanna il Comune al pagamento del risarcimento del danno nella misura ivi indicata.

Dispone, altresì il pagamento delle spese del giudizio a favore della ricorrente e a carico del Comune, nella misura di Euro 3.500 (tremilacinquecento/00), oltre ad IVA, C.P.A., rimborso forfetario delle spese e rimborso del contributo unificato dalla stessa anticipato ai sensi del comma 6 bis dell’articolo 13 del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.

Dispone, altresì, l’invio della presente sentenza alla Procura regionale presso la Corte dei Conti della Regione Lombardia, ordinandone la trasmissione a cura della Segreteria.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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