T.A.R. Lombardia Brescia Sez. II, Sent., 15-12-2011, n. 1741

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

"Il M. società cooperativa" è un ente con finalità sociali, di promozione umana e integrazione dei cittadini, che svolge il proprio impegno umanitario e civile in diversi settori della comunità, mediante attività commerciali produttive, di trasformazione e di servizi e la cura di iniziative di divulgazione ed informazione sul problema dello sviluppo dei paesi del sud del mondo nei settori di attività economica, oltre ad una pluralità di atre attività strumentali alla specifica finalità della ricorrente che è la solidarietà sociale.

Tale finalità è perseguita in primis mediante lo svolgimento del c.d. "commercio equo e solidale".

Con il regolamento censurato con il ricorso in esame, il Comune di Mantova, facendo ricorso a previsioni non solo generali, ma anche di immediata applicazione (con specifica sanzione amministrativa), immediatamente e concretamente lesive, avrebbe dettato, secondo parte ricorrente, taluni precetti che inciderebbero immediatamente sull’attività della Cooperativa ricorrente e dei suoi soci.

In particolare, l’art. 6 avrebbe costretto la ricorrente a ritirare una "bandiera della pace", un drappo per il commercio equo e solidale ed uno striscione con il proprio nome, non essendo contemplata la possibilità di esporre a tempo indeterminato simili stendardi.

Inoltre il divieto di sedersi sui gradini della propria abitazione o di un esercizio commerciale ostacolerebbe, di fatto, il normale esercizio dell’attività sociale.

Per queste ed altre specifiche limitazioni all’esercizio della propria attività, la ricorrente ha dedotto le seguenti censure:

1. illegittimità del regolamento, in quanto applicativo di disposizioni di legge incostituzionali. Le disposizioni regolamentari censurate richiamano il decreto del Ministero dell’Interno del 5 agosto 2008 e le disposizioni di cui all’art. 54, commi primo e quarto, del d. lgs. 267/2000, come sostituiti dall’art. 6 del D.L. n. 92/2008, rispetto a cui il Tar Veneto ha già ravvisato la necessità della rimessione alla Corte Costituzionale ritenendo non manifestamente infondata la questione di incostituzionalità in relazione agli artt. 2, 3, 5, 6, 8, 13, 16, 17, 18, 21, 23, 24, 41, 49, 70, 76, 77, 97, 113, 117 e 118 della Costituzione. Anche questo Tribunale (ordinanza n. 700 dell’1 ottobre 2010 ha sospeso un’ordinanza fondata su tale norma per sospetto di incostituzionalità);

2. violazione del comma 6 dell’art. 117 della Costituzione il quale limita la potestà regolamentare dei Comuni alla disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite, nonché dell’art. 4 della legge 5 giugno 2003, n. 131 e dell’art. 7 del d. lgs. 267/00, che dettano ulteriori limiti alla potestà regolamentare dei Comuni. Illegittimamente il Consiglio comunale avrebbe regolamentato l’esercizio di poteri, extra ordinem che competono al Sindaco come ufficiale del governo;

3. violazione e falsa applicazione dell’art. 4 della legge 5 giugno 2003, n. 131 e dell’art. 7 del d. lgs. 267/00, che impongono, nell’esercizio del potere regolamentare, il rispetto dei principi dell’ordinamento e dello Statuto: numerose delle norme regolamentari introdotte contrasterebbero con la Costituzione, con la legge e con lo Statuto comunale;

4. illegittimità di alcuni specifici precetti del Regolamento immediatamente lesivi della sfera giuridica della ricorrente ed in specie dell’art. 6, che impone la previa comunicazione della collocazione di striscioni e drappi privi di messaggi pubblicitari, con l’indicazione della durata del periodo di esposizione, così limitando la libertà di manifestare il proprio pensiero, integrando una disparità di trattamento con soggetti che non sono assoggettati al divieto di esposizione a tempo indeterminato, ledendo la libertà di azione della cooperativa. L’art. 10, invece – che vieta di bivaccare per strada, vieta altresì di "sedersi sui gradini delle soglie delle abitazioni, delle vetrine degli esercizi e di qualsiasi altro edificio", e in tal modo violerebbe la libertà di circolazione e di riunirsi pacificamente, garantite rispettivamente dagli artt. 16 e 17 della Costituzione, che prevedono un’espressa riserva di legge, nonché la libertà di utilizzare la proprietà privata.

Si è costituito in giudizio il Comune, deducendo l’inammissibilità del ricorso per difetto d’interesse, in quanto quella impugnata sarebbe una norma generale ed astratta, nonché per difetto di legittimazione ad agire, in quanto la cooperativa ricorrente – che svolge attività di commercio al dettaglio di oggetti d’artigianato e prodotti alimentari – non sarebbe stata costituita, come risulterebbe dallo Statuto, per la protezione di un bene a fruizione collettiva (Cds, 3507/2008) e non sarebbe portatrice di un interesse differenziato e qualificato.

Nel merito il ricorso sarebbe infondato. Ciò in primo luogo in considerazione del fatto che la giurisprudenza invocata da parte ricorrente sarebbe attinente alla diversa fattispecie di poteri extra ordinem esercitati dal Sindaco, mentre nel dettare il regolamento impugnato, il Comune non sarebbe incorso in alcuna violazione della Costituzione e tantomeno delle regole attinenti alla ripartizione di potere tra Sindaco e Consiglio comunale: il Consiglio comunale non avrebbe, in altre parole, regolamentato il potere del Sindaco, ma solo dettato specifiche norme per la gestione dell’ordine pubblico e degli spazi pubblici attraverso il ricorso all’idoneo mezzo del regolamento.

In ogni caso le prescrizioni contestate non sarebbero lesive della libertà di pensiero, ma tenderebbero semplicemente a garantire il decoro urbano. Né vi sarebbe disparità di trattamento alcuna, in quanto esse disciplinerebbero in modo diverso realtà relative a soggetti diversi e comunque non sarebbe dato di comprendere come la cooperativa ricorrente, che svolge attività di commercio, potrebbe effettivamente subire la lesione della propria libertà di divulgare i valori in funzione dei quali è stata costituita.

Infine del tutto conforme alla Costituzione e del tutto priva di lesività per quelli che sono gli interessi perseguiti dalla ricorrente sarebbe la prescrizione che vieta di bivaccare e stendersi per terra, nonché di sedersi sull’uscio degli edifici, impedendone l’entrata e l’uscita.

A tutto ciò ha replicato la società cooperativa ricorrente nella memoria depositata in vista della pubblica udienza, richiamando il principio affermato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 115 del 4 aprile 2011, secondo cui la produzione normativa locale non può travalicare i limiti dettati dalla legge quando vada ad incidere sulla sfera di libertà dei singoli e delle comunità amministrate. Il regolamento che non rispetti tali confini sarebbe, quindi, immediatamente impugnabile, come lo è stato nel caso di specie, a prescindere dall’adozione di atti applicativi, considerato il suo grado di concretezza. Per quanto attiene alla legittimazione a ricorrere, essa discenderebbe dal fatto che l’associazione persegue lo scopo primario di promuovere valori come la pace, la solidarietà e la realizzazione di una società libera, democratica e pluralista ed ha, pertanto, interesse a reagire a provvedimenti che su tali valori incidano.

Nel merito il provvedimento si fonderebbe sull’art. 54 del d. lgs. 267/00 e, quindi, su di una norma dichiarata incostituzionale, a prescindere dalla circostanza, eccepita dall’Amministrazione resistente, che oggetto di tale pronuncia era il potere di ordinanza e non anche quello regolamentare. Potere, anche quest’ultimo, che dovrebbe comunque essere esercitato nel rispetto del principio di legalità affermato dalla Corte Costituzionale nel tacciare di illegittimità le "statuizioni locali che instaurano specifici sistemi normativi circoscritti all’ambito locale tali da frazionare irragionevolmente la legge all’interno del territorio della Repubblica, in patente violazione del principio di uguaglianza" (così la memoria depositata l’1 ottobre 2011, a pag. 10).

Il Comune, nella propria memoria, ha, a sua volta ribadito, oltre all’infondatezza del ricorso, come la ricorrente sia una società cooperativa e non un soggetto portatore di interessi diffusi, con la conseguenza che se ne dovrebbe escludere la legittimazione a ricorrere. Nemmeno potrebbe esserle riconosciuta la posizione di portatore di un interesse qualificato e differenziato, perché nessuna delle norme censurate inciderebbe direttamente sull’attività svolta dalla cooperativa, limitandola.

Parte ricorrente ha, quindi, nuovamente affermato quanto già precedentemente sostenuto nella propria memoria di replica.

Alla pubblica udienza del 30 novembre 2011 la causa, su conforme richiesta dei procuratori delle parti, è stata trattenuta in decisione.

Motivi della decisione

Oggetto del contendere, nel ricorso in esame, è la legittimità del nuovo regolamento di Polizia urbana approvato dal Comune di Mantova, con riferimento alle disposizioni relative all’esposizione di bandiere e stendardi e all’occupazione di aree pubbliche e private.

Come dalla stessa cooperativa ricorrente precisato, tale Regolamento ha indotto la stessa a ritirare lo striscione pubblicizzante l’attività di commercio equo e solidale dalla stessa praticata, la bandiera della pace e il proprio stendardo e, quindi, in buona sostanza (fatta eccezione per la bandiera della pace), le proprie insegne identificative. Ciò appare rilevante in ordine a chiarire ciò di cui si duole la ricorrente e gli interessi perseguiti. Questi ultimi appaiono, sotto lo specifico profilo in parola, più riconducibili all’attività commerciale esercitata dalla medesima, che non ai diversi interessi di solidarietà ed eguaglianza, pur declinati nel ricorso.

Tale considerazione, da un lato rafforza l’ammissibilità del ricorso, potendosi ravvisare un interesse concreto ed attuale alla rimozione del regolamento, nella parte in cui ha inciso sulla libertà di pubblicizzare l’attività di natura commerciale della cooperativa Il M., dall’altra, però, incide sull’ammissibilità e la fondatezza delle singole censure.

Così accertata la sussistenza dell’interesse al ricorso, con riferimento alla legittimazione ad agire la stessa si ritiene possa essere ravvisata nel fatto che trattasi di operatore avente sede nel Comune di Mantova ed in quanto tale portatore di interessi differenziati, ancorché solo limitatamente ad una parte dello stesso, all’annullamento del regolamento censurato.

In particolare può ritenersi che la cooperativa sia titolare di un interesse concreto ed attuale e, quindi, di una posizione giuridica differenziata rispetto al divieto di esporre insegne e drappi: aspetti direttamente connessi all’esercizio della propria attività.

Nel merito di tale profilo appare rilevante che, come sottolineato dal Comune, alla base del regolamento adottato sussistano ragioni di tutela della sicurezza e dell’incolumità pubblica, ma anche del patrimonio pubblico e dell’uso del territorio pubblico che ben possono, in linea di principio, giustificare l’intervento di una specifica disciplina comunale.

Proprio l’uso del regolamento, in luogo dell’ordinanza, peraltro, pare rispondere ai principi individuati nella sentenza della Corte Costituzionale 115/2011, invocata dalla stessa società ricorrente. Questa, infatti, se da un lato ha limitato l’utilizzo dell’ordinanza, subordinandolo al ricorrere dei presupposti per l’adozione di ordinanze contingibili ed urgenti, dall’altro ha individuato proprio il regolamento come strumento per la disciplina dei comportamenti che ostacolerebbero la tutela dei beni primari dell’igiene, sanità e sicurezza pubblica.

In altre parole, il sospetto di incostituzionalità del nuovo testo dell’art. 54 del d. lgs. 267/00, riguardava proprio la disciplina del potere extra ordinem del Sindaco e non anche quello regolamentare del Consiglio.

Nel caso di specie, quindi, il regolamento censurato appare conforme al quadro delineato dalla gerarchia delle fonti del diritto. Ciò anche in considerazione del fatto che lo stesso ha richiamato il suddetto art. 54 al solo fine di recuperarne e fare propria la definizione di incolumità pubblica e sicurezza urbana, individuando, quindi, allo scopo di vietarli, comportamenti ed attività comunque influenti sulla vita della comunità cittadina, in un’ottica di salvaguardia della convivenza civile e della sicurezza, nonché della fruibilità dei beni comuni e della tutela della qualità della vita, dell’ambiente e del patrimonio pubblico.

Le disposizioni censurate, pertanto, non vanno, come sembrerebbe volersi sostenere nel ricorso, ad incidere sull’esercizio del potere extra ordinem del Sindaco: l’art. 6 si limita a dettare il regime a cui è sottoposta l’esposizione di pannelli e drappi a contenuto non pubblicitario e comunque non limita il periodo di esposizione (se non quello previsto, senza obbligo di comunicazione, per i privati in relazione a bandiere e drappi connessi a specifici eventi) che, pertanto, potrebbe essere anche molto lungo, mentre l’art. 10 elenca comportamenti ormai tradizionalmente vietati, il divieto di tenere i quale non appare, quindi, concretamente limitativo della libertà personale, ma effettivamente strumentale a garantire l’ordine pubblico e la fruibilità dei beni pubblici da parte di tutta la collettività.

Nessuna delle eccezioni di incostituzionalità mosse avverso l’uso dell’ordinanza per regolamentare l’utilizzo degli spazi pubblici, può, quindi, trovare spazio nel caso, come quello in esame, in cui la disciplina sia contenuta nel regolamento comunale.

Peraltro il ricorso non specifica in quali disposizioni del regolamento stesso dovrebbe ravvisarsi la violazione dell’art. 117 della Costituzione, così come anche le violazioni degli artt. 13, 16, 17 e 21 della Costituzione risultano essere solo genericamente dedotte.

Ne discende l’inammissibilità delle censure e della questione di legittimità costituzionale, per sollevare la quale non si ravvisano i presupposti di un intervento d’ufficio di questo Tribunale.

Nessuna delle violazioni della libertà denunciate appare, infatti, ravvisabile. Concordemente con quanto affermato dalla difesa comunale, il Collegio ritiene che il divieto relativo alla esposizione di bandiere non incida sulla libertà dell’espressione del pensiero, ma tenda a garantire quel decoro della città che sarebbe compresso se chiunque potesse esporre qualsivoglia bandiera, stendardo o drappo, senza che ciò possa ritenersi integrare una disparità di trattamento, rispetto a determinate categorie (es. partiti) che possono necessitare di rendere visibile la loro presenza per ragioni istituzionali.

Ciò chiarito, secondo il Collegio non si può, invece, ravvisare una posizione differenziata della società ricorrente rispetto all’art. 10 del regolamento e, quindi, al comportamento prescritto a chiunque nei luoghi pubblici, non potendosi qualificare la cooperativa come soggetto portatore di interessi diffusi del genere di quelli incisi dalla disposizione in questione.

Ciò anche in considerazione del fatto che non può ritenersi violata la libertà delle persone di incontrarsi, in quanto ciò che è vietato non è riunirsi in luoghi pubblici, ma bivaccarci, coricarsi e ostruire gli accessi agli edifici: tutti comportamenti il cui divieto non pare possa concretamente limitare la libertà dei cittadini, né impedire le consuete modalità di riunione.

Conclusivamente, le specifiche norme regolamentari censurate, non impongono alcun obbligo preclusivo, in concreto, della possibilità di perseguire i fini propri e diretti della ricorrente, non essendo individuabile alcuna prescrizione la cui applicazione possa escludere o limitare l’esercizio dell’attività della stessa, con la conseguenza che il ricorso deve essere respinto.

Le spese del giudizio possono trovare compensazione tra le parti in causa, attesa la particolarità della controversia e la natura del soggetto ricorrente.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Dispone la compensazione delle spese del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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