T.A.R. Lombardia Brescia Sez. II, Sent., 15-12-2011, n. 1739

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La ricorrente è proprietaria di un compendio immobiliare vincolato al mantenimento della destinazione agricola, concesso in affitto alla sig. B.D.R. che ivi svolge attività di allevamento cani in modo amatoriale.

Tale attività ha formato oggetto di sopraluogo da parte dell’ASL, la quale ha riscontrato che "le aree interessate dall’allevamento e quelle limitrofe sono pulite ed ordinate. Non sono stati rilevati odori particolarmente molesti, né situazioni a elevato rischio igienico".

Ciononostante il Comune intimava la cessazione dell’attività per violazione della norma del regolamento di igiene che impone la distanza minima di 100 metri dalle case sparse come distanza da rispettare per la costruzione di nuovi allevamenti e ricoveri per animali in zona agricola.

Ritenendo illegittimo tale provvedimento la proprietaria del terreno lo impugnava deducendo:

1. carenza di motivazione ed eccesso di potere per difetto dei presupposti, sviamento dalla causa tipica, illogicità e violazione di legge, considerato che l’ASL non ha riscontrato alcuna molestia e che tutte le norme del regolamento di igiene sarebbero state rispettate, con esclusione solo di quella relativa alla distanza di 100 metri dalle case sparse. Quest’ultima disposizione sarebbe stata introdotta, però, con deliberazione del 20 ottobre 2007 e quindi in epoca successiva all’inizio dell’attività sui terreni della ricorrente (il contratto di affitto risale, infatti, al 10 agosto 2007 ed è stato registrato il 24 agosto 2007), con la conseguenza che quello in questione non può essere qualificato un "nuovo" allevamento anche a prescindere dal fatto che sul terreno di proprietà della ricorrente è stata da sempre esercitata attività agricola di allevamento di bovini, ovini e pollame. In base al criterio civilistico della prevenzione temporale, quindi, l’attività svolta sulla proprietà della ricorrente dovrebbe ritenersi preesistente rispetto alle costruzioni che si trovano a distanza inferiore di 100 metri, costruite solo nei primi anni 2000;

2. carenza di motivazione del provvedimento impugnato. Il Comune avrebbe omesso di operare una valutazione in concreto delle condizioni igieniche e strutturali dell’allevamento, limitandosi a richiamare la norma del regolamento che si pretende violata ed ordinando l’interruzione dell’attività in un termine eccessivamente breve (60 giorni) per consentire di ricercare un’alternativa per la collocazione dell’allevamento;

3. violazione di legge, difetto di legittimazione, eccesso di potere, in quanto l’attività sarebbe esercitata in loco da soggetto diverso dalla proprietaria dei fondi, con la conseguenza che il provvedimento sarebbe stato indebitamente notificato a quest’ultima;

4. incompetenza del Sindaco ai sensi degli artt. 50 e 107 del d. lgs. 267/00: la competenza del Sindaco sarebbe limitata all’adozione dei provvedimenti contingibili ed urgenti, di cui quello in esame non presenterebbe le caratteristiche.

L’istanza cautelare è stata accolta nei limiti della graduazione dell’obbligo dello sgombero, assegnando alla ricorrente un termine di venti giorni per addivenire ad una riduzione della metà degli animali presenti nel sito in questione e fissando, per la verifica del rispetto di tale prescrizione e l’ulteriore trattazione della domanda cautelare, la camera di consiglio del 27 aprile 2011.

Parte ricorrente, nel frattempo, ha inviato al Comune una nota (datata 19 aprile 2011), in cui ha attestato di aver provveduto alla riduzione della metà degli animali presenti.

In data 21 aprile 2011 il Comune ha provveduto ad un’ispezione, identificando 60 cani presenti, cui vanno ad aggiungersi 27 cuccioli in fase di svezzamento, di cui 24 già presenti e 3 neonati.

Dalle dichiarazioni a verbale emerge che sono stati trasferiti le 20 capre ed il cavallo presenti nella precedente ispezione. Sono stati trasferiti 15 cani, mentre 22 sono stati venduti (si riserva di produrre copia degli atti entro il 26). 2 cuccioli sono morti e sono stati smaltiti (fornirà documentazione) e la vendita di un cucciolo era in corso.

In data 22 aprile 2011, inoltre, il Comune di Capralba ha autorizzato la B. al trasferimento di 34 cani e 20 capre, per la durata di sei mesi, in una struttura temporanea; ciò anche in ragione del parere favorevole espresso dalla Regione il 19 aprile 2011.

Il Comune si è costituito in giudizio con nuovo difensore il 27 aprile 2011.

In vista della pubblica udienza, parte ricorrente ha dichiarato di conservare un interesse concreto ed attuale alla decisione, non essendo stato possibile raggiungere l’accordo con la controparte circa la ripartizione delle spese.

Alla pubblica udienza la causa, su conforme richiesta dei procuratori delle parti, è stata trattenuta in decisione.

Motivi della decisione

Preso atto che parte ricorrente non ha inteso rinunciare al ricorso, non essendo stato possibile raggiungere un accordo con controparte sulla ripartizione delle spese, rimettendo al Collegio la valutazione dell’eventuale sopravvenuta carenza di interesse per cessata materia del contendere, il Collegio ritiene di poter ravvisare tale condizione. Infatti, è pur vero che, nel caso di specie, non appare configurabile una cessata materia del contendere, considerato che il provvedimento impugnato non è stato rimosso e non ha cessato i propri effetti, ma al contrario li ha visti consolidati dall’intervenuto adempimento dell’ordine in esso contenuto.

Proprio tale circostanza (e il conseguente trasferimento dell’allevamento) ha, però, di fatto determinato la sopravvenuta carenza di interesse alla pronuncia, fatto salvo per quanto si dirà in termini di ripartizione delle spese del giudizio.

Ciò premesso, il ricorso deve essere dichiarato improcedibile, ma la pretesa di parte ricorrente con riferimento alla refusione delle spese non può trovare accoglimento, attesa la soccombenza virtuale della ricorrente, in ragione della ravvisata carenza di legittima autorizzazione all’esercizio dell’attività di allevamento di cani esercitata sul terreno di proprietà della ricorrente, in contrasto con le vigenti disposizioni, anche regolamentari.

Ciononostante, in ragione anche dell’andamento processuale della vicenda, le spese del giudizio possono essere parzialmente compensate tra le parti in causa.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara improcedibile.

Dispone la parziale compensazione delle spese del giudizio e perciò condanna la ricorrente al pagamento, a favore del Comune, della somma di Euro 3.500,00 (tremilacinquecento/00), oltre ad IVA, C.P.A. e rimborso forfetario delle spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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