Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 17-05-2012, n. 7754

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso depositato il 15 ottobre 2004, E.G., agente di vendita monomandatario della Philips S.p.A. dall’1.1.1990 al 31.1.2002, data di cessazione del rapporto per iniziativa della mandante, conveniva dinanzi al Tribunale di Roma la suddetta società, esponendo di avere procurato nuovi clienti, sensibilmente sviluppato il volume di affari con quelli preesistenti e assicurato alla preponente sostanziali vantaggi economici in ragione dell’aumento di oltre il triplo del fatturato medio dell’ultimo triennio rispetto a quello del primo triennio del rapporto.

Lamentava di avere percepito, in base agli AEC, per indennità di risoluzione del rapporto e indennità suppletiva di clientela un importo inferiore all’indennità massima spettante ai sensi dell’art 1751 c.c., comma 3 nella formulazione introdotta in applicazione della Direttiva CEE 653/86.

Chiedeva la condanna della società al pagamento, a titolo di "indennità cessazione rapporto" liquidata ai sensi della citata norma codicistica in quanto più rispondente ad equità, di ulteriori Euro 27.540,00 come da conteggi allegati (media delle provvigioni dell’ultimo quinquennio pari a Euro 59.211,04 meno Euro 31.670,81 già corrisposti), oltre interessi legali.

Con sentenza del 23-26.1.2006 l’adito Tribunale rigettava il ricorso, aderendo alla linea difensiva della convenuta.

Il soccombente proponeva appello reiterando l’originaria domanda, insistendo, in via istruttoria, per l’ammissione di interrogatorio formale del legale rappresentante della società e di prova testimoniale nonchè di espletamento di ctu in merito alla determinazione dei clienti e dei fatturati annui. L’appellata resisteva al gravame, chiedendo di confermare la impugnata sentenza e dichiarare inammissibile e, comunque, respingere la domanda perchè infondata in diritto e non provata in fatto o, in subordine, detrarre Euro 18.697,74 corrisposti per FIRR e indennità di preavviso in eccedenza rispetto alla misura di legge. Con sentenza del 5 dicembre 2008/ 14 ottobre 2009, la Corte d’appello di Roma rigettava l’impugnazione.

A sostegno della decisione osservava che, in via astratta, alla luce di una corretta interpretazione dell’art. 1751 c.c. operata in conformità della disciplina comunitaria, rettamente il ricorrente aveva sostenuto che non si poteva rinunciare all’applicazione della normativa codicistica in favore di quella pattizia. Tuttavia, anche rimanendo in tale prospettiva, la domanda non poteva trovare accoglimento, in difetto di compiuta allegazione e di prova dei fatti integranti i requisiti del diritto azionato.

Per la cassazione di tale pronuncia ricorre E.G. con sei motivi. La Philips S.p.A. non ha svolto attività difensiva.

Motivi della decisione

Va preliminarmente rilevato che la depositata procura generale alle liti per notaio Rosi del 18 luglio 1995, conferita dalla Philips S.p.A. all’avv. Carlo Di Nanni, è priva di ogni efficacia in questa sede, in quanto anteriore alla sentenza della Corte d’appello di Roma del 5/12/2008-14/10/2009, oggetto del giudizio di cassazione e, come tale, privo del connotato della specialità, come richiesto dall’art. 370 c.p.c. (ex pturimis, Cass. n. 1737/2005).

Con il primo motivo di ricorso l’ E., denunciando violazione di norme di diritto circa il venir meno di un grado di giudizio su uno specifico punto ( art 360 c.p.c., n. 3), lamenta che la Corte d’appello, pur dando atto che si era in presenza di un "principio ormai recepito dalla giurisprudenza di legittimità dopo il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia delle Comunità europee", intervenuto dopo la sentenza del tribunale (principio che dava, dunque, ragione alla tesi in merito del ricorrente), aveva assunto una decisione adottata in relazione a una questione non esaminata in primo grado, in quanto "non considerata" a motivo del dichiarato assorbimento della stessa dalla "ragione decisoria".

Precisa – a maggior chiarimento dell’assunto – che nell’impugnata sentenza si affermava che l’appello non meritava comunque accoglimento "atteso il difetto di compiuta allegazione prima e quindi di prova dei fatti integranti i requisiti del diritto azionato, profilo non esaminato in prima sede in quanto assorbito dalla ragione decisoria".

Deduce che la surriportata decisione della Corte d’appello, ove considerata congrua, comporterebbe il venir meno di un grado di giudizio sullo specifico punto, atteso che il giudice di primo grado non aveva affrontato in alcun modo, neanche indirettamente, la questione relativa al citato presunto "difetto di compiuta allegazione … e … di prova dei fatti integranti i requisiti del diritto azionato" (questione che invece, essendo sussistente per il giudice di secondo grado, aveva causato, appunto, il rigetto della domanda dell’odierno ricorrente). Il motivo è palesemente infondato, in quanto l’omessa pronuncia, quale vizio della sentenza, può essere utilmente prospettata solo con riguardo alla mancanza di una decisione da parte del giudice in ordine ad una domanda che, ritualmente e incondizionatamente proposta, richiede una pronuncia di accoglimento o di rigetto. Tale vizio, pertanto, deve essere escluso in relazione a una questione -implicitamente o esplicitamente – assorbita in altre statuizioni della sentenza che è suscettibile di riesame nella successiva fase del giudizio se riprospettata con specifica censura (ex plurimis, Cass. n. 9545/2001).

Con il secondo motivo il ricorrente, denunciando falsa applicazione di norme di diritto e contraddiltoria motivazione ( art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), circa la asserita mancata prova della domanda attorca, lamenta che la Corte d’appello, dopo aver rilevato che non poteva essere condivisa la decisione del giudice di primo grado "sostenuta da una ormai superata interpretazione dell’art. 1751 cod. civ., anche nella ultima formulazione", abbia affermato che "la domanda riproposta dall’appellante era per altro verso infondata, non essendo stato adeguatamente indicato nella fattispecie "il portafoglio clienti assegnato … all’agente nel corso dell’ultradecennale rapporto …, i nuovi clienti acquisiti e quelli degli esistenti interessati da sensibile sviluppo degli affari da lui procurato, nè la permanenza dei vantaggi per la società con il mantenimento della clientela e dei contratti dopo la cessazione del mandato".

Più in dettaglio, il ricorrente si duole che, secondo la Corte territoriale, egli avrebbe solamente aggiunto "ai fatti di meritevolezza genericamente asseriti" che nella vicenda de qua si sarebbe passati "da un fatturato medio – per il primo triennio – di L. 2.980.000.000 … ad un fatturato medio – per l’ultimo triennio – di L. 9.200.000.000 …, corrispondente a oltre il triplo del fatturato iniziale"; tutto ciò non sarebbe, tuttavia, -sempre secondo la Corte di merito- "in sè concludente" e, di conseguenza, non sarebbe "sufficiente a fondare l’assunto", sia "perchè relativo al fatturato, senza possibilità di desumerne direttamente un preciso incremento degli affari e poi perchè privo dei parametri cui riferirlo, ovvero nuovi clienti e/o sviluppo dei contratti con i clienti ricevuti in carico dalla mandante e cadenze temporali".

Con il terzo motivo il ricorrente, denunciando violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3 per falsa applicazione di norme di diritto, circa l’onere della prova, osserva che, una volta provati dall’agente i sensibili aumenti di fatturato, rispetto al fatturato iniziale, verificatisi durante il rapporto di agenzia e il permanere di detti sensibili aumenti al momento della cessazione dello stesso, non può essere "di norma" addossato al citato agente l’onere di provare l’eccezionalità" rappresentata da un eventuale inesistente sviluppo degli affari per il preponente pur in presenza di una maggiorazione consistente del fatturato, derivante dall’operato dell’agente medesimo, oppure da un mancato perdurare dei vantaggi, sempre per il preponente, pur in presenza di detta consistente maggiorazione al momento della conclusione del rapporto tra quest’ultimo e il menzionato agente. Tale onere – ad avviso del ricorrente – non dovrebbe essere fatto ricadere sull’agente, il quale può soltanto evidenziare (come dallo stesso effettuato nella specifica circostanza) i dati a lui risultanti dalla documentazione in suo possesso, ossia quella, appunto, che si riferisce al fatturato (iniziale e finale), da cui derivano le provvigioni che percepisce, e/o al "portafoglio clienti" (iniziale e finale).

Con il quarto motivo il ricorrente, denunciando insufficiente e/o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia circa la asserita mancata prova della domanda attorca e/o circa l’erronea valutazione delle istanze istruttorie, lamenta che l’impugnata sentenza abbia affermato che dalla documentazione depositata in primo grado dall’ex agente non potesse ricavarsi la prova dei fatti integranti i requisiti del diritto azionato, mentre l’affermazione verrebbe smentita da una semplice lettura dei documenti depositati in giudizio (come da "Indice" del fascicolo di parte ricorrente del primo grado) e analiticamente indicati. Con il quinto motivo il ricorrente, denunciando insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa l’asserita genericità della richiesta prova orale, lamenta che tale conclusione sia stata assunta di fronte a capitoli di prova e a richiesta di interpello tuttaltro che generici.

Con il sesto motivo, infine, il ricorrente denuncia falsa applicazione di norme di diritto circa il diniego della richiesta di ctu. Il ricorso è fondato, nei termini di cui qui di seguito.

Giova preliminarmente osservare che questa Corte ha ripetutamente affermato che, in tema di determinazione dell’indennità dovuta all’agente commerciale alla cessazione del rapporto, alla stregua della sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee 23 marzo 2006, Haonyvem c. De Zotti, l’art. 1751 c.c., comma 6, nel testo sostituito dal D.Lgs. 10 settembre 1991, n. 303, art. 4 si interpreta nel senso che il giudice deve sempre applicare la normativa che assicuri all’agente, alla luce delle vicende del rapporto concluso, il risultato migliore, siccome la prevista inderogabilità a svantaggio dell’agente comporta che l’importo determinato dal giudice ai sensi della normativa legale deve prevalere su quello, inferiore, spettante in applicazione di regole pattizie, individuali o collettive (Così Cass. n. 21309/06 e conf. nn. 9538/07-16347/07-21088/07). Ha, altresì, specificato che, a seguito della sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee, 23 marzo 2006, in causa C-465/04, interpretativa degli artt. 17 e 19 della direttiva 86/653, ai fini della quantificazione dell’indennità di cessazione del rapporto spettante all’agente nel regime precedente all’accordo collettivo del 26 febbraio 2002 che ha introdotto l’indennità meritocratica, ove l’agente provi di avere procurato nuovi clienti al preponente o di avere sviluppato gli affari con i clienti esistenti (ed il preponente riceva ancora vantaggi derivanti dagli affari con tali clienti) ai sensi dell’art. 1751 c.c., comma 1, è necessario verificare se – fermi i limiti posti dall’art. 1751 c.c., comma 3 – l’indennità determinata secondo l’accordo collettivo del 27 novembre 1992, tenuto conto di tutte le circostanze del caso e, in particolare, delle provvigioni che l’agente perde, sia equa e compensativa del particolare merito dimostrato, dovendosi, in difetto, riconoscere la differenza necessaria per ricondurla ad equità (cfr. Cass. n. 4056/08). E ancora, "in tema di cessazione del rapporto di agenzia, l’art. 17 della direttiva n. 86/653/CEE, relativa al coordinamento dei diritti degli Stati membri concernenti gli agenti commerciali indipendenti, deve essere interpretato, alla luce della relativa decisione della Corte di giustizia delle Comunità Europee del 23 marzo 2006, c- 465/04, nel senso che l’indennità di cessazione del rapporto prevista dalla citata direttiva non può essere sostituita da un’indennità contrattualmente determinata secondo criteri diversi, a meno che quest’ultima non assicuri all’agente un trattamento più favorevole. Pertanto, l’art. 1751 c.c. (anche nel testo successivo al D.Lgs. n. 65 del 1999), il quale va interpretato in conformità della disciplina comunitaria, va inteso nel senso che l’attribuzione dell’indennità è condizionata non soltanto alla permanenza, per il preponente, di sostanziali vantaggi derivanti dall’attività di promozione degli affari compiuta dall’agente, ma anche alla rispondenza ad equità dell’attribuzione, in considerazione delle circostanze del caso concreto ed in particolare delle provvigioni perse da quest’ultimo" (così Cass. n. 23966/08).

Orbene, il Giudice d’appello ha tenuto ad affermare che a tali principi aveva inteso adeguarsi, ma che ciò nonostante la domanda riproposta dall’appellante non poteva trovare accoglimento, stante il difetto di compiuta allegazione prima e quindi di prova dei fatti integranti i requisiti del diritto azionato, profilo non esaminato in prima sede in quanto assorbito dalla ragione decisoria. A sostegno di tale assunto ha osservato che l’originario ricorrente non aveva indicato, neppure in parte e/o indirettamente con puntuale richiamo alla documentazione prodotta, il portafoglio clienti assegnatogli nel corso dell’ultradecennale rapporto, peraltro rinnovato a cadenza annuale con specifiche pattuizioni, i nuovi clienti acquisiti e quelli degli esistenti interessati da sensibile sviluppo degli affari da lui procurato, nè la permanenza dei vantaggi per la società con il mantenimento della clientela e dei contratti dopo la cessazione del mandato. Ha altresì aggiunto che ai fatti di meritevolezza genericamente asseriti, la cui sussistenza era stata contestata dalla società, con le memorie difensive dei due gradi, l’ E. aveva aggiunto soltanto "che da un fatturato medio – per il primo triennio – di L. 2.980.000.000 (pari a Euro 1.539.041,56) si era infatti passati "ad un fatturato medio – per l’ultimo triennio – di L. 9.200.000.000 (pari a Euro 4.751.403,47), corrispondente a oltre il triplo del fatturato iniziale". Sennonchè, tale unico dato non era in sè concludente e pertanto non era sufficiente a fondare l’assunto, in primo luogo perchè relativo al fatturato, senza possibilità di desumerne direttamente un preciso incremento degli affari e poi perchè privo di parametri cui riferirlo, ovvero nuovi clienti e/o sviluppo dei contratti con i clienti ricevuti in carico dalla mandante e cadenze temporali. Inoltre, le allegazioni contenute in ricorso, riconducendo la triplicazione del fatturato a entrambe le evenienze dedotte, erano in contrasto con la circostanza che collegava l’aumento ai preesistenti clienti.

Alla già detta inidoneità della produzione documentale in funzione integrativa delle allegazioni, si accompagnava correlativamente la genericità della chiesta prova orale, come tale inammissibile.

Neppure, infine, poteva essere disposta la richiesta ctu "in merito alla determinazione dei clienti e dei fatturati annui relativi al rapporto de quo", sia per l’inutilizzabilità dell’accertamento tecnico di ufficio quale mezzo di prova, sia a maggior ragione per l’impossibilità, nella specie, di individuare gli elementi di fatto che la parte istante ha l’onere di porre a sostegno della domanda, in modo specifico, nell’atto introduttivo del giudizio.

Le argomentazioni svolte sullo specifico punto dalla Corte d’appello di Roma appaiono – come osservato dal ricorrente -, prive di pregio, atteso che l’art. 1751 c.c. stabilisce, per verificare l’esistenza o meno nelle singole fattispecie delle condizioni necessarie per ottenere l’Indennità in caso di cessazione del rapporto", che "l’agente abbia procurato nuovi clienti al preponente o abbia sensibilmente sviluppato gli affari con i clienti esistenti e il preponente riceva ancora sostanziali vantaggi derivanti dagli affari con tali clienti".

Ebbene – come ancora correttamente rimarcato dal ricorrente-, nella vicenda per cui è causa, così come in tutte le vicende – in linea generale – che riguardano i rapporti tra preponente e agente, il secondo ha, in sostanza, un’unica concreta possibilità di dimostrare il "sensibile sviluppo degli affari" e il "perdurare dei vantaggi derivante dagli stessi" per il primo: quella, cioè, di evidenziare tramite un fatturato finale "sensibilmente" più corposo (il triplo, nel nostro caso, rispetto a quello iniziale, al momento della cessazione del rapporto) il vantaggio (lo "sviluppo") procurato al preponente dall’attività svolta (per quasi dodici anni, nella fattispecie) per il medesimo. Dichiarare quindi, come fa il giudice di secondo grado, che dal suddetto corposo aumento del fatturato, presente al momento della cessazione del rapporto, non possa ricavarsi "un preciso incremento degli affari" appare motivazione contraddittoria, e comunque inadeguata, atteso che un sensibile incremento del fatturato procura, di norma, concreti vantaggi al preponente. A ciò va aggiunto che il ricorrente ha anche richiesto di provare, per interpello e testi circostanze, specificamente riportate in ricorso, a conferma di quanto appena esposto, i cui capitoli riguardano la triplicazione, a opera dell’agente, dell’originaria entità degli affari (oltrechè l’acquisizione, da parte dello stesso, di nuovi clienti), l’avvenuta cessazione dell’attività, nell’ultimo anno del rapporto de quo, di due dei principali clienti di zona dell’azienda e la prosecuzione per quest’ultima, anche "dopo" il termine del mandato di agenzia per cui è causa, dei rapporti commerciali con la clientela preesistente e successiva a detto mandato, la cui declaratoria di inammissibilità per la presunta "genericità" appare del tutto immotivata.

Per quanto precede, il ricorso va accolto con riferimento al secondo e quinto motivo con assorbimento del terzo, quarto e sesto e rigetto del primo. L’impugnata sentenza va, per l’effetto, cassata in relazione ai motivi accolti con rinvio per il riesame alla stessa Corte d’appello di Roma in diversa composizione, che provvedere altresì alla regolamentazione delle spese di questo giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo motivo ed accoglie parzialmente gli altri – secondo e quinto e assorbiti i restanti, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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