SICUREZZA PUBBLICA
Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole
Svolgimento del processo
Con ricorso depositato in data 5.9.2003, il cittadino tunisino N. A. proponeva davanti al Tribunale di Bolzano opposizione avverso il decreto di espulsione emesso nei suoi confronti dal locale Questore il 3.9.2003, nonchè avverso l’ordine di lasciare il territorio dello Stato entro il termine di cinque giorni con relativo accompagnamento alla frontiera.
Deduceva il ricorrente:
a) che, essendo titolare del permesso di soggiorno, per motivi di lavoro, valido sino al 10.10.2001, egli aveva chiesto prima della scadenza il rilascio della omonima carta a tempo indeterminato e che, a seguito del rigetto di tale istanza, era stato emesso il decreto di espulsione;
b) che, rappresentando la carta di soggiorno un’alternativa più favorevole del permesso anzidetto, il rifiuto della prima avrebbe imposto di procedere all’esame dei presupposti per la concessione del secondo, laddove, non essendovi stato il diniego esplicito di rilascio del permesso di soggiorno, la misura dell’espulsione doveva ritenersi illegittimamente adottata, non ricorrendo alcuna delle ipotesi previste dall’art. 13, comma secondo, lettera b), del decreto legislativo n. 286 del 1998;
c) che viziato doveva considerarsi anche l’ordine di allontanamento, siccome non preceduto dal nulla-osta dell’Autorità giudiziaria, il quale, nella specie, non poteva comunque essere concesso;
d) che esso ricorrente era affetto dal morbo di Parkinson, onde, stante la possibilità di ottenere il permesso di soggiorno per cure mediche, a maggior ragione tale permesso doveva competere a chi si trovava sul territorio nazionale, laddove una diversa conclusione si sarebbe posta in contrasto con gli artt. 3 e 32 della Costituzione;
e) che non era consentita l’espulsione immediata con accompagnamento nel caso in cui il permesso di soggiorno fosse scaduto di validità.
Si costituiva in giudizio il Questore di Bolzano, resistendo alla pretesa avversaria.
Il Tribunale adito, in composizione monocratica, con decreto del 23/27.10.2003, respingeva il ricorso, assumendo:
a) che fosse pacifico in fatto che il ricorrente si era trattenuto nel territorio dello Stato oltre il termine di scadenza del permesso di soggiorno e comunque per più di sessanta giorni da essa, ciò che di per sè legittimava l’adozione della misura dell’espulsione;
b) che il ricorrente non avesse chiesto il rinnovo del permesso di soggiorno, ma il rilascio della carta di soggiorno, onde era quanto meno opinabile, stante la parziale diversità di presupposti, condizioni e limiti tra le due figure, che l’Autorità procedente, una volta respinta quest’ultima istanza, fosse tenuta a valutare la sussistenza dei requisiti necessari al rilascio del rinnovo del permesso di soggiorno scaduto, la cui relativa richiesta doveva implicitamente ritenersi compresa in quella concernente la carta di soggiorno;
c) che l’opponente non potesse comunque dolersi del fatto che il provvedimento del Questore non conteneva un esplicito e motivato diniego di permesso di soggiorno, vero essendo che, trattandosi di rinnovo del permesso per motivi di lavoro, l’insussistenza dei presupposti di concedibilità risultava ampiamente enunciata nella parte motiva del provvedimento, là dove si dava atto che lo straniero, al tempo della presentazione dell’istanza, era privo di reddito e non aveva in corso alcun rapporto occupazionale;
d) che la mancanza del nulla osta dell’autorità giudiziaria, previsto nel caso in cui lo straniero sia sottoposto a procedimento penale, non potesse essere dedotta come vizio di legittimità del provvedimento, siccome attinente all’esercizio della giurisdizione penale;
e) che la questione della malattia del ricorrente non potesse trovare ingresso nel giudizio, circoscritto al vaglio di legittimità e di merito del provvedimento impugnato nei soli aspetti in esso considerati;
f) che fosse infondato anche il motivo di ricorso riguardante l’immediata espulsione con accompagnamento alla frontiera, atteso che l’espulsione medesima era stata disposta per rigetto (implicito) dell’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno, che lo stesso ricorrente sosteneva figurare compresa nell’istanza di rilascio della omonima carta.
Avverso tale decreto, ricorre per cassazione il cittadino straniero sopra nominato, deducendo quattro motivi di gravame ai quali non resiste il Questore di Bolzano.
Motivi della decisione
Con il primo motivo di impugnazione, lamenta il ricorrente violazione e falsa applicazione dell’arto, comma secondo, lettera b), del decreto legislativo n. 286/1998 (come modificato dalla legge n. 189/2002), assumendo: a) che il ricorrente, già titolare di regolare permesso di soggiorno, prima della scadenza dello stesso ha presentato istanza per il rilascio della carta di soggiorno, ciò che non lascia dubbi circa l’intenzione del N. di rinnovare una situazione già goduta, anzi di renderla ancora più stabile; b) che, quindi, una volta decretato il rigetto dell’istanza di rilascio della carta di soggiorno, l’Autorità amministrativa avrebbe dovuto procedere all’esame della sussistenza, in capo al predetto N., dei requisiti necessari al rilascio del rinnovo del permesso di soggiorno, essendo tale richiesta implicitamente compresa nella più ampia istanza per il rilascio della carta di soggiorno; c) che, del resto, non si spiegherebbe altrimenti, se non con la condivisione della medesima ratio, la scelta operata dal legislatore il quale, all’art. 9, terzo comma, del decreto legislativo n. 286 del 1998, disciplinando l’ipotesi di revoca della carta di soggiorno, prevede che, qualora non debba essere disposta l’espulsione e ricorrano i requisiti previsti dalla legge, è rilasciato permesso di soggiorno;
d) che il diniego del permesso di soggiorno deve essere esplicito e motivato;
e) che il Tribunale, contraddittoriamente, prima ha affermato che, nella domanda per il rilascio della carta di soggiorno, non è compresa l’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno, poi ha argomentato che, invece, vi sarebbe stato addirittura un implicito rigetto di tale domanda;
f) che, poichè, nel caso di specie, è stata valutata unicamente l’insussistenza dei presupposti per il rilascio della carta di soggiorno, il provvedimento, se anche lo si volesse considerare quale implicito rigetto del permesso di soggiorno, risulta totalmente privo di motivazione riguardo a questa seconda valutazione;
g) che, in definitiva, per un verso, è comunque necessario apprezzare separatamente la sussistenza dei requisiti per il rilascio del permesso di soggiorno prima di procedere all’espulsione, mentre, per altro verso, non può il Tribunale sostituirsi all’Autorità amministrativa e decidere in sua vece che il ricorrente non avrebbe comunque avuto diritto al rinnovo del permesso di soggiorno.
Il motivo non è fondato.
Giova, al riguardo, osservare come il Tribunale adito, con apprezzamento di fatto di per sè incensurato, abbia preso le mosse dal rilievo secondo cui "…il ricorrente si è trattenuto nel territorio dello Stato abbondantemente oltre il termine di scadenza del permesso di soggiorno e comunque per più di sessanta giorni da essa…(senza avere) chiesto il rinnovo del permesso di soggiorno", onde la conclusione, di per sè coerente rispetto ad un simile apprezzamento, in forza della quale "Ciò legittima, ex art. 13, comma 2^, lettera b), D.Leg.vo 286/98, l’adozione della misura dell’espulsione".
Detto Giudice, più precisamente, ha assunto che l’anzidetto ricorrente "non ha chiesto il rinnovo del permesso di soggiorno ma il rilascio della carta di soggiorno,", argomentando in proposito:
a) che la tesi del medesimo ricorrente secondo cui "l’Autorità procedente, una volta respinta l’istanza, sarebbe stata tenuta a valutare la sussistenza dei requisiti necessari al rilascio del permesso di soggiorno scaduto, la quale richiesta doveva implicitamente ritenersi compresa in quella concernente la carta di soggiorno,…è quanto meno opinabile, stante la parziale diversità di presupposti, condizioni e limiti delle due figure, che la semplice lettura degli artt. 5 (sul permesso di soggiorno) e 9 (sulla carta di soggiorno) rivela";
b) che, "se anche fosse, non potrebbe dolersi l’opponente del fatto che il provvedimento del Questore non contenga un esplicito e motivato diniego di rilascio del permesso di soggiorno", dal momento che, "trattandosi di rinnovo di permesso di soggiorno per motivi di lavoro, l’insussistenza dei presupposi di concedibilità è ampiamente enunciata nella parte motiva del provvedimento, là dove si da atto che il N. al tempo della presentazione dell’istanza era privo di reddito e non aveva in corso alcun rapporto di lavoro".
Orbene, per quanto attiene al primo dei due riportati profili, di cui alla lettera "a" che precede, vale notare come, in mancanza di una espressa disposizione del genere di quella contenuta nel terzo comma dell’art. 9 del decreto legislativo n. 286 del 1998, là dove è stato specificatamente previsto dal legislatore che "Successivamente al rilascio della carta di soggiorno, il questore dispone la revoca, se è stata emessa sentenza di condanna, anche non definitiva, per i reati di cui al presente comma. Qualora non debba essere disposta l’espulsione e ricorrano i requisiti previsti dalla legge, è rilasciato permesso di soggiorno" (con riferimento, peraltro, ad un’ipotesi, ben differente, in cui il rilascio del permesso di soggiorno consegue, semmai, sussistendone i presupposti, alla revoca della carta di soggiorno "già" rilasciata), non possa in effetti, per via di interpretazione, la richiesta della medesima carta di soggiorno intendersi comprensiva altresì della richiesta di rilascio (del rinnovo) del permesso di soggiorno (così che, denegato raccoglimento della prima, sia poi l’Amministrazione tenuta ad apprezzare altresì la possibilità di accogliere la seconda, ricorrendone i requisiti), dal momento che la distinta "tipizzazione" delle due istanze (di rilascio, cioè, del permesso di soggiorno e della carta di soggiorno) fatta dalla normativa vigente (artt. 5 e 9, rispettivamente, del già richiamato decreto legislativo n. 286 del 1998, nonchè articoli da 9 a 13 e da 16 a 17, rispettivamente, del D.P.R. n. 394 del 1999), la quale ne ha dettagliatamente disciplinato la forma ed il contenuto rispettivi, ivi comprese le relative allegazioni documentali, convince del fatto che, nella materia in esame, l’oggetto dell’atto di iniziativa, ad opera del richiedente, è strettamente legato, prefigurandolo, all’oggetto del provvedimento favorevole richiesto (nella specie, rilascio della carta di soggiorno), nel senso che, come una vera e propria "proposta" di decisione, delimita e circoscrive l’ambito della stessa discrezionalità dell’Autorità amministrativa, obbligata non soltanto a provvedere (potendo semplicemente scegliere tra l’emanazione del provvedimento anzidetto, previo accertamento della sussistenza delle condizioni richieste, o, in caso negativo, il rifiuto di esso), ma altresì ad emanarlo, in caso affermativo, senza rimanere libera quanto al contenuto da dargli, risultando, cioè, detta Amministrazione necessariamente vincolata dal tenore e dalla portata dell’atto di iniziativa medesimo.
Resta, di conseguenza, assorbita l’ulteriore censura del ricorrente relativa all’assunto, meramente subordinato, del Tribunale là dove quest’ultimo ha ritenuto che, "se anche fosse" (se, cioè, la richiesta di rilascio del rinnovo del permesso di soggiorno figurasse compresa in quella concernente la carta di soggiorno), non potrebbe dolersi l’opponente del fatto che il provvedimento del Questore non contenga un esplicito e motivato diniego di rilascio del permesso di soggiorno, atteso che, trattandosi di rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro, l’insussistenza dei presupposti di concedibilità è ampiamente enunciata nella parte motiva del provvedimento, là dove si da atto che il N., al tempo della presentazione dell’istanza, era privo di reddito e non aveva in corso alcun rapporto di lavoro.
Con il secondo motivo di impugnazione, lamenta il ricorrente l’illegittimità dell’ordine di lasciare il territorio dello Stato, ai sensi dell’art. 13, comma terzo, del decreto legislativo n. 286/1998 (come modificato dalla legge n. 189/2002), deducendo:
a) che il N. si trova attualmente sottoposto a procedimento penale;
b) che, ai sensi della disposizione sopra citata, il questore, in casi simili, prima di eseguire l’espulsione, richiede il nulla osta all’autorità giudiziaria;
c) che, non risultando tale obbligo adempiuto, l’ordine di lasciare il territorio italiano entro cinque giorni dalla notifica dello stesso, il quale costituisce atto di esecuzione dell’espulsione, è illegittimo;
d) che, peraltro, nella specie, il nulla osta anzidetto non poteva essere concesso, procedendosi a carico del ricorrente per una delle fattispecie criminose di cui all’art. 13, comma 3-sexies, del decreto legislativo n. 286 del 1998.
Con il quarto motivo di impugnazione, del cui esame congiunto con il precedente si palesa l’opportunità involgendo ambedue la trattazione di questioni strettamente connesse, lamenta il ricorrente violazione e falsa applicazione dell’art. 13 del decreto legislativo n. 286/1998, deducendo:
a) che il Questore ha intimato l’immediata espulsione del N. con accompagnamento alla frontiera dello stesso in palese violazione delle disposizioni di cui all’art. 13 sopra citato:
b) che, infatti, ai sensi del combinato disposto dei commi quarto e quinto di tale disposizione, l’espulsione immediata non è consentita nel caso in cui il permesso di soggiorno sia scaduto di validità;
c) che l’eventuale sussistenza del concreto pericolo di sottrazione all’esecuzione doveva essere motivata;
d) che la norma risulta, peraltro, inapplicabile al ricorrente in virtù della più favorevole disposizione di cui al comma quindicesimo del medesimo articolo, essendo il predetto residente in Italia da numerosi anni; e) che, peraltro, proprio il mancato rinnovo del permesso di soggiorno è una delle ipotesi nelle quali l’espulsione immediata non è consentita.
I due motivi sono inammissibili.
Premesso, infatti, come, sulla base dell’incensurato apprezzamento di fatto del Giudice di merito, sia rimasto accertato che l’odierno ricorrente ha impugnato innanzi al Tribunale, oltre al decreto di espulsione emesso nei suoi confronti dal Questore della Provincia di Bolzano in data 3.9.2003, altresì "il successivo ordine di lasciare il territorio dello Stato entro il termine di cinque giorni", si osserva che, a differenza dei vizi del provvedimento di espulsione, avverso i quali, ai sensi degli artt. 13 e 13 bis del decreto legislativo n. 286 del 1998 (come modificato dal decreto legislativo n. 113 del 1999), è prevista autonoma tutela che, come nella specie, risulta correttamente richiesta nei confronti del "questore", essendo nel territorio delle Province di Trento e Bolzano la competenza ad emanare il provvedimento di espulsione dello straniero, ex art. 13, comma secondo, del già citato decreto legislativo n. 286/1998, attribuita al questore appunto, in luogo del prefetto, e non già al commissario del governo (Cass. 7 maggio 2002, n. 6535), le questioni invece attinenti all’esecuzione dell’espulsione stessa e, segnatamente, all’immediata espulsione con accompagnamento coattivo (a mezzo della forza pubblica) alla frontiera a seguito del provvedimento anzidetto, adottato a norma del richiamato art. 13, comma secondo, del decreto legislativo n. 286 del 1998, sono suscettibili di formare parimenti oggetto di ricorso per Cassazione, ma debbono essere fatte valere nei confronti del Ministro dell’Interno, in qualità di vertice dell’Amministrazione di cui il questore, autore del provvedimento in quanto tale e non già in luogo del prefetto (come nel caso del sopra indicato decreto di espulsione), è organo locale privo, nella specifica materia, di autonoma capacità processuale analoga a quella di cui all’art. 13 bis, comma secondo, del decreto legislativo n. 286 del 1998 (Cass. 9 aprile 2002, n. 5054; Cass. 12 maggio 2004, n. 8964), riconosciuta, in linea generale al prefetto e, nel territorio delle Province di Trento e Bolzano, ma limitatamente all’opposizione (anche in sede di gravame) avverso il provvedimento espulsivo in sè, al questore.
Con il terzo motivo di impugnazione, lamenta il ricorrente violazione del decreto legislativo n. 286/1998, in relazione agli artt. 3 e 32 della Costituzione, deducendo:
a) che, come risulta dall’allegata certificazione medica, il N. è affetto da morbo di Parkinson, il quale ha determinato ai danni dello stesso un’invalidità permanente del 100%, laddove le strutture tunisine non sono certo note per l’avanguardia tecnologica e medica, onde l’espulsione equivarrebbe ad una condanna a morte;
b) che, del resto, il permesso di soggiorno, come viene concesso allo straniero per cure mediche ai sensi dell’art. 36 dei citato decreto legislativo n. 286 del 1998, a maggior ragione è da concedere a chi, come il ricorrente, già si trovi regolarmente sul territorio italiano da anni;
c) che, qualora la normativa vigente dovesse venire interpretata nel senso che non sussista il divieto di espellere un soggetto in gravi condizioni di salute, una simile interpretazione sarebbe da ritenere contraria ai più elementari principi costituzionali del nostro ordinamento ed, in particolare, agli artt. 3 e 32 della Costituzione, anche con riferimento all’ipotesi di cui all’art. 19, lettera d), del decreto legislativo n. 286 del 1998;
d) che, sul punto, la totale mancanza di motivazione da parte del Giudice di merito è di immediata evidenza, laddove il ricorrente ha interesse a che tutti i presupposti per l’adozione di un provvedimento ai suoi danni siano attentamente considerati, avendo egli, del resto, il diritto di eccepire che una simile considerazione non sia intervenuta ad opera dell’Amministrazione.
Il motivo non è fondato.
Giova, al riguardo, premettere come le ragioni che ostano all’adozione del provvedimento espulsivo siano specificate nel secondo comma dell’art. 19 del decreto legislativo n. 286 del 1998, là dove non si fa cenno alcuno (ove si eccettui la previsione di cui alla lettera "d" del medesimo secondo comma, relativa soltanto alle "donne in stato di gravidanza o nei sei mesi successivi alla nascita del figlio cui provvedono") al divieto di espellere soggetti in gravi condizioni di salute.
Tanto premesso, si osserva che la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 252 del 17 luglio 2001, nel dichiarare non fondata la questione di legittimità dell’art. 19, comma secondo, del decreto legislativo n. 286 del 1998, nella parte in cui non prevede il divieto di espulsione dello straniero che, entrato clandestinamente nel territorio nazionale, vi permanga al solo scopo di terminare un trattamento terapeutico che risulti essenziale in relazione alle sue pregresse condizioni di salute, ha già avuto modo di precisare l’erroneità del presupposto interpretativo secondo cui il diritto inviolabile alla salute dello straniero irregolarmente presente (come nella specie, giusta quanto precede) nel territorio anzidetto, garantito dagli artt. 2 e 32 della Costituzione, potrebbe essere tutelato solo attraverso la previsione, da inserire nel già citato art. 19, di uno specifico divieto di espulsione, nel senso esattamente:
a) che, al contrario, lo straniero presente, anche irregolarmente, nello Stato ha diritto di fruire di tutte le prestazioni le quali risultino indifferibili ed urgenti, secondo i criteri indicati dall’art. 35, comma terzo, del decreto legislativo n. 286 del 1998, trattandosi di un diritto fondamentale della persona che deve essere tutelato, secondo quanto disposto, in linea generale, dall’art. 2 dello stesso decreto legislativo n. 286/1998;
b) che la valutazione dello stato di salute del soggetto e della indifferibilità ed urgenza delle cure deve essere effettuata caso per caso, secondo il prudente apprezzamento medico, onde, a fronte di un ricorso avverso un provedimento di espulsione, si dovrà, qualora vengano invocate esigenze di salute dell’interessato, preventivamente valutare tale profilo, tenuto conto dell’intera disciplina contenuta nel decreto legislativo n. 286 del 1998, se del caso ricorrendo ai mezzi istruttori che la legge, pur in un procedimento caratterizzato da concentrazione e da esigenze di rapidità, certamente consente di utilizzare, laddove, qualora risultino fondate le ragioni addotte dal ricorrente, in ordine alla tutela del suo diritto costituzionale alla salute, si dovrà provvedere di conseguenza, non potendosi eseguire l’espulsione nei confronti di un soggetto che potrebbe subire, per via dell’immediata esecuzione del provvedimento, un irreparabile pregiudizio a tale diritto.
Così delimitato, quindi, in conformità alle norme della Costituzione sopra richiamate, il "nucleo irriducibile" del diritto anzidetto per gli stranieri che si trovano senza titolo legittimo sul territorio dello Stato, si osserva che, nella specie, il ricorrente odierno, a fronte dell’apprezzamento del Giudice di merito secondo cui "La questione della malattia, da cui è affetto il ricorrente, e che si vuole costituire motivo impeditivo dell’espulsione, non può trovare ingresso nel presente procedimento, che è circoscritto al vaglio di legittimità e di merito del provvedimento impugnato, nei soli aspetti considerati", non ha comunque dedotto, agli effetti del sindacato di questa Corte in ordine al vizio di motivazione pure denunziato, circostanze di per sè decisive, avendo semplicemente prospettato di essere affetto dal morbo di Parkinson con una invalidità permanente del 100% e non avendo, perciò, fatto riferimento, mediante specifico richiamo alle relative risultanze di prova desunte dagli atti di causa e delle quali il medesimo Giudice avrebbe dovuto, semmai, tenere conto, ad uno stato di salute tale da richiedere, sul territorio nazionale, prestazioni sanitarie "indifferibili ed urgenti", la cui mancata somministrazione risulti capace di determinare un irreparabile pregiudizio in danno della propria salute, ovvero alla sussistenza di condizioni patologiche di emergenza, contingenti ed eccezionali, insuscettibili di dar luogo ad un apprezzamento della relativa malattia in termini di cronicità e, quindi, di essenziale stabilità, per un verso, nonchè di sostanziale resistenza alle cure, per altro verso.
Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato.
Nulla è a pronunciare in ordine alla sorte delle spese del giudizio di Cassazione, non avendo l’Autorità intimata, in questa sede, nè resistito, nè, comunque, svolto attività difensiva alcuna.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, il 3 novembre 2004.
Depositato in Cancelleria il 27 gennaio 2005
Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.