Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 20-10-2011) 11-11-2011, n. 41145 Misure alternative

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con decreto in data 19.11.2010 il Presidente del Tribunale di sorveglianza di Napoli dichiarava Inammissibile l’istanza volta ad ottenere le misure alternative di cui agli artt. 47, 47-ter e 50 Ord. Pen., avanzata da E.L..

In specie, veniva rilevato che l’istante non aveva dichiarato o eletto domicilio all’atto della presentazione della richiesta delle predette misure alternative in violazione di quanto previsto, a pena di inammissibilità, dall’art. 677 c.p.p., comma 2-bis.

2. Avverso il citato provvedimento ha proposto ricorso per cassazione, a mezzo del difensore di fiducia, l’ E. il quale denuncia la violazione di legge ed il vizio di motivazione in ordine all’art. 677 c.p.p., comma 2-bis, atteso che nell’istanza, presentata dal difensore ex art. 656 cod. proc. pen., era stata indicata la residenza dell’interessato e tale indicazione doveva ritenersi idonea a soddisfare le esigenze poste a fondamento della previsione dell’art. 677 c.p.p., comma 2-bis. Sul punto, il ricorrente richiama la decisione di questa Corte n. 15330 del 12/03/2004 con la quale era stata ritenuta equipollente alla dichiarazione o elezione di domicilio l’indicazione del domicilio fatta dal difensore nell’istanza.

Con un ulteriore motivo di ricorso si contesta la regolarità della notifica dell’ordine di carcerazione e della contestuale sospensione, rilevando che la notifica andava effettuata a mani dell’Interessato, atteso che il luogo di residenza ( (OMISSIS)) era diverso da quello indicato nelle sentenze di condanna e nell’ordine di carcerazione e tenuto conto che l’ E. è separato dalla moglie per cui non vi è certezza che gli atti notificati a mezzo posta siano effettivamente consegnati all’interessato.

Motivi della decisione

1. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.

Secondo l’orientamento consolidato di questa Corte – da ultimo confermato dalla pronuncia delle S.U. n. 18775, 17/12/2009, Mammoliti, rv. 246720 – la richiesta di misura alternativa alla detenzione, ai sensi dell’art. 656 c.p.p., comma 6, deve essere corredata, a pena di inammissibilità, anche se presentata dal difensore, dalla dichiarazione o dalla elezione di domicilio effettuata dal condannato non detenuto, salvo che per il condannato latitante o irreperibile.

Nella motivazione della richiamata decisione si rileva che "la finalità della disposizione in esame va individuata In quella di rendere più spedito il procedimento davanti alla magistratura di sorveglianza, disponendo di un domicilio certo presso il quale procedere alle notifiche, e di evitare, conseguentemente, la possibilità di improprie sottrazioni del condannato alla corretta esecuzione, nelle forme e modalità di legge, delle sentenze di condanna a pena detentiva".

La suddetta finalità dell’obbligo imposto dall’art. 677 cod. proc. pen., comma 2-bis, ad avviso della Sezioni Unite comporta che "la disposizione in esame sia tassativa (come, peraltro, si evince dal dettato legislativo che prescrive la indicazione "a pena di inammissibilità") e che debba, di conseguenza, escludersi che l’obbligo incombente sul condannato non detenuto possa essere assolto attraverso il recupero di indicazioni equipollenti pur desumibili dagli atti processuali (quali le mere indicazioni circa il domicilio o la residenza dell’istante), o che possano considerarsi valide precedenti dichiarazioni o elezioni domicilio che, valide, ai sensi dell’art. 164 cod. proc. pen., per ogni stato e grado del giudizio di cognizione, perdono efficacia in relazione al procedimento di esecuzione e di sorveglianza. Questi procedimenti, non costituiscono, infatti, una fase o un grado del procedimento di cognizione, ma sono del tutto autonomi, con la conseguenza che la dichiarazione o la elezione di domicilio effettuata nel giudizio di cognizione non è suscettibile di trasmigrazione nel procedimento esecutivo ed in quello di sorveglianza (Sez. 3, 23 novembre 1998, n. 3197, Petrera, RV. 222856; Sez. 1, 16 marzo 2004, n. 23907, Cisterna, RV. 229251;

Sez. 1, 3 febbraio 2005, n. 11522, Procopio, RV. 231268; Sez. 1, 23 ottobre 2007, n. 46265, Colantoni, RV. 238768). Unica eccezione a tale principio è quella prevista dall’art. 656 c.p.p., comma 5, per la notificazione al condannato ed al difensore dell’ordine di esecuzione e del decreto di sospensione della esecuzione della pena emessa dal pubblico ministero; ma tale eccezione trova la sua logica giustificazione proprio nella necessità di pervenire in tempi brevi alla esecuzione della condanna, sia disponendo la carcerazione, momentanea sospesa, sia rendendo possibile l’applicazione di una delle misure alternative, per cui si presume, proprio per la quasi contemporaneità della irrevocabilità della sentenza con la sua esecuzione, che la notificazione presso i luoghi indicati nel procedimento di cognizione possa accelerare la complessa procedura di esecuzione delle pene brevi". 2. Quanto al motivo di ricorso con il quale si contesta la regolarità della notifica dell’ordine di carcerazione e della contestuale sospensione, richiamato quanto affermato sul punto dalla citata decisione delle Sezioni unite, deve rilevarsi che, comunque, si tratta di questione afferente al titolo esecutivo che deve essere proposta dinanzi al giudice dell’esecuzione.

3. Conseguentemente, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento in favore della cassa delle ammende di sanzione pecuniaria che pare congruo determinare in Euro 1.000,00, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen..

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille in favore della cassa della ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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