Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 20-10-2011) 11-11-2011, n. 41029

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Ha proposto ricorso per cassazione S.V., per mezzo del proprio difensore, avverso la sentenza della Corte di Appello di Trento del 26.11.2010, che in riforma della sentenza di assoluzione pronunciata nei suoi confronti dal locale Tribunale il 29.6.2009, impugnata dal Procuratore generale, lo dichiarò colpevole dei reati di ricettazione, truffa e falso ascrittigli e concesse le attenuanti generiche lo condannò alla pena di anni uno, mesi due di reclusione ed Euro 600 di multa.

Secondo l’accusa, l’imputato, dopo avere ricevuto da ignoti due assegni circolari dell’importo complessivo di Euro 1137,10, entrambi emessi dall’Inps e intestati rispettivamente a V.A. e G.M. li aveva posti all’incasso sostituendo i nominativi dei beneficiari in un caso con le proprie generalità, nell’altro con quelle di " S.V.". Il tribunale aveva ritenuto carente la prova della responsabilità dell’imputato sul rilievo che lo stesso vantava a propria volta una legittima aspettativa di ricevere somme di denaro dall’INPS a titolo di assegno di disoccupazione, ma la Corte di Appello rilevava che la riferibilità dei fatti all’imputato era indiscutibile, sulla base del criterio dell’interesse, così come ad un attento esame, risultavano ancora sui titoli le tracce della loro falsificazione, essendo rimaste leggibili alcune lettere dei nominativi dei reali beneficiari, circostanza che escludeva un "autonomo" errore dei funzionari di banca che avevano proceduto al pagamento degli assegni.

La difesa propone quattro motivi:

1) Inosservanza o erronea applicazione della legge penale n relazione agli artt. 648, 485 e 640 c.p.. La sentenza sarebbe viziata "nel momento in cui non ha considerato le concrete modalità della condotta dell’imputato, il quale ha semplicemente reperito nella propria corrispondenza gli assegni a lui intestati e H ha portati all’incasso"; non vi sarebbe prova alcuna i delitti presupposti nè della responsabilità dell’imputato nella falsificazione dei titoli;

2) Inosservanza ed erronea applicazione della legge penale in relazione all’art. 192 c.p.p.; gli indizi a carico dell’imputato non sarebbero dotati della forza dimostrativa richiesta per un giudizio di condanna, dal momento che l’indicazione di prova desumibile dalla trascrizione del nominativo dell’imputato o di generalità analoghe, sui titoli in contestazione, sarebbe rimasta del tutto isolata in contrasto con i limiti di valorizzazione probatoria degli indizi fissati dall’art. 192 c.p.p.;

3) Inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità, inutilizzabilità e inammissibilità o decadenza; violazione e/o falsa applicazione dell’art. 438 c.p.p.. La Corte di merito avrebbe illegittimamente disposto un’integrazione probatoria per acquisire gli originali degli assegni, in contrasto con la natura di giudizio allo stato degli atti del rito abbreviato;

4) Mancanza e/o contraddittorietà e/o manifesta illogicità della motivazione riguardo alle ragioni della riforma della sentenza di primo grado. La Corte territoriale avrebbe da una parte affermato che il ricorrente era stato autore di una complessa macchinazione criminosa; dall’altra avrebbe rilevato l’"approssimazione" del procedimento di alterazione degli assegni. Giudici di appello non avrebbero inoltre considerato che l’imputato non aveva incamerato gli assegni sine titulo, ma era in attesa di assegni circolari da parte dell’Inps e aveva legittimamente pensato che si trattasse di titoli a lui diretti.

Motivi della decisione

Il ricorso è manifestamente infondato.

La valutazione della sufficienza delle prove a carico dell’imputato è più che fondata sul piano logico-giuridico, nella motivazione della sentenza impugnata, sulle circostanze del fatto ricordate in premessa, rispetto alle quali costituiscono anzi significative ammissioni le deduzione difensive volte a dimostrare la "fortuita" ricezione degli assegni da parte dell’imputato.

La falsificazione dei titoli è affermata dai giudici di appello sulla base delle tracce della compilazione "originale", mentre è indiscutibile l’identificazione del ricorrente come l’unico interessato all’illecita negoziazione dei titoli, di cui riuscì ad incassare l’importo.

Non si comprende infine perchè il fatto che l’imputato fosse a sua volta in attesa di assegni previdenziali dovrebbe escludere il dolo, già a partire dal movente dell’azione criminosa, lo scopo di lucro non potendo certo essere "neutralizzato" dall’aspettativa di modeste provvidenze, nè tale aspettativa potendo giustificare la presunta buona fede dell’autore della falsificazione e della negoziazione di titoli intestati a terzi.

Alla stregua delle precedenti considerazioni, il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 alla Cassa delle Ammende, commisurata all’effettivo grado di colpa dello stesso ricorrente nella determinazione della causa di inammissibilità.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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