T.A.R. Puglia Bari Sez. III, Sent., 15-12-2011, n. 1884 Bellezze naturali e tutela paesaggistica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Espone in fatto la sig.ra I.M.M. di essere proprietaria, unitamente al coniuge, sig. Raffaele Sacco, di un suolo sito nel Comune di Vico del Gargano, contrada Particchiano, distinto in catasto al fg. 15, p.lle 3, 5 e 83, ricadente in zona E4 del vigente strumento urbanistico, sul quale insiste un fabbricato rurale composto da un seminterrato con annessa grotta ed un sovrastante piano terra.

Riferisce che, a seguito dell’acquisto del suddetto suolo, nell’anno 1991 essa aveva effettuato dei lavori di risanamento conservativo e di manutenzione straordinaria sul piano terra del fabbricato; che nel corso di tale intervento aveva inoltre posto in essere un lieve aumento di superficie al solo piano terra, pari a circa 20 mq., aumento reso necessario al fine di consentire un completo ripristino funzionale dell’immobile.

Espone altresì che, avendo effettuato i citati lavori in assenza di titolo edilizio, in data 10 dicembre 2004 aveva presentato una domanda di sanatoria ai sensi della legge n, 326 del 2003, anche ai fini paesaggistici, in quanto l’area di sua proprietà è assoggettata a vincolo paesaggistico ed idrogeologico e rientra in un ambito di valore relativo D nel vigente PUTT; che l’amministrazione comunale, subdelegata all’adozione delle autorizzazioni concernenti i suddetti vincoli, con nota prot. n. 6248 del 12 luglio 2006, aveva espresso parere favorevole ai sensi della l.r. n. 5 del 1996 e con successiva nota del 13 luglio 2006 aveva concesso l’autorizzazione in sanatoria, anche ai fini paesaggistici.

Riferisce infine che con provvedimento del 15 settembre 2006, mai notificato ad essa ricorrente, la competente Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio delle Province di Bari e Foggia aveva annullato l’autorizzazione paesaggistica emessa dal Sindaco.

La sig.ra I. ha, quindi, proposto il presente ricorso, ritualmente notificato il 4 dicembre 2006 e depositato nella Segreteria del Tribunale il 29 dicembre 2006, con il quale ha chiesto l’annullamento del decreto prot. n. 6008 del 15 settembre 2006, non notificato ad essa ricorrente, con il quale il Soprintendente ad interim per i Beni Architettonici e per il Paesaggio delle Province di Bari e Foggia ha annullato "il provvedimento del 13.7.2006 a firma del Sindaco del Comune di Vico del Gargano (Fg) con cui si rilascia l’autorizzazione prevista dal Decreto Legislativo n. 42/2004 e dalla L.R. 56/80, dall’art. 1 della L.R. n. 5/96, in sanatoria di cui alla legge 326/2003 e s.m.i. per demolizione e ricostruzione con ampliamento di un vecchi fabbricato rurale in contrada Particchiano".

A sostegno del ricorso sono state articolate le seguenti censure: in via principale 1) violazione e falsa applicazione dell’art 32 della legge n. 326 del 2003, violazione e falsa applicazione dell’art 32 della legge n. 47 del 1985, violazione e falsa applicazione degli artt. 146 e ss. del d.lgs. n. 427 del 2004, eccesso di potere per travisamento dei presupposti di fatto e di diritto, per difetto di istruttoria e di motivazione; in via subordinata 2) eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione, travisamento dei presupposti di fatto e di diritto, ulteriore violazione dell’art 32 della legge n. 326 del 2003, violazione del principio di proporzionalità, violazione degli artt. 7 e ss. della legge n. 241 del 1990; la sig.ra I. ha chiesto, in via istruttoria, che venisse disposta una consulenza tecnica d’ufficio, al fine di acclarare l’effettiva natura e consistenza dei lavori sa essa effettuati.

Si è costituito a resistere in giudizio il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio delle Province di Bari e Foggia, a mezzo dell’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Bari, chiedendo il rigetto del gravame.

Entrambe le parti hanno prodotto documentazione ed hanno presentato una memoria per l’udienza di discussione.

Alla udienza pubblica del 24 novembre 2011 la causa è stata chiamata e assunta in decisione.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato e va come tale respinto.

Con il primo motivo di ricorso la sig.ra M.M. I. deduce le seguenti censure: violazione e falsa applicazione dell’art 32 della legge n. 326 del 2003, violazione e falsa applicazione dell’art 32 della legge n. 47 del 1985, violazione e falsa applicazione degli artt. 146 e ss. del d.lgs. n. 427 del 2004, eccesso di potere per travisamento dei presupposti di fatto e di diritto, per difetto di istruttoria e di motivazione.

La ricorrente lamenta che per la Soprintendenza nelle zone vincolate sarebbero suscettibili di sanatoria i soli interventi rientranti nelle tipologie 4, 5 e 6 dell’All. 1 alla legge n. 326 del 2003, interpretazione che ad avviso di essa ricorrente sarebbe del tutto erronea, ben potendo riguardare anche le tipologie dei c.d. abusi maggiori previsti dai nn. 13 del citato allegato; in particolare dalla normativa richiamata si evincerebbe che sulle aree assoggettate a vincolo c.d. relativo, dovrebbe ritenersi ammessa la sanatoria di tutte le tipologie di abuso.

Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente deduce in via subordinata le seguenti censure: eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione, travisamento dei presupposti di fatto e di diritto, ulteriore violazione dell’art 32 della legge n. 326 del 2003, violazione del principio di proporzionalità, violazione degli artt. 7 e ss. della legge n. 241 del 1990.

La ricorrente in via subordinata rileva che, pur accedendo alla opzione interpretativa della Soprintendenza, il provvedimento impugnato sarebbe comunque illegittimo in quanto l’intervento da essa realizzato sarebbe riconducibile ad una tipologia di abusi c.d. minori dovendo correttamente qualificarsi intervento di manutenzione straordinaria e risanamento conservativo; erroneamente il tecnico che ha predisposto la domanda, nella relativa relazione tecnica allegata, lo avrebbe qualificato di demolizione e ricostruzione; la Soprintendenza avrebbe semmai dovuto escludere dalla sanatoria solo il modestissimo ampliamento del piano terra, pari a soli 20 mq. e non di mq. 45,78, come erroneamente dichiarato dal suddetto tecnico nella stessa relazione tecnica allegata alla domanda di sanatoria; la sig.ra I. ha chiesto, in via istruttoria, che venisse disposta una consulenza tecnica d’ufficio, al fine di acclarare l’effettiva natura e consistenza dei lavori da essa effettuati; ha infine lamentato il mancato avvio della comunicazione del procedimento di annullamento da parte della Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio delle Province di Bari e Foggia.

I due motivi di ricorso, sia quello proposto in via principale che quello proposto in via subordinata, che il Collegio ritiene opportuno esaminare congiuntamente al fine di una completa analisi della vicenda dedotta nel presente giudizio, sono privi di pregio.

Premesso che non è oggetto di contestazione nella fattispecie oggetto di gravame che l’immobile oggetto della domanda di condono per cui è causa insiste su un sito sottoposto sia a vincolo paesaggistico che idrogeologico, il Collegio ritiene che legittimamente la Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio delle Province di Bari e Foggia abbia adottato il decreto prot. n. 6008 del 15 settembre 2006, oggetto del presente gravame, con il quale ha provveduto ad annullare il provvedimento di sanatoria "per demolizione e ricostruzione con ampliamento di un vecchio fabbricato rurale in contrada Particchiano"del 13 luglio 2006, adottato del Sindaco del Comune di Vico del Gargano, richiesto ai sensi del decretolegge 30 settembre 2003, n. 269, convertito dalla legge 24 novembre 2003, n. 326.

Il Collegio ritiene utile, preliminarmente, focalizzare la regola di diritto da applicare alla fattispecie in esame.

L’art. 27 lettera d) del decretolegge 30 settembre 2003, n. 269, convertito dalla legge 24 novembre 2003, n. 326 dispone: "Fermo restando quanto previsto dagli articoli 32 e 33 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, le opere abusive non sono comunque suscettibili di sanatoria, qualora:…. d) siano state realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesistici, nonché dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali qualora istituiti prima della esecuzione di dette opere, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici;".

Come ha riconosciuto la Corte costituzionale (sentenza n. 196 del 2004), l’oggetto fondamentale dell’art. 32, commi 2527, del d.l. n. 269 del 2003, convertito nella legge n. 326 del 2003, è la previsione e la disciplina di un nuovo condono edilizio esteso all’intero territorio nazionale, di carattere temporaneo ed eccezionale rispetto all’istituto a carattere generale e permanente del "permesso di costruire in sanatoria", disciplinato dagli artt. 36 e 45 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia), ancorato a presupposti in parte diversi e comunque sottoposto a condizioni assai più restrittive.

Si tratta, peraltro, di un condono che si ricollega sotto molteplici aspetti ai precedenti condoni edilizi che si sono succeduti dall’inizio degli anni ottanta: ciò è reso del tutto palese dai molteplici rinvii contenuti nell’art. 32 alle norme concernenti i precedenti condoni, ma soprattutto dal comma 25 dell’art. 32, il quale espressamente rinvia alle disposizioni dei "capi IV e V della legge 28 febbraio 1985, n. 47, e successive modificazioni e integrazioni, come ulteriormente modificate dall’art. 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, e successive modificazioni e integrazioni", disponendo che tale normativa, come ulteriormente modificata dal medesimo art. 32, si applica "alle opere abusive" cui la nuova legislazione appunto si riferisce. Attraverso questa tecnica normativa, consistente nel rinvio alle disposizioni dell’istituto del condono edilizio come configurato in precedenza, si ha una saldatura fra il nuovo condono ed il testo risultante dai due precedenti condoni edilizi di tipo straordinario, cui si apportano peraltro alcune innovazioni.

La giurisprudenza ordinaria e amministrativa ormai consolidata, già fatta propria anche da questa Sezione e dalla quale il Collegio non ha motivo di discostarsi, (ex multis, Cass. Penale, Sezione III, n. 24647 del 2009 e Consiglio di Stato, Sezione VI, n. 1200 del 2010, T.A.R. Puglia, Bari, Sezione III, 25 maggio 2011, n. 805), ha riconosciuto che, ai sensi del suddetto art. 32, comma 27, lettera d), sono sanabili le opere abusive realizzate in aree sottoposte a specifici vincoli (tra cui quello idrogeologico, ambientale e paesistico) purché ricorrano "congiuntamente" determinate condizioni:

che si tratti di opere realizzate prima dell’imposizione del vincolo; in proposito la Corte Costituzionale (ordinanza n. 150 del 2009) ha negato che debba trattarsi solo dei vincoli che comportino l’inedificabilità assoluta;

che, pur realizzate in assenza o in difformità del titolo edilizio, siano conformi alle prescrizioni urbanistiche;

che siano opere di minore rilevanza, corrispondenti alle tipologie di illecito di cui ai nn. 4, 5 e 6 dell’allegato 1 del d.l. n. 269 del 2003 (restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria) senza quindi aumento di superficie;

che vi sia il previo parere favorevole dell’autorità preposta al vincolo.

Applicando tale giurisprudenza, che richiede la sussistenza congiunta di tutte le citate condizioni per escludere l’applicabilità del condono in riferimento alle opere realizzate in zone vincolate, il Collegio deve evidenziare che nella fattispecie oggetto di gravame, dagli atti depositati in giudizio e come peraltro ammesso dalla stessa ricorrente nella relazione tecnica allegata alla domanda di sanatoria e nel ricorso stesso, l’intervento oggetto della richiesta di sanatoria comprende anche un ampliamento del piano terra, in disparte la questione se di 20 mq. come risultante dalla planimetria depositata in giudizio o di mq. 45,78, come sarebbe stato erroneamente dichiarato dal tecnico nella stessa relazione tecnica, secondo la prospettazione di parte ricorrente.

Tale ampliamento, che peraltro ad avviso del Collegio lungi dall’essere di poco conto, come sostenuto da parte ricorrente, in quanto nella planimetria allegata, ove è indicato della misura di mq. 21,81, esso è altresì indicato quale soggiorno dell’abitazione, costituisce la circostanza risolutiva per ritenere che l’intervento per cui è causa non possa rientrare tra le tipologie di abusi di cui ai nn. 4, 5 e 6 dell’allegato 1 del d.l. n. 269 del 2003, soprarichiamati (cfr. in proposito anche Corte Costituzionale sentenza del 6 novembre 2009, n. 290); pertanto deve ritenersi infondato anche il motivo proposto da parte ricorrente in via subordinata, laddove la ricorrente prospetta l’inquadramento dell’abuso per cui è causa nell’ambito dei c.d. abusi minori.

Né è condivisibile la prospettazione di parte ricorrente laddove sostiene che il Comune avrebbe semmai dovuto escludere dalla sanatoria l’ampliamento del piano terra, da essa ritenuto, come detto di "soli 20 mq." concedendo quindi una sanatoria parziale.

Al riguardo, secondo un costante condivisibile orientamento giurisprudenziale, richiamato da parte resistente (cfr. ex multis Consiglio di Stato, Sezione V, 3 luglio 2003, n. 3974), l’opera edilizia abusiva va identificata, ai fini della concessione in sanatoria, con riferimento all’unitarietà dell’edificio realizzato, ove sia stato realizzato dal costruttore in esecuzione di un disegno unitario, restando irrilevante, ai fini che qui rilevano, il suo preteso frazionamento in distinte porzioni, a meno che non risulti concretamente giustificato dall’effettiva autonomia della consistenza di ciascuna.

In applicazione di tali principi di diritto, correttamente fondati sul rilievo dell’inscindibilità dell’opera edilizia caratterizzata da una struttura unitaria, deve escludersi che nella fattispecie in esame sia anche astrattamente possibile una sanatoria parziale, non potendosi dubitare dell’unitarietà e della inscindibilità dell’ampliamento del piano terra dal resto dell’edificio, come risulta sia dalla planimetria che dalla relazione tecnica allegate alla domanda di sanatoria.

Infine, in riferimento al dedotto vizio formale concernente il mancato avvio della comunicazione del procedimento di annullamento da parte della Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio delle Province di Bari e Foggia, il Collegio deve rilevare che, come rappresentato da parte resistente, risulta dagli atti prodotti dalla stessa ricorrente che con nota prot. n. 6254 del 13 luglio 2006 il Comune di Vico del Gargano aveva comunicato per conoscenza alla ricorrente la trasmissione degli atti, ex art. 1 della legge regionale n. 5 del 1996, alla competente Soprintendenza.

Come evidenziato dalla giurisprudenza, la disciplina contenuta nel codice dei beni culturali e del paesaggio (d.lg. 22 gennaio 2004 n. 42) e in particolare l’art. 159, comma 1 (applicabile anche nel caso di rilascio di autorizzazione paesaggistica nell’ambito di un procedimento di condono) consente alla Soprintendenza di omettere la comunicazione di avvio del procedimento relativo all’annullamento dell’autorizzazione comunale, posto che la comunicazione anche agli interessati, da parte dell’amministrazione comunale, dell’invio alla Soprintendenza stessa dell’autorizzazione rilasciata, costituisce avviso di inizio del procedimento, ai sensi e per gli effetti della legge n. 241 del 1990 (cfr. ex multis T.A.R Campania, Napoli, Sezione III, 2 marzo 2011, n. 1275).

Alla luce di quanto sopra deve concludersi per l’infondatezza anche del dedotto vizio formale sopra specificato.

Conclusivamente, per i suesposti motivi, il ricorso deve essere respinto.

Le spese, secondo la regola della soccombenza, devono porsi a carico della parte ricorrente, nell’importo liquidato nel dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Terza) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna la sig.ra M.M. I. al pagamento delle spese processuali e degli onorari di giudizio, che liquida in Euro. 2.000,00 (duemila/00) in favore del Ministero per i Beni e le Attività Culturali.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 24 novembre 2011 con l’intervento dei magistrati:

Pietro Morea, Presidente

Paolo Amovilli, Referendario

Rosalba Giansante, Referendario, Estensore

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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