T.A.R. Lazio Roma Sez. III ter, Sent., 16-12-2011, n. 9829

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Il sig. D., già impiegato con contratto a tempo determinato presso l’ufficio postale del Comune di Soverato, ha presentato in data 4 agosto 2011 alla società P.I. S.p.a. la richiesta di estrazione di copia conforme:

– 1) del proprio fascicolo personale con particolare riguardo alla copia del contratto individuale di lavoro e del certificato di visita medica esperita di idoneità alla mansione;

– 2) del libro unico del lavoro ex art. 39, d.l. 112/2008 dell’unità produttiva cui il medesimo è stato addetto, relativo al periodo in cui ha prestato servizio (27/04/2011- 30/04/2011);

– 3) numero del personale assunto a tempo determinato e indeterminato durante il periodo in cui ha prestato servizio, nell’anno successivo e al 31 dicembre dell’anno precedente, al fine di verificare la corretta applicazione della normativa che prevede il divieto per P.I. di superare la percentuale del 15% di lavoratori a tempo determinato, rispetto al numero di lavoratori a tempo indeterminato, tenuto presente che la percentuale deve essere relativa esclusivamente ai lavoratori che si occupano del servizio postale universale;

– 4) documento di valutazione dei rischi redatto ai sensi dell’art. 4, d. l. 626/1994 e successive modifiche relativo all’ufficio cui è stato addetto ai fini di quanto previsto dall’art. 3, d. lgs. 368/2001, punto d).

Alla domanda, supportata dalla necessità di accertare la regolarità del proprio contratto di lavoro al fine di adire il giudice del lavoro per ottenere la trasformazione dello stesso da tempo determinato a tempo indeterminato, è stata data una risposta solo parziale, avendo la società P.I. consentito l’accesso con riguardo esclusivo al contratto di lavoro ed al certificato del medico di base, ma non anche al referto reso in occasione della visita per l’assunzione; pertanto, con il ricorso in epigrafe impugna il diniego di accesso, deducendo, al riguardo, la violazione dell’art. 97, Cost.; violazione degli artt. 22, 23 e 25 della legge 241/1990, sotto diversi profili; violazione del d.P.R. 352/1992; mancanza di motivazione; motivazione insufficiente; ingiustizia manifesta; erronea valutazione dei presupposti di fatto e di diritto; violazione del giusto procedimento; eccesso di potere per travisamento dei fatti; difetto di istruttoria; erronea ed insufficiente motivazione.

Ha chiesto, altresì, il risarcimento del danno causato dall’inadempimento di P.I., determinato sia dalla necessità di avvalersi delle prestazioni di un legale sia dalla lesione del diritto tutelato dall’art. 97, Cost., di cui ha chiesto la quantificazione in via equitativa (già indicata nella misura di Euro 1.000,00).

Conclude la parte ricorrente chiedendo, in accoglimento delle spiegate censure, l’annullamento dell’impugnato diniego, e, per l’effetto, l’ordine di esibizione della documentazione richiesta.

Si è costituita in giudizio la società P.I. per eccepire, in via pregiudiziale, l’inammissibilità della introdotta azione, in ragione della natura di soggetto di diritto privato concessionario di servizio pubblico impresso dalle norme succedutesi in materia, quanto all’attività svolta in regime di iure privatorum, ivi compreso le questioni attinenti al rapporto di lavoro di diritto privato.

Nel merito assume la società resistente che, con riferimento al documento richiesto sub 1), lo stesso è stato già consegnato all’istante, come dal medesimo confermato, mentre, con riguardo al certificato relativo alla visita medica per l’assunzione, ha evidenziato come al ricorrente è stato inviato il certificato del medico di base in base a cui si è proceduto alla assunzione, non ritenendo necessari ulteriori accertamenti medici.

Quanto al documento sub 3), ha rilevato che osta all’accoglimento di tale richiesta la circostanza che si tratta di dati non contenuti in un documento formato, e che, comunque la stessa ha ad oggetto dati fluttuanti nel corso dell’anno; infine, quanto alla richiesta sub 2) e 4) ha rilevato che, trattandosi di documenti afferenti la sicurezza degli impianti e delle lavorazioni delle strutture operative, contenenti dati sensibili e riservati sulle opere di sicurezza degli uffici postali, il deposito può essere effettuato solo nell’ambito di un contenzioso giudiziale, a fini difensivi, a fronte di specifiche censure rivolte dalle controparti nel ricorso introduttivo del giudizio.

Chiede, pertanto, il rigetto del ricorso e della connessa istanza risarcitoria.

Alla camera di consiglio del 15 dicembre 2011 la causa è stata trattenuta in decisione.

In via preliminare, deve essere scrutinata l’eccezione sollevata dalla difesa di parte resistente in ragione della natura degli atti di cui è richiesta ostensione, inerenti il rapporto di lavoro alle dipendenze di un soggetto privato gestore di pubblico servizio, che non potrebbero qualificarsi atti amministrativi, in quanto non provenienti da una autorità amministrativa nello svolgimento di una funzione amministrativa.

L’eccezione deve essere disattesa, in coerenza, peraltro, con i precedenti della Sezione da cui non vi è motivo di discostarsi con riferimento alla odierna controversia.

La Sezione ha osservato, invero, come sul punto il giudice di appello ha, ormai, chiarito che le regole dettate in tema di trasparenza della pubblica amministrazione e di diritto di accesso ai relativi atti, predicato dalla legge 7 agosto 1990, n. 241, si applicano non solo alle pubbliche amministrazioni in senso stretto, ma anche ai soggetti privati chiamati all’espletamento di compiti di interesse pubblico, come i concessionari di pubblici servizi, società pubbliche ad azionariato pubblico, etc. (C.d.S., A.P. 5 settembre 2005, n. 5); in particolare, è stato più volte precisato che l’attività amministrativa, cui si correla il diritto di accesso di cui agli articoli 22 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241, concerne non solo quella di diritto amministrativo, ma anche quella di diritto privato posta in essere dai soggetti gestori di pubblici servizi che, pur non costituendo direttamente gestione del servizio, sia collegata a quest’ultima da un nesso di strumentalità anche sul versante soggettivo, dall’intensa conformazione pubblicistica (C.d.S., sez. VI 30 dicembre 2005, n. 7624; 26 gennaio 2006, n. 229; 22 maggio 2006, n. 2959); del resto anche gli atti disciplinati dal diritto privato rientrano nell’attività di amministrazione degli interessi della collettività e dunque sono soggetti ai principi di trasparenza e di imparzialità, non avendo in tal senso la legge stabilito alcuna deroga o zona franca (C.d.S., sez. V, 8 giugno 2000, n. 3253). (cfr. Cons. di Stato, Sez. IV, n. 4645 del 5 settembre 2009).

Tale conclusione trova ulteriore conferma nell’art. 22, comma 1, lett. c) legge n. 241/1990 (come novellato dalla legge n. 15/2005) e nell’art. 2, comma 1, del d.P.R. n. 184/2006, secondo cui il diritto di accesso è esercitatile nei confronti di tutti i "soggetti di diritto pubblico e i soggetti di diritto privato limitatamente alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o comunitario", nonché – secondo la disposizione di cui all’art. 23 della l. n. 241/1990, ora, in parte, ripetitiva della precedente – "delle aziende autonome e speciali, degli enti pubblici e dei gestori di pubblici servizi".

Le norme richiamate tolgono ogni dubbio sulla legittimazione passiva, oltre che dei soggetti pubblici, anche dei soggetti privati che abbiano in gestione l’attività di erogazione di servizi pubblici ed in generale di tutti i soggetti di diritto privato che svolgano attività di pubblico interesse. Quanto agli atti accessibili vi rientrano tutti gli atti che, pur di natura privatistica, siano però riconoscibili sul piano oggettivo come inerenti, in modo diretto o strumentale all’attività di erogazione del servizio.

E’ soggetta, pertanto, alla disciplina in tema di accesso anche l’attività di organizzazione delle forze lavorative, in quanto attività strumentale alla gestione del servizio pubblico affidato al gestore, a nulla rilevando la natura privatistica degli atti di gestione del rapporto di impiego.

Ed invero, anche gli atti incidenti sulle posizioni del personale devono essere sottoposti all’esercizio del diritto di accesso siccome potenzialmente incidenti sulla qualità del servizio stesso; organizzazione che non ha solo riflessi interni, essendo strumentale alla gestione ed all’erogazione del servizio, ossia al soddisfacimento di interessi collettivi cui deve tendere il servizio. Di qui l’esistenza di quelle esigenze di trasparenza su cui si fonda il sistema dell’accesso costruito dalla l. n. 241/1990, e, in particolare, l’art. 22). (cfr Cons. di Stato, Sez. VI, n. 5569/2007 del 23 ottobre 2007)

Con particolare riguardo, poi, all’attività della società P.I., relativa alla gestione del rapporto di lavoro con i propri dipendenti, il giudice di appello ha ritenuto che questa è strumentale al servizio gestito da Poste ed incide, potenzialmente, sulla qualità di un servizio il cui rilievo pubblicistico va valutato tenendo conto non solo della dimensione oggettiva, ma anche di quella propriamente soggettiva di P.I., dovendosi, di conseguenza, ritenere che anche detta società è soggetta alla disciplina in tema di accesso, sia pure nei limiti già precisati sopra. (cfr. Cons. di Stato, Sez. VI, n. 5987 del 2 ottobre 2009)

Con riferimento alla controversia in esame, in cui appunto l’accesso è stato richiesto in relazione alla predetta attività di organizzazione delle forze lavorative e quindi del servizio postale, è senz’altro applicabile la disciplina in materia di accesso ai documenti amministrativi dettata dalla legge n. 241 del 1990, di talché il ricorso è, sotto il sollevato profilo, senz’altro ammissibile.

Nel merito, poi, il ricorso si dimostra fondato.

Come sopra esposto, alla richiesta di accesso presentata dalla parte ricorrente la società resistente non ha fatto seguire un esplicito provvedimento negativo, essendosi limitata ad inviare al medesimo solo parte della documentazione richiesta; peraltro, la società P.I., in sede difensiva, ha esplicitato le ragioni ostative all’accesso ai documenti richiesti dal ricorrente.

E’ principio consolidato che il giudizio in materia di accesso ai documenti di cui all’art. 25, legge 7 agosto 1990, n. 241, anche se si atteggia come impugnatorio – dovendo essere presentato il ricorso nel termine perentorio di 30 giorni ed essendo rivolto contro l’atto di diniego od il silenzio diniego formatosi sulla relativa istanza – è, in sostanza, rivolto ad accertare la sussistenza o meno del titolo all’accesso nella specifica situazione alla luce dei parametri normativi, indipendentemente dalla maggiore o minore correttezza, ovvero, completezza, delle ragioni addotte dall’Amministrazione per giustificare il diniego, tanto è vero che, anche nel caso di impugnativa del silenzio diniego, come nella fattispecie in esame, la parte resistente può dedurre in giudizio le ragioni che precludono all’interessato di avere copia o di visionare i relativi documenti e la decisione da assumere, che deve comunque accertare la sussistenza o meno del titolo all’esibizione (ai sensi dell’ ultimo comma art. 25 cit.), si deve formare tenendo conto anche di tali deduzioni. (cfr. Cons. di stato, V Sez., 11 maggio 2004, n. 2966)

Tanto precisato, le ragioni, come esplicitate da P.I. nella memoria difensiva, non possono essere condivise, atteso che il ricorrente è titolare di un interesse giuridicamente rilevante alla conoscenza della documentazione presente nel proprio fascicolo personale oltre che di quella necessaria per instaurare una eventuale controversia innanzi al Giudice del lavoro finalizzata a dimostrare l’ingiustificato ricorso ad assunzioni a tempo determinato e la presenza delle circostanze per il riconoscimento del diritto ad un rapporto di lavoro a tempo indeterminato.

In ragione di quanto sopra, la società P.I., pacificamente detentrice degli atti richiesti, non può limitare il diritto di accesso, essendo quegli stessi atti direttamente riferibili alla tutela di un interesse personale e concreto del ricorrente.

Quanto alla eccepita impossibilità di assentire la richiesta relativa "al numero del personale assunto a tempo determinato e indeterminato durante il periodo in cui ha prestato servizio, nell’anno successivo e al 31 dicembre dell’anno precedente, al fine di verificare la corretta applicazione della normativa che prevede il divieto per P.I. di superare la percentuale del 15% di lavoratori a tempo determinato, rispetto al numero di lavoratori a tempo indeterminato, tenuto presente che la percentuale deve essere relativa esclusivamente ai lavoratori che si occupano del servizio postale universale" trattandosi di dati non contenuti in un documento formato e comunque fluttuanti deve essere precisato che, con riferimento alla richiesta relativa ai dati inerenti al periodo in cui il ricorrente ha prestato servizio, e quelli riferibili all’anno precedente, si tratta certamente di dati ormai definiti ed in ordine ai quali le difficoltà interposte in realtà non sussistono; circa il rilievo, secondo cui il diritto di accesso non potrebbe implicare l’elaborazione di dati, va precisato che P.I. deve, ove non sia già in possesso di dati aggregati e ritenga di non essere in grado di aggregarli senza eccessivo dispendio, comunque consentire l’accesso a tutti i dati richiesti disaggregati, mettendo a disposizione dell’interessato tutti i documenti necessari affinché l’opera di aggregazione sia compiuta a cura del medesimo.

Avuto riguardo, poi, alla richiesta relativa al "libro unico del lavoro ex art. 39, d.l. 112/2008 dell’unità produttiva cui il medesimo è stato addetto, relativo al periodo in cui ha prestato servizio (11/02/2011- 31/03/2011)" ed al "documento di valutazione dei rischi redatto ai sensi dell’art. 4, d. l. 626/1994 e successive modifiche relativo all’ufficio cui è stato addetto ai fini di quanto previsto dall’art. 3, d. lgs. 368/2001, punto d)" la società P.I. fa presente che sarebbero sottratti all’accesso diretto di chi ne ha interesse, trattandosi di documenti afferenti la sicurezza degli impianti e delle lavorazioni delle strutture operative, contenenti dati sensibili e riservati sulle opere di sicurezza degli uffici postali, mentre il deposito di tali atti può essere effettuato solo nell’ambito di un contenzioso giudiziale, a fini difensivi, a fronte di specifiche censure rivolte dalle controparti nel ricorso introduttivo del giudizio.

Osserva, in proposito, il Collegio che, con decreto ministeriale 24 agosto 1999 – che non risulta medio tempore modificato o integrato – il Ministero delle Comunicazioni ha approvato la delibera del consiglio di amministrazione della società P.I. per azioni, con cui sono stati determinati i casi di esclusione del diritto di accesso ai documenti della medesima società, e, tra questi, non figurano gli atti di cui si vuole ora negare l’accesso, invocando esigenze di riservatezza.

Ed invero, l’art. 2, lett. d), del richiamato decreto ministeriale del 1999 sottrae dall’accesso i documenti relativi alla progettazione ed alla realizzazione di opere di sicurezza riguardanti gli edifici, gli stabilimenti e gli uffici della società, mentre oggetto di richiesta è la documentazione da cui risulti che sia stata effettuata la valutazione dei rischi ai sensi dell’articolo 4 del d. lgs. 19 settembre 1994, n. 626, onde valutare l’ammissibilità della apposizione del termine alla durata del contratto di lavoro subordinato del ricorrente, oltre al libro unico di lavoro dell’unità cui il medesimo è stato assegnato e per il solo periodo di svolgimento del servizio (11/02/2011- 31/03/2011).

Ritiene il Collegio che non può essere legittimamente opposto in sede contenziosa, quale ragione ostativa all’esercizio del diritto fatto valere dal ricorrente con l’istanza del giungo 2011, un generico richiamo ad esigenze di tutela di riservatezza, che, ove sussistenti in via astratta e generalizzata, avrebbero certamente trovato adeguata considerazione nella disciplina che la stessa società ha ritenuto di predisporre a tali fini.

Peraltro, deve essere aggiunto che, ove la società ritenga che dalla ostensione della documentazione di cui sopra emerga, in concreto, l’esigenza di tutela della riservatezza, questa può essere comunque garantita attraverso l’esplicazione di particolari modalità di accesso, quale il ricorso alla copertura dei dati non strettamente necessari alla tutela degli interessi del ricorrente, in relazione alle ragioni specificamente enunciate a suffragio dell’istanza di accesso, e/o alla sola visione degli atti, senza estrazione di copia degli stessi.

In conclusione, quanto al capo di domanda relativo all’accesso, dato atto che la società P.I. ha consentito l’accesso limitatamente alla copia del contratto individuale di lavoro e del certificato di visita medica esperita all’atto dell’assunzione, lo stesso deve essere accolto, con riveniente ordine di esibizione degli altri atti richiesti con la domanda del 4 agosto 2011, giusta quanto in parte dispositiva.

Quanto, invece, al capo di domanda relativo all’accertamento del diritto al risarcimento del danno derivante dal diniego di accesso, lo stesso deve essere stralciato, essendo soggetto al rito ordinario.

Pertanto, al fine di consentire che lo stesso venga trattato ed esaminato in udienza pubblica, la parte ricorrente dovrà formulare apposita istanza di fissazione di udienza per la discussione dello stesso ricorso, secondo quanto stabilito dall’art. 71, c.p.a..

Le spese del giudizio seguono la soccombenza giusta liquidazione in dispositivo;

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione Terza Ter, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto,

– accoglie il primo capo di domanda, e, per l’effetto, ordina, ai sensi dell’art.25, legge 7 agosto 1990, n.241, alla società P.I. S.p.a., in persona del legale rappresentante p. t., di esibire al ricorrente gli atti richiesti con l’istanza del 4 agosto 2011, di cui non è stato consentito l’accesso;

– dispone lo stralcio del secondo capo di domanda, onerando parte ricorrente di presentare rituale istanza di fissazione d’udienza, come specificato in parte motiva;

– condanna la società P.I. S.p.a., in persona del legale rappresentante p. t. alla refusione delle spese di lite in favore del ricorrente, liquidate forfetariamente in complessivi Euro 1.000,00 (mille/00).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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