Cass. civ. Sez. III, Sent., 18-05-2012, n. 7931 Prelazione e riscatto Uso non abitativo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Matera – pronunciando nella sezione distaccata di Pisticci il 12 maggio 2009 – rigettava la domanda del Consorzio Agrario Regionale della Lucania, proposta contro la Parrocchia S. Antonio di Padova di (OMISSIS), tendente ad ottenere, previo riconoscimento del suo diritto di prelazione, il riscatto dell’immobile, che era stato concesso in locazione ad esso Consorzio per uso commerciale dalla Federconsorzi e che era stato, invece, trasferito alla Parrocchia il 18 maggio 1998, nell’ambito della procedura concorsuale di concordato preventivo con cessione dei beni ai creditori, procedura cui era stata, intanto, assoggettata la stessa Federconsorzi.

La domanda di riscatto urbano era stata proposta dal Consorzio Agrario Regionale della Lucania, all’epoca ancora in bonis, ed il relativo giudizio era stato successivamente riassunto dalla curatela dopo che il tribunale di Potenza ne aveva dichiarato il fallimento con sentenza del 25 maggio 2006.

Giudicando sul gravame principale della curatela del fallimento del Consorzio Agrario Regionale della Lucania e su quello incidentale della Parrocchia S. Antonio di Padova, la Corte di appello di Potenza, con la sentenza del 29 dicembre 2009, quivi denunciata, rigettava entrambe le impugnazioni, all’uopo considerando, ai fini che ancora interessano, che, a seguito del fallimento del Consorzio conduttore, erano venute meno le condizioni cui la legge subordina la sussistenza del diritto di prelazione del conduttore, dato che, in conseguenza dell’intervenuto suo fallimento, era cessata la ratio stessa giustificativa del diritto di prelazione urbana, identificata – secondo quanto affermato dal giudice delle leggi (Corte cost., n. 128/1983) – nello scopo di assicurare la continuità, anche nel pubblico interesse, delle imprese considerate.

Avverso siffatta decisione ha proposto ricorso per cassazione la curatela del Consorzio Agrario Regionale della Lucania, che ha affidato l’impugnazione a due mezzi di doglianza.

Ha resistito con controricorso la Parrocchia S. Antonio di Padova di (OMISSIS), che ha proposto impugnazione incidentale condizionata, basata su tre motivi.

Motivi della decisione

I ricorsi, impugnazioni distinte della medesima sentenza, sono riuniti (art. 335 cod. proc. civ.).

1. – Con il primo motivo d’impugnazione – deducendo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e la falsa applicazione delle norme di cui alla L. n. 392 del 1978, artt. 38 e 39, art. 43, L. Fall. e art. 111 cod. proc. civ. – la curatela ricorrente principale:

lamenta, anzitutto, che il giudice del merito avrebbe fatto erronea applicazione dell’istituto di cui all’art. 111 cod. proc. civ.;

assume che detta norma non era stata correttamente applicata e violata laddove il giudice del merito aveva escluso che la curatela potesse automaticamente subentrare nel rapporto giuridico controverso in corso, avente ad oggetto il diritto di riscatto dell’immobile locato, secondo la pretesa che il Consorzio conduttore aveva introdotto prima del suo fallimento;

censura, altresì, la conclusione cui è pervenuto il giudice del merito, secondo cui il sopravvenuto fallimento del conduttore – facendo venir meno la stessa possibilità che nell’immobile locato potesse continuare a darsi seguito all’attività commerciale ivi già svolta – impedirebbe anche l’esercitato diritto di riscatto, dato che le condizioni per affermarne la fondatezza dovrebbero sussistere anche al momento della pronuncia della sentenza ricognitiva, non bastando che esse preesistano all’atto della relativa domanda;

sostiene che le condizioni per l’esercizio della facoltà di riscatto vanno, invece, riscontrate nel momento in cui essa viene esercitata mediante la relativa dichiarazione.

Con il secondo mezzo di doglianza, sulla scorta delle deduzioni svolte con il primo motivo del ricorso, la curatela critica, altresì, l’impugnata sentenza nella, parte in cui il giudice del merito, per un verso, ha sostenuto che il diritto dell’acquirente alla conservazione degli effetti dell’alienazione a suo favore debba prevalere sull’interesse dei creditori ad ottenere un maggior soddisfacimento delle loro pretese nella sede fallimentare; e, per altro verso, ha enunciato che il limite all’autonomia privata, posto dall’attribuzione al conduttore del diritto di prelazione e del succedaneo diritto di riscatto (della L. n. 392 del 1978, artt. 38 e 39) si giustifica solo qualora vi sia la protrazione ininterrotta nell’immobile locato dell’attività commerciale pregressa, il che non accade quando, siccome si è verificato nella fattispecie in esame, l’esercizio di detta attività si sia interrotto e sia venuto meno, nel corso del giudizio di riscatto, per effetto del sopraggiunto fallimento del conduttore.

2. – Come risulta dall’impugnata sentenza, sono pacifiche in fatto le seguenti circostanze:

a) l’alienazione dell’immobile di proprietà della Federconsorzi, condotto in locazione dal Consorzio, era avvenuta nell’ambito del concordato preventivo con cessione dei beni ai creditori, procedura concorsuale cui era stata assoggettata la stessa Federconsorzi locatrice;

b) il bene locato, in data 18 maggio 1998, per il tramite del nominato liquidatore società S. G. R., era stato trasferito alla Parrocchia S. Antonio di Padova di (OMISSIS) e l’atto era stato trascritto il 29 maggio 1998;

c) della suddetta alienazione non era stata effettuata al Consorzio conduttore dell’immobile la denuntiatio di cui alla L. n. 392 del 1978, art. 38;

d) il Consorzio, ai sensi della L. n. 392 del 1978, art. 39 aveva introdotto innanzi al tribunale il giudizio di retratto nei confronti della Parrocchia acquirente;

e) il giudizio, a seguito del sopravvenuto fallimento del medesimo Consorzio conduttore, era stato riassunto dal curatore del fallimento stesso.

3. – Tanto premesso, rileva questa Corte che le censure di cui ai mezzi di impugnazione del ricorso principale – da esaminare congiuntamente essendone evidente la logica connessione – sono da condividere, dato che il giudice del merito è incorso certamente nei denunciati vizi in iudicando.

3.1. – Quanto alla pretesa violazione delle norme di cui all’art. 111 cod. proc. civ. e art. 43, L. Fall. – premesso, in via generale, che ai sensi del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 80 la prosecuzione del rapporto locativo dopo il fallimento del conduttore comporta il subingresso del curatore nei relativi diritti ed obblighi contrattuali (ex plurimis: Cass., n. 17000/2004; Cass., n. 10750/1998; Cass., n. 6237/1991; Cass., n. 11397/1990) – è, anzitutto, da osservare che la facoltà di retratto della L. n. 392 del 1978, ex art. 39 di cui il conduttore si sia avvalso prima della dichiarazione del suo fallimento, mirando ad ottenere la sostituzione nell’acquisto con effetti ex tunc del retraente al retrattato acquirente contra jus praelationis (da ultimo: Cass., n. 25230/2011;

Cass., n. 28907/2008; Cass., n. 410/2006), riguarda una ipotesi che, per il suo contenuto squisitamente patrimoniale, rientra certamente nella previsione dell’art. 43, L. Fall..

Di conseguenza, il fallito, che pure conserva la titolarità dei rapporti patrimoniali compresi nel fallimento, non può personalmente continuare a mantenere la veste di parte processuale davanti al giudice già da lui adito con l’azione della L. n. 392 del 1978, ex art. 39 essendo demandata la legittimazione, in ordine a detto rapporto, al curatore del suo fallimento, cui spetta, pertanto, ove ne abbia interesse, proseguire il giudizio ai sensi proprio dell’art. 43, L. Fall..

Il che è quanto puntualmente è avvenuto nell’ipotesi all’esame di questa Corte, in cui il giudizio per il retratto urbano è stato riassunto dal curatore fallimentare, il quale in tal modo ha dimostrato anche che sussisteva l’interesse della curatela, a tutela dei creditori, ad acquisire alla massa attiva anche l’immobile oggetto del riscatto, volta che fosse intervenuta pronuncia giudiziale dichiarativa della fondatezza della proposta istanza del conduttore, cui, ai sensi della L. n. 392 del 1978, art. 38 non era stata data comunicazione della denuntiatio.

Contrariamente alla tesi sostenuta dalla sentenza della Corte territoriale (erroneamente fondata sull’inammissibile argomento dell’assimilazione tra il regime dell’indennità per l’avviamento commerciale e quello della prelazione urbana) deve, poi, affermarsi che alla pronuncia di accoglimento della domanda di riscatto, avanzata dal Consorzio, non poteva essere di ostacolo la circostanza che, per effetto dell’intervenuto fallimento del conduttore, non sarebbe stato più possibile – nè da parte dello stesso Consorzio, nè ad opera della curatela fallimentare – continuare quella medesima attività commerciale d’impresa, alla cui conservazione la L. n. 392 del 1978 ha predisposto gli istituti specifici del diritto di prelazione e di riscatto a favore del conduttore pretermesso.

In consonanza con il risalente principio, pacifico in dottrina ed in giurisprudenza, (per tutte: Cass., Sez. Un., n. 13757/1991) – a mente del quale è sentenza dichiarativa di mero accertamento quella che, in accoglimento della domanda di riscatto, da atto della già avvenuta sostituzione ex tunc del titolare della prelazione al terzo acquirente – il giudice del merito non avrebbe dovuto negare la facoltà di riscatto perchè le condizioni per esercitarla, sussistenti al momento in cui la relativa domanda era stata introdotta, erano poi venute meno nel corso del giudizio.

In tema di prelazione agraria, invero, costante è l’indirizzo di questo giudice di legittimità secondo cui le condizioni di validità del retratto vanno accertate con riferimento al momento in cui sorge la relativa facoltà del conduttore – a seguito dell’atto di alienazione al terzo in violazione del diritto di prelazione, oppure nel momento in cui essa viene esercitata con la dichiarazione di volere riscattare l’immobile comunicata dal retraente al retrattato – senza che il giudice debba verificare la persistenza dei requisiti previsti dalla legge per tutto il corso della causa, dalla sua proposizione sino al momento dell’emanazione della sentenza (da ultimo: Cass., n. 3010/2012; Cass., n. 14448/2005; Cass., n. 10972/2004; Cass., n. 4842/2003; Cass., n. 6401/1999).

Ed il principio suddetto, per l’assoluta identità di ratio, risulta certamente praticabile anche nella disciplina propria della prelazione urbana.

Dalla fondatezza delle censure rivolte dalla ricorrente principale curatela, tuttavia, non può derivare la cassazione dell’impugnata sentenza, dovendo, invece, essere confermata l’adottata statuizione di rigetto della domanda di riscatto, previa correzione della motivazione nei termini sopra indicati (quanto alla valida riassunzione del giudizio da parte della curatela del fallimento del Consorzio conduttore e quanto alla irrilevanza della sopravvenuta mancanza dei requisiti di legge ai fini della dichiarazione di avvenuto riscatto) e sostituzione, a quella data dalla Corte territoriale, della diversa ed esatta motivazione di cui si dirà appresso.

Il tutto secondo la disciplina dell’art. 384 c.p.c., u.c., per la quale non sono soggette a cassazione le sentenze, erroneamente giustificate in diritto, quando ne sia conforme al diritto il dispositivo, dovendosi in tal caso questa Corte di cassazione limitare a correggere la motivazione.

Perchè possa farsi applicazione del suddetto jus corrigendi – di cui è ammesso l’esercizio del potere officioso, non essendo esso soggetto alla regola di cui all’art. 101 cod. proc. civ., comma 3 che impone il dovere di stimolare il contraddittorio delle parti sulle questioni rilevabili d’ufficio, che la Corte di legittimità ritenga di porre a fondamento della decisione (Cass., n. 17779/2011; Cass., n. 16401/2011; Cass., n. 22283/2009) – è necessario, secondo quanto pure è stato indicato (Cass., n. 5954/2005; Cass., n. 15764/2004;

Cass., n. 4939/98), che il dispositivo sia conforme a diritto; che la sostituzione della motivazione sia solo in diritto e non comporti indagini o valutazioni di fatto; che, infine, la sostituzione della motivazione non importi violazione del principio dispositivo, ossia non pronunci su eccezioni non sollevate dalle parti e non rilevatali d’ufficio.

Poichè, nella specie, sussistono tutte le condizione di applicabilità della norma dell’art. 384 cod. proc. civ., u.c. osserva questa Corte che il decisum del giudice dell’appello è conforme al diritto per le considerazioni che seguono.

3.3. – Nel caso all’esame, come è pacifico in fatto, l’immobile, oggetto del giudizio di riscatto pendente, era stato alienato, nell’ambito della procedura di concordato con cessione dei beni ai creditori, per il tramite del nominato liquidatore società S. G. R. (soggetto subentrato esclusivamente nella gestione dei beni ceduti e, più in generale, nelle questioni attinenti alla liquidazione) ed era stato attribuito alla Parrocchia S. Antonio di Padova di (OMISSIS), soggetto retrattato.

Trattasi, perciò, di stabilire se, nella suddetta ipotesi, l’alienazione, per la sua natura cd. coattiva in quanto attuata nell’ambito di procedura concorsuale, sia esclusa, per l’assenza dell’elemento volontaristico, dall’area negoziale delimitata dall’obbligo della prelazione.

Sul tema, una prima pronuncia di questa Corte (Cass., n. 913/1988) aveva ritenuto la compatibilità tra prelazione del conduttore ed alienazione dell’immobile locato disposta nell’ambito della procedura di concordato preventivo con cessione dei beni ai creditori, argomentando che, a differenza del fallimento, diverso sarebbe il caso del concordato preventivo, che importa una situazione "di origine convenzionale, che non esclude la libera determinazione del proprietario di addivenire al trasferimento dell’immobile sotto il profilo privatistico, attraverso il liquidatore, nell’osservanza delle norme regolanti l’istituto della prelazione commerciale".

Con più approfondito esame della questione il suddetto indirizzo veniva di seguito mutato e questo giudice di legittimità stabiliva, con successive conformi decisioni (Cass., n. 2900/1990; Cass., n. 339/1994), che la L. 27 luglio 1978, n. 392, art. 38 che attribuisce al conduttore di un immobile adibito ad uso diverso da quello di abitazione il diritto di prelazione nei confronti del locatore che intenda trasferire a titolo oneroso l’immobile locato, si applica alle sole alienazioni volontarie e che quindi la norma, così come non trova applicazione nel caso in cui, dichiarato il fallimento del locatore, l’immobile venga venduto coattivamente, allo stesso modo l’istituto della prelazione urbana non può trovare ingresso qualora il locatore sia stato ammesso al concordato preventivo con cessione dei beni ai creditori, atteso che anche in questa ipotesi la vendita del bene, che avviene nella fase finale di liquidazione, non è ricollegabile ad una libera determinazione del proprietario, il quale ha ormai perduto la libera disponibilità del suo patrimonio.

L’incompatibilità della prelazione urbana con le alienazioni, disposte in sede di concordato attuato mediante cessio bonorum ai creditori, è stata giustificata nella cadenza dei seguenti argomenti;

a prescindere dalla qualificazione che del concordato preventivo si assuma (in base alla tesi contrattualistica ovvero all’altra che valorizza i fattori e le finalità pubblicistiche proprie della procedura concorsuale), la fase del procedimento successiva alla omologazione si traduce in una "liquidazione patrimoniale cd. necessaria", attraverso l’opera di un liquidatore nominato dal tribunale, affinchè i creditori possano soddisfarsi sulle somme ricavate;

la liquidazione è sottratta alla disponibilità dell’insolvente, che, pur conservando la titolarità dei beni fino all’alienazione, non ha più alcun potere di decidere la vendita e di determinarne il tempo, le modalità ed il prezzo ovvero di scegliere il soggetto acquirente;

ancorchè il concordato non faccia perdere al debitore insolvente, nel corso attivo della procedura sino alla fase di omologazione, nè la capacità, nè l’amministrazione dei beni, è indubbio che la liquidazione patrimoniale, nella forma concordataria della cessio bonorum, è sottratta alla sua disponibilità e resta attribuita all’organo nominato dal tribunale;

il liquidatore (che non ripete il suo potere dispositivo dei beni ceduti dal titolare del patrimonio nè agisce in nome e per conto dello stesso) quale soggetto esercente un ufficio di diritto privato opera con gestione cd. "imparziale", vincolata solo alla legge ed alle modalità determinate dal tribunale e libera rispetto alla volontà ed alle prescrizioni del titolare del patrimonio;

in siffatta situazione – quanto alla prelazione urbana di cui alla L. n. 392 del 1978, art. 38 che suppone l’elemento volontaristico dell’ipotizzata alienazione – non è ravvisabile nella vendita ad opera del liquidatore un’alienazione volontaria, in quanto la vendita dei beni, effettuata dopo omologazione del concordato, non è ricollegabile alla libera determinazione del proprietario e presenta, perciò, tutti i caratteri propri delle alienazioni coattive della procedura fallimentare.

3.4. – Questo Collegio al suddetto ed ormai costante indirizzo giurisprudenziale reputa di dovere senz’altro dare ulteriore seguito, escludendo che possa pervenirsi a soluzione difforme da quella di diniego della prelazione urbana (e del succedaneo retratto) in caso di alienazione dell’immobile locato disposta nell’ambito del concordato con cessione dei beni ai creditori, sulla scorta di quanto le Sezioni Unite di questa Corte, con la successiva sentenza n. 14083 del 2004, hanno ritenuto circa il diverso problema della compatibilità della procedura concorsuale del concordato in questione con il diritto dì prelazione volontaria accordato dal locatore in bonis, che a tale procedura sia stato poi assoggettato.

Con la sentenza n. 14083 del 2004 le Sezioni Unite hanno messo opportunamente in evidenza che, mentre il patto di prelazione risponde sempre ad un interesse privatistico, nella prelazione legale non mancano ipotesi in cui è considerato prevalente il fine dì tutela di preminenti interessi pubblicistici, in relazione ai quali il legislatore ha previsto espressamente che la prelazione possa essere esercitata anche nella procedura di fallimento e di concordato preventivo con cessione di beni, e, in genere, nelle ipotesi di vendita forzata.

La sentenza ha pure aggiunto che i dati normativi non consentono di trarre conclusioni univoche in ordine alla oggettiva incompatibilità dell’esercizio del diritto di prelazione con la vendita coattiva, occorrendo piuttosto fare riferimento all’interesse specifico oggetto di concreto regolamento, considerato meritevole di tutela secondo l’ordinamento, sicchè il problema della compatibilità, allorchè non sia la legge a stabilire, deve essere risolto in relazione a ciascuna delle specifiche situazioni giuridiche all’esame.

Le Sezioni Unite, infine, hanno considerato che il patto di prelazione rientra nell’ambito dei rapporti giuridici preesistenti all’apertura della procedura concorsuale; che il diritto del prelazionario volontario non resta caducato nè è reso inoperante dall’apertura della procedura di concordato preventivo; che, non verificandosi l’estinzione della prelazione sorta volontariamente, gli effetti di essa non possono che perdurare nei suoi contenuti e, quindi, anche relativamente all’obbligo di accordarla da parte del liquidatore; che l’obbligo di rispettare la prelazione convenzionale non incide negativamente sugli interessi dei creditori, dal momento che ciò comporta il solo onere della denuntiatio successivamente all’individuazione dell’acquirente ed alla definitiva determinazione del prezzo.

3.5. – Orbene, a differenza della prelazione volontaria (che nasce da patto costitutivo preesistente alla procedura concordataria ed a questa è destinata a resistere), la prelazione legale urbana trova il suo fatto genetico nella stipulazione dell’alienazione da parte del locatore con il terzo non conduttore, per cui, cosi come resta esclusa per le locazioni stipulate nel corso di procedure concorsuali, allo stesso modo essa non è ammessa in caso di vendita coattiva, altrimenti derivandone pregiudizio alle ragioni di speditezza delle alienazione nel prevalente interesse pubblicistico, cui deve cedere l’interesse privato del conduttore.

Negata, pertanto, la identità di ratio tra prelazione legale e prelazione volontaria, con riguardo al thema decidendum deve concludersi nel senso che, ribadito il principio dell’esclusione della prelazione legale nel caso di alienazione dell’immobile locato disposta in procedura di concordato con cessione dei beni, il ricorso principale, cosi corretta la motivazione della denunciata sentenza (art. 384 c.p.c., u.c.), deve essere rigettato in quanto l’immobile locato al Consorzio risulta essere stato alienato nella procedura concorsuale cui era stata assoggetta la locatrice Federconsorzi.

Dalla statuizione di rigetto dell’impugnazione principale resta assorbito l’esame del ricorso incidentale.

La correzione della motivazione della sentenza e la particolarità della questione, decisa in considerazione anche di quanto statuito dall’indicata sentenza n. 14083/2004 delle Sezioni Unite, costituiscono giusti motivi per compensare interamente tra le parti delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte, decidendo sui ricorsi riuniti, rigetta il ricorso principale; dichiara assorbito l’esame del ricorso incidentale condizionato; compensa interamente tra le parti le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 14 febbraio 2012.

Depositato in Cancelleria il 18 maggio 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *