Cass. civ. Sez. I, Sent., 18-05-2012, n. 7929 Arbitrato

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

All’esito di un rapporto scaturito dal contratto 18.09.1984 – con il quale il Consorzio di Bonifica Valle del Uri n. (OMISSIS) aveva appaltato alla Impresa Pizzarotti & c. (capogruppo e mandataria di ATI) lavori di irrigazione del fiume Gari, l’Impresa propose in data 3.5.2002 domanda di arbitrato rivendicando la spettanza di consistenti somme ( per revisione prezzi, maggiori oneri e maggiori compensi derivanti da cause impreviste, eventi meteorologici eccezionali, ritardato collaudo – per indebite applicazione di penale e indebite detrazioni – per interessi capitolari). Il Consorzio declinò la competenza arbitrale e nondimeno nominò il proprio arbitro. Nominato il terzo arbitro da parte della Camera arbitrale, il Collegio si costituì il 31.03.2003 ed a seguito della caducazione del D.P.R. n. 554 del 1999, art. 150 disposta dal giudice amministrativo, venne ricostituito con nomina da parte del Presidente del Tribunale di Roma del terzo arbitro e, quindi, procedette ad istruire la controversia, con assunzione di testi, CTU ed acquisizioni documentali. Con lodo sottoscritto il 18.3.2005, depositato il 21.3.2005, e con successiva decisione di correzione 19.4.2005 il Collegio condannò il Consorzio a pagare alla Impresa Pizzarotti – in relazione alle pretese inserite nei quesiti 2, 3, 4, 7, 9 – la complessiva somma di Euro 1.890.841,74, e – in relazione alle pretese di cui ai quesiti da 10 a 14 – le somme di Euro 806.518 per rivalutazione e di Euro 2.105.846 per interessi oltre a dietim di Euro 222,39 da 1,2.2005. La decisione arbitrale è stata dal Consorzio Valle del Uri impugnata innanzi alla Corte di Appello di Roma con articolazione di sei motivi di nullità e si è costituita l’Impresa Pizzarotti & c. s.p.a. nella qualità.

La Corte di Roma con sentenza 10.11.2010 ha rigettato l’impugnazione affermando in motivazione:

che l’arbitrato aveva natura rituale in quanto costituito ai sensi del D.P.R. n. 554 del 1999, art. 150, comma 5 sì che la sua impugnazione competeva alla adita Corte, che l’eccezione afferente il mancato rispetto del termine di deposito del lodo era inammissibile non essendo provato che essa fosse stata sollevata innanzi al Collegio che aveva assunto la causa in decisione e superato il termine di 12 mesi assegnato, che andava condivisa, in dissenso dal motivo sub capo B), la decisione arbitrale di ritenere corretto il ricorso per la regolamentazione dell’arbitrato alla L. n. 109 del 1994, art. 32 trattandosi di domanda introduttiva proposta nell’anno 2002 pur relativa a contratto del 1984 ma regolato dal D.P.R. n. 1063 del 1962 e quindi ben operando la "sostituzione" di cui all’art. 32, comma 4 che andava anche condivisa la decisione arbitrale assunta sulla declinatoria arbitrale da parte dell’organo del Consorzio, decisione che aveva rettamente rilevato la incompetenza dell’organo declinante e la incompetenza alla convalida dell’organo convalidante;

detta statuizione dell’impugnante era stata fatta segno a censure che non enunziavano violazioni, da parte del Collegio, di regole di diritto nella interpretazione dello Statuto, che in ordine alla censura di nullità per essere stato, dopo la caducazione del D.P.R. n. 554 del 1999, art. 150, comma 3 sostituito il solo arbitro- Presidente e non l’intero collegio, il lodo aveva rilevato come la pronunzia del Consiglio di Stato avesse inciso sulle modalità di nomina del terzo arbitro, affidata alle parti, si che su tal premessa era da ritenersi sufficiente la mera reintegrazione del collegio e non la sua ricostituzione e che per addivenire alla prima ben si era fatto ricorso alla ipotesi di cui all’art. 811 c.p.c.: ebbene la censura proposta dal Consorzio non attingeva tale corretto sviluppo argomentativo ma si limitava a riproporre i disattesi argomenti, che venendo alle censure afferenti le decisioni per il merito della controversia, e che il lodo aveva distinto ed esaminato in relazione alla causa giustificatrice delle pretese (compensi per ritardi ed oneri da sospensioni lavori – oneri da ritardato collaudo – indebite detrazioni in sede di collaudo – rivalutazione, spese ed interessi), dette censure attingevano le pretese violazioni di diritto commesse dagli arbitri nel decidere ai quesiti, che però emergeva come dette censure erano ripetitive delle posizioni assunte innanzi al Collegio e non denunziavano vizi logici del lodo, così come per la generica critica alla supina adesione alle risultanze della CTU, per la aspecifica denunzia di violazione dell’onere della prova, per la individuazione della disposizione sui prezzi unitari che si assumeva errata senza farsi carico di contestare le esatte argomentazioni della CTU, per la non condivisa valutazione del ritardo nella formulazione della riserva e nell’operare il collaudo basandosi tal censura sulla diversa valutazione dei fatti accertati, per la mera non condivisione delle decisioni assunte sulle detrazioni, per la questione dell’art. 25 del capitolato implicante mere questioni di fatto, che la inammissibilità delle dette censure sulle pretese rendeva assorbite quelle sugli accessori, che la questione della pretesa nullità dell’ordinanza di correzione di errore materiale era preclusa dalla sua mancata proposizione tempestiva e comunque era palesemente infondata. Per la cassazione di tale sentenza il Consorzio ha proposto ricorso 11.2.2011 articolato su sette motivi, cui si è opposta l’Impresa Pizzarotti & c. s.p.a. con controricorso 22.3.2011. Entrambe le parti hanno depositato memorie finali ed i loro difensori hanno discusso oralmente.

Motivi della decisione

Ritiene il Collegio – all’esito della disamina dell’articolata impugnazione – che il ricorso debba essere rigettato, non meritando condivisione, od essendo radicalmente inammissibili, le censure che compongono l’impugnazione stessa.

Primo motivo; esso lamenta l’errata decisione di ritenere inammissibile o comunque di rigettare l’eccezione posta innanzi al Collegio e relativa alla indebita "coltivazione" dell’arbitrato "de quo" sulla base della normativa del 1994: ad avviso della società, non essendo il cap. gen. oo.pp. approvato con D.P.R. n. 1063 del 1962 direttamente applicabile all’appalto de quo ma solo per richiamo pattizio, sarebbe venuta meno la possibilità, come detto da Cass. 17599 del 2003, di applicare in via sostitutiva (dell’art. 43, c.g.oo.pp.) il sopravvenuto della L. n. 109 del 1994, art. 32 difettando la omogeneità "normativa" della fonte sostituita con quella sopravvenuta.

E’ corretto, ad avviso del Collegio, il richiamo fatto dal ricorrente Consorzio alla sentenza 17599 del 2003 (cui adde la pronunzia 14268 del 2006 ) per la quale le volte in cui al contratto non sia direttamente, come per gli appalti stipulati dalle Amministrazioni dello Stato, ma sol "pattiziamente" applicabile il D.P.R. n. 1063 del 1962, con la relativa previsione della composizione arbitrale di cui all’art. 45, non opera la "sostituzione" con la nuova composizione di cui alla L. n. 109 del 1994, art. 32 ma resta ferma la recepita composizione originaria.

Ma è anche vero, come mostra di ignorare il ricorrente, che l’applicazione legale del cap.gen.oo.pp. deriva anche da norme di legge statale o regionale, diverse ed ulteriori.

Così è stato sovente per il richiamo normativo operato da leggi regionali (Cass. 13246 del 2011).

E così è stato per tutte le ipotesi nelle quali l’appalto venne stipulato con la obbligatoria applicazione ex lege dei detto capitolato trattandosi di opere pubbliche da realizzare direttamente o con la concessione o il solo finanziamento della Cassa del Mezzogiorno: in tali casi (art. 8 della legge 646 del 1950) l’applicazione del cap.gen.oo.pp. approvato con D.P.R. n. 1063 del 1962 si è affermato avere valore normativo e non contrattuale con la conseguente sostituzione della composizione ex art. 45 con quella prevista dalla sopravvenuta L. n. 109 del 1994, art. 32 se applicabile ratione temporis (Cass. 17631 del 2007 e 11301 del 2009).

Nella specie, premesso che nell’ambito del contratto del 1984 venne proposta domanda di arbitrato nel 2002 e quindi quando era da tempo intervenuto l’art. 32 citato, va ricordato che è lo stesso Consorzio ricorrente a precisare (pag. 72 del ricorso, in sede di trascrizione dell’atto di impugnazione, ed a pag. 99) che il contratto di appalto era compreso nel capitolato generale 20.1.1965 Casmez perchè concerneva lavori finanziati a suo tempo dalla Cassa. Ed inoltre, considerato che dal Consorzio l’affermazione di tal capitolato è fatta senza addurre nè precisare se il capitolato Casmez del 1965 prevedesse una composizione dei Collegio diversa da quella dell’art. 45 del c.g.oo.pp. del 1962, e rilevato che non è certo la sopravvenienza di detto capitolato a costituire un "superamento" della disposizione della L. n. 646 del 1950, art. 8 (come parrebbe affermare il Consorzio alle pagine 72 e 99 citate), ne discende che l’affermazione della Corte di merito per la quale restava ferma la affermazione del lodo sul carattere automatico e non pattino del capitolato del 1962, e quindi sulla necessaria sostituzione legale da parte dell’art. 32, comma 4 citato, appare corretta ed immune da censure in diritto. Secondo motivo: esso ripropone la stessa questione in termini di omessa pronunzia sulla eccezione posta innanzi alla Corte di merito. Il motivo è quindi da ritenersi attratto nella sorte del primo, posto che la Corte di merito, sotto la apparente dichiarazione di irricevibilità della censura sub B, ha in realtà pronunziato rigettando nel merito detta censura come fatto palese dalla attenta esposizione del decisum arbitrale sulla questione (pag. 3) e dalla sua inequivoca condivisione. La decisione della Corte di Roma va quindi ritenuta esplicitamente di rigetto (e per le ragioni che questa Corte ha, come dianzi fatto, integrato in punto di diritto). Terzo motivo: II motivo devesi ritenere in parte inammissibile perchè è incomprensibile la ricostruzione della ratio decidendi contro la quale si appunta. Sostiene il Consorzio infatti (pag. 102) che la Corte avrebbe dichiarato inammissibile il capo B della impugnazione e conseguentemente rifiutato "in rito" la decisione sul capo C, Passa poi a trascrivere la declinatoria di arbitrato proposta come eccezione in sede arbitrale. In realtà il capo B della impugnazione di nullità è riportato nel ricorso alle pagg. 71 e 72 ed attiene nulla più che alla questione di inapplicabilità della "sostituzione" L. n. 109 del 1994, ex art. 32 trattata nel primo motivo con rinvio a Cass. 17599 del 2003. La Corte afferma (pag. 3 ult. cpv.). che tale capo di impugnazione conteneva una censura generica che neanche riportava le ragioni esposte dal Collegio, e pienamente condivise. Il motivo in disamina ritiene quindi di censurare una consequenzialità con la pronunzia di cui al capo C che non si comprende affatto Quanto alla parte del motivo che autonomamente contesta la decisione (pag. 4 sentenza) di ritenere irricevibili le censure afferenti il capo C della impugnazione di nullità (quelle afferenti la efficacia, per sopravvenuta valida convalida, della declinatoria di competenza arbitrale adottata dal Presidente "incompetente"), essa è esauriente nel riproporre le censure alla decisione del Collegio sulla non condivisa interpretazione dello Statuto ma non ben comprende la portata della decisione della Corte territoriale, che ha affermato non essere stati indicati i canoni ex art. 1362 c.c. e seguenti violati dalla (errata) interpretazione statutaria del Collegio: a tale decisione replica, infatti, criticamente (pag. 107 del ricorso) affermando che tale indicazione nè sarebbe stata necessaria, dato che si verteva in ipotesi di globale … falsa applicazione contrattuale, nè sarebbe stata utile dato che era necessario e sufficiente addurre … che le norme statutarie erano state violate. E con ciò si ammette la totale estraneità della censura dall’ambito della impugnazione ex art. 829 c.p.c., comma 2 come esattamente rilevato dalla Corte di merito: e poichè l’affermazione della Corte sulla necessaria specificità delle censure di malgoverno ermeneutico è del tutto conforme ai principii (dovendo nell’impugnazione del lodo essere indicati quali parametri codiscistici sarebbero stati dagli arbitri violati: cass. 8049 del 2011,6 non quali disposizioni di Statuto sarebbero state applicabili a preferenza di altre) ne discende ancora una volta la inconsistenza della censura. Quarto motivo: esso ripropone la censura di cui sopra come vizio di omessa pronunzia. La ipotesi che muove tale motivo è priva di alcuna consistenza. Secondo il Consorzio, posto che la decisione della Corte di Roma sul motivo di impugnazione sub. C sarebbe stata ut supra "in rito", essa avrebbe ingenerato una omessa pronunzia sul merito. Ma poichè – come si è visto nella disamina del terzo motivo – la censura avverso quella decisione "in rito" è stata in questa sede ritenuta essere censura affatto inammissibile (per mancata comprensione della ratio della decisione impugnata), non può che restare ferma la decisione di inammissibilità della Corte di Roma e, pertanto, indiscutibile la precedente decisione del Collegio arbitrale.

Quinto motivo: esso censura la proposizione di chiusura a pag. 4 della sentenza per la quale ogni altra deduzione e considerazione contenuta nel motivo di impugnazione sub C) resta assorbita. Espone quali altre prospettazioni erano state articolate e quindi ritrascrive quanto già inserito nel motivo terzo sulle prerogative presidenziali, sui suoi poteri di urgenza e sulla competenza alla ratifica. Nulla di più. Resta evidente quindi che la decisione, ut supra ineccepibile, assunta dalla Corte romana ed avente ad oggetto la carenza di corretta denunzia di violazioni di legge rendesse irricevibile tutto quel complesso di argomentazioni sulla interpreta- zione dello Statuto sottoposto, nel suo insieme, alla Corte, del quale oggi, in questa sede, si lamenta incongruamente la "mancata valutazione".

Sesto motivo: in sede di argomento di chiusura esso predica la nullità della sentenza per mancata attivazione del contraddicono sulle poi dichiarate inammissibilità, rilevate ex officio: a criterio del Consorzio l’avere proceduto a dichiarare inammissibili vari motivi senza previamente sottoporre tale possibile esito processuale alle parti equivale ad una non consentita "sorpresa". La censura è priva di consistenza in primo luogo perchè i rilievo di questione attinente (come nella specie) alle condizioni di ammissibilità di una impugnazione di lodo arbitrale rientra, ancorchè oggetto di questione non eccepita dalla controparte, nel potere di controllo del giudice dell’impugnazione e pertanto non costituisce questione nuova sulla quale possa indebitamente realizzarsi l’effetto di decisione "a sorpresa" (Cass. 9591 del 2011). In secondo luogo, va rammentato che anche la decisione officiosa senza attivazione di dibattito processuale non cagiona ex se la nullità della sentenza, dato che la questione è comunque proponibile in sede di gravame (S.U. 20935 del 2009 e 17495 del 2011). Ed è stata infatti dal Consorzio proposta, in questa sede, con esiti assolutamente negativi stante la accertata esattezza della decisione della Corte di Appello.

Il settimo e l’ottavo motivo censurano, infine, la sentenza per avere fatto propria, vieppiù con motivazione totalmente illogica, la decisione del Collegio di correggere come errore materiale quello che era solo frutto di una omessa pronunzia, la cui emenda sarebbe spettata, in realtà, soltanto alla iniziativa di impugnazione da parte dell’ATI. Assorbente è il rilievo per il quale i motivi in disamina neanche si sono avveduti della prima ratio di rigetto contenuta a pag. 6 della sentenza, quella per la quale la mancata riproposizione nel foglio- conclusioni della censura de qua la faceva ritenere "rinunziata". E poichè si tratta di ratio autonoma alla quale si giustappone quella ulteriore di fondatezza della operata correzione, l’avere impugnato solo la seconda rende inammissibile il motivo. Venendo però, per compitezza, al merito della doglianza, in realtà la Corte territoriale ha offerto una piena e logica motivazione della propria valutazione di ritenere legittima la correzione de qua, tramite la constatazione che al Collegio era evidentemente sfuggito in sede decisoria che nella CTU accanto all’indicazione della somma conclusivamente dovuta (ed escludente il quantum di interessi di mora) erano poi presenti gli analitici conteggi comprensivi di detto quantum, si che ben era stato ritenuto che la decisione fosse emendabile, come fatto, per correggere la mera svista nella trasposizione dei conteggi. Le censure tentano di sottoporre alla Corte di Cassazione la implausibilità della detta valutazione, asserendosi che non di errore materiale si trattava ma di errore di giudizio (per omissione) del Collegio. E invitano questa Corte alla lettura del conteggio a pag. 121 della CTU per desumerne la implausibilità della tesi dell’errore materiale per mancata trasposizione nel quantum finale di quanto in quel conteggio era contenuto. E tale tentativo è privo di fondamento alcuno non potendo la Corte di legittimità giudicare della valutazione fatta dalla Corte di merito in ordine alla decisione arbitrale di interpretare in un modo – anzichè in un altro – un conteggio del consulente.

Il rigetto del ricorso impone di regolare le spese secondo soccombenza e liquidandole, in dispositivo, alla stregua del valore dichiarato in ricorso.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente Consorzio di Bonifica al pagamento in favore della società controricorrente delle spese di giudizio che determina in Euro 20.200,00 (di cui Euro 200 per esborsi) oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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