Cass. civ. Sez. I, Sent., 18-05-2012, n. 7924 Opposizione al valore di stima dei beni espropriati

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con citazione notificata il 12 novembre 2004 la ACOSET s.p.a., promotrice dell’espropriazione di un complesso acquedottistico e delle acque sotterranee da questo utilizzate, conveniva in giudizio, dinanzi alla Corte d’appello di Catania la SAICOP s.r.l. comproprietaria dell’acquedotto con P.M. e C. G., soci della società e scopritori della falda da cui provenivano le acque, opponendosi alla stima ai sensi del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, art. 54 e alla relazione finale del collegio di tecnici, nominato ai sensi dell’art. 21 del citato D.P.R. (da ora:

T.u. Espr.), che aveva elevato l’indennità di espropriazione ad Euro 1.255.471,00, comprensive di Euro 777.263,00 per spese sostenute per la scoperta delle acque, Euro 60.708,00 per opere eseguite, ed Euro 418.500,00 quale premio di rinvenimento della falda, del R.D. 11 dicembre 1933, n. 1775, ex art. 103.

Il decreto d’esproprio del 24 febbraio 2004 aveva fissato in Euro 807.689,94 l’indennità provvisoria di espropriazione rifiutata dagli espropriati; ai sensi dell’art. 21 del T.U. espr., era stato nominato il collegio di tre tecnici, che aveva liquidato l’indennità nelle maggiori somme di cui sopra.

Tale relazione era stata impugnata dinanzi alla Corte di appello di Catania dalla Acoset s.p.a., ritenuta legittimata attiva nella causa qualificata di opposizione alla stima che, dichiarata ammissibile, era stata rigettata da detta Corte, perchè infondata. Dal ricorso risulta che la Acoset s.p.a. si era opposta alla stima e alla relazione del menzionato collegio di tecnici nominato ai sensi dell’art. 21 del citato T.U. espr., chiedendo di dichiarare non dovuto il premio di rinvenimento delle acque agli scopritori di esse P. e C. e alla società da loro costituita per lo sfruttamento delle acque.

Ad avviso della Corte d’appello il premio di rinvenimento era invece dovuto in fatto e in diritto, ai sensi della norma da ultimo citata (pag. 11 sentenza impugnata): dai documenti risultava che gestore dell’acquedotto era stato in fatto il dante causa di ACOSET, cioè il Consorzio acquedotto etneo (da ora: CAE), e inoltre era da negare in diritto che la SAICOP s.r.l. e i due scopritori delle acque avessero goduto di concessione per lo sfruttamento delle acque rinvenute, accordata invece al C.A.E., con decreto dell’Assessorato ai lavori pubblici della Regione siciliana del 4 luglio 1979.

Escluso ogni ingiusta locupletazione degli espropriati, ai quali era dovuto dalla concessionaria ACOSET s.p.a. anche il premio di rinvenimento per le ragioni di fatto e di diritto sopra riportate nella indicata misura, l’impugnazione della relazione finale del collegio di cui all’art. 22 del T.U. espr. e la opposizione alla stima dell’indennità, anche ai sensi dell’art. 54 della stessa novella proposta da Acoset s.p.a.è stata rigettata e l’opponente è stata condannata alle spese di causa.

Per la cassazione della richiamata sentenza della Corte di appello di Catania 20 febbraio – 9 settembre 2009, non notificata alle parti, la Acoset s.p.a. propone ricorso di due motivi, notificato il 5 – 8 marzo 2010 alla SAICOP, a C.G. e agli eredi di P.M. deceduto nelle more, G., A., An., P.D. e G.F., che si difendono con controricorso.

Motivi della decisione

1.1. Con il primo motivo di ricorso, si deduce violazione del R.D. 11 dicembre 1933, n. 1775, art. 103, in riferimento al D.P.R. n. 327 del 2001, art. 32, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5; la norma del T.U. sulle acque sancisce, che "quando in seguito a ricerche siano state scoperte acque sotterranee, anche in comprensori non soggetti a tutela, deve essere avvisato l’ufficio del Genio civile, il quale provvede ad accertare la quantità di acqua scoperta" (comma 1) e che," in tal caso lo scopritore avrà titolo di preferenza alla concessione, per l’utilizzazione indicata nel piano di massima allegato alla domanda di autorizzazione ai sensi dell’art. 95" (comma 2). Al comma 3, è previsto infine che, "qualora lo scopritore non ottenga la concessione, ha diritto al rimborso, da parte del concessionario, delle spese sostenute, ad un adeguato compenso dell’opera da lui prestata e ad un premio che sarà determinato nell’atto di concessione in base all’importanza della scoperta".

Soltanto a tale comma 3, dell’art. 103 del T.U. sulle acque fanno riferimento sia il collegio di tecnici che ha determinato l’indennità che la sentenza oggetto di ricorso, senza rilevare che lo scopritore ha diritto alla concessione in via prioritaria e, soltanto se non la ottenga, può chiedere il compenso per l’opera prestata, il rimborso delle spese sostenute e il premio dovuto dal concessionario e da determinare con la concessione stessa in relazione alla importanza della scoperta.

Nel caso, non è in discussione la concessione, ma solo l’indennità di espropriazione in pagamento dell’acquedotto espropriato e delle acque da questo usate, che corrisponde al suo valore venale, come previsto nel D.P.R. 327 del 2001, art. 32, per la liquidazione del quale, ad avviso della ricorrente, non può avere rilievo il premio di rinvenimento della falda acquifera allo scopritore.

Tale c.d. premio va erogato di chi ha ottenuto la concessione allo scopritore, solo nel caso che quest’ultimo non abbia in alcun modo fruito dell’acqua da lui scoperta, volendo la norma premiare chi ha scoperto la falda solo se questo non può fruire di alcuna utilizzazione della stessa, perchè concessa ad un terzo immediatamente dopo la scoperta.

A carico del concessionario scelto in luogo dello scopritore la norma citata del R.D. n. 1775 del 1933, prevede siano poste le somme dovute a colui che ha scoperto le acque sotterranee per le spese subite per la scoperta e il premio di rinvenimento della falda. La relazione redatta ai sensi del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 21, ha incluso nella indennità il premio di rinvenimento delle acque sotterranee, perchè il collegio di tecnici nominato per determinare l’indennità ha ritenuto che gli scopritori delle acque, dopo avere realizzato già nel 1967 l’acquedotto con le relative opere di accumulo, trasporto e distribuzione delle acque e avere ottenuto, nel 1971, la iscrizione delle acque scoperte tra quelle pubbliche, ai sensi del R.D. n. 1775 del 1933, art. 1, nell’elenco xx suppletivo di tali acque della Provincia di Catania, le avevano in fatto sfruttate dal 26 febbraio 1972 a mezzo della s.r.l. SAICOP, di cui gli stessi scopritori erano unici soci e legali rappresentanti, mai legalmente autorizzati quali concessionari dell’utilizzo delle stesse.

Il possesso delle acque era stato degli scopritori e della SAICOP s.r.l., e si era esercitato a mezzo di tale società, con risultati economicamente negativi, tanto da rendere necessaria la nomina di un commissario liquidatore finchè il prefetto, per la destinazione potabile e pubblica della acque e per i fini pubblici dell’uso potabile delle stesse, decise di procedere nel 1984 alla requisizione dell’acquedotto e poi all’affitto d’azienda per il canone di Euro 7.015,00 mensili, disponendo che conduttore fosse il Consorzio Acquedotto Etneo (C.A.E. poi divenuto ACOSET), unico legale concessionario delle acque scoperte.

Il provvedimento di requisizione si fonda sul presupposto che, sin dal 1972, la SAICOP s.r.l. gestiva il servizio di captazione e distribuzione di acqua potabile per circa 1000 utenti, avvalendosi dell’impianto acquedottistico di cui con P. e C. era comproprietaria, non solo perchè i contitolari dell’acquedotto erano incapaci di gestire i rapporti con l’utenza, come emergeva dallo stato di liquidazione della società, ma anche perchè, per la L. 5 ottobre 1976, n. 319, art. 6, gli acquedotti pubblici andavano gestiti solo da comuni o da loro consorzi, come il C.A.E.. Al termine delle requisizione in data 30 aprile 1992, la gestione dell’acquedotto era passata al C.A.E., per convenzione con la SAICOP s.r.l., cui era corrisposto dal Consorzio mensilmente un canone di locazione concordato in Euro 7.015,21, per il quale si erano determinate entrate per la società, che le avevano fatto superare lo stato di liquidazione precedente.

Non rileva che, con concessione del 1979, il C.A.E. abbia avuto assegnato il diritto di derivare l’acqua che scorreva nell’acquedotto, dapprima requisito e poi preso in locazione, dopo che gli scopritori originariamente in proprio e poi a mezzo della SAICOP a r.l. avevano fruito in fatto della stessa sorgente con l’uso del medesimo complesso acquedottistico, per cui a loro nulla più spettava, secondo l’ACOSET, a titolo di premio di rinvenimento delle acque, dovendo ricevere, quali espropriati, solo il valore venale della condotta d’acqua, nel quale sono comprese le spese per la sua realizzazione e per l’opera prestata dagli scopritori stessi, tanto che nella valutazione si è tenuto conto del degrado subito dall’acquedotto per il decorso del tempo.

In quanto il titolo a fruire delle acque è per lo scopritore alternativo al premio di rinvenimento delle acque, per cui l’ottenimento di questo sorge solo se sia esclusa ogni concessione agli scopritori, erroneamente si è attribuito agli espropriati anche il premio di rinvenimento delle acque sotterranee come indennità d’esproprio.

1.2. Il secondo motivo di ricorso denuncia violazione del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 21, comma 6 e dell’art. 132 c.p.c., per omessa pronuncia in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5,, avendo l’Acoset espressamente domandato di applicare la indicata norma del T.U. espr., che pone le spese di costituzione del collegio dei tecnici e il compenso a questo ultimo a carico dell’espropriato, se la determinazione collegiale dell’indennità sia stata inferiore all’indennità provvisoria offerta, e dividendo tali esborsi e corrispettivi tra il beneficiario dell’esproprio e i proprietari espropriati, nel caso di aumento dell’indennità non superiore ad un decimo di quella provvisoria, e negli altri casi a carico del solo beneficiario dell’esproprio.

2. Il primo motivo di ricorso è in parte inammissibile e in parte infondato e deve quindi essere rigettato.

Con esso si deduce, per la prima volta in cassazione, che erroneamente si è compreso nel valore venale dell’acquedotto espropriato costituente anche indennità di espropriazione il c.d. premio di rinvenimento in favore degli scopritori della falda. Come risulta chiaro dalla sentenza oggetto di ricorso e dalle conclusioni in essa riportate, nel giudizio di merito, non si è dibattuto se il premio di rinvenimento fosse o meno compreso nella indennità dovuta dal beneficiario dell’espropriazione agli espropriati, ma solo se ACOSET, quale espropriante e concessionario delle acque scoperte, dovesse pagare agli scopritori il premio di cui al R.D. n. 1775 del 1933, art. 103. Dalla sentenza della Corte d’appello non risulta che con la opposizione alla relazione finale del collegio di tecnici di cui al D.P.R. n. 327 del 2001, art. 21, si sia dedotto dalla odierna ricorrente che il premio di rinvenimento non poteva computarsi nel valore venale dell’acquedotto espropriato, costituente l’indennità e ricavabile dalle "caratteristiche del bene al momento dell’accordo di cessione o alla data di emissione del decreto di esproprio" e "valutando l’incidenza dei vincoli di qualsiasi natura non aventi natura espropriativa" (D.P.R. n. 327 del 2001, art. 32: su tali vincoli cfr. Cass. 1 dicembre 2011 n. 26721, S.U. 2 febbraio 2011 n. 2419, Cass. ord. 28 febbraio 2011 n. 4879 e Cass. 25 settembre 2008 n. 24063).

Nel caso di specie, Acoset s.p.a. è non solo espropriante ma anche concessionaria delle acque scoperte dalle controparti e come tale tenuta a pagare il c.d. premio di rinvenimento, che non è un "onere reale" ma costituisce un obbligo di natura personale del concessionario delle acque, scelto in luogo dello scopritore di esse per lo sfruttamento delle falde, nonostante quest’ultimo abbia "titolo di preferenza alla concessione", rispetto ad ogni altro richiedente (R.D. 11 dicembre 1933, n. 1775, art. 103). Oggetto del giudizio non è stato quindi la sola opposizione alla stima dell’indennità ma anche il riconoscimento del diritto al premio di rinvenimento delle acque sotterranee per gli scopritori di esse, che erano gli espropriati.

La Corte di appello ha ritenuto esistenti i presupposti di fatto e di diritto del riconoscimento del premio di rinvenimento delle acque sotterranee liquidato dal collegio dei tecnici, ed ha quindi respinto le censure proposte da Acoset s.p.a. per tale profilo, senza avere assolutamente esaminato la questione non prospettata con il primo motivo di ricorso della sussumibilità nella indennità di espropriazione del c.d. premio di rinvenimento.

La mancanza dei presupposti per il pagamento del premio di cui alla norma del R.D. n. 1775 del 1933, per la scoperta delle acque, il rimborso delle spese per la loro demanializzazione e l’ inserimento nell’elenco di quelle pubbliche che nel caso c’è stata (su tale presupposto, cfr. T.S.A.P. 25 marzo 1988 n. 27), la scelta dello scopritore di utilizzare le acque scoperte che emerge dalle condotte dei controricorrenti e il diniego dell’autorità amministrativa competente alla concessione, che risulta implicito nell’averla riconosciuta in favore della ricorrente ACOSET sono stati oggetto della controversia esaminata nel merito.

Dato che nel computo dell’indennità contenuto nel decreto di esproprio del 24 febbraio 2004 n. prot. 3420, non vi era il premio di rinvenimento delle acque sotterranee agli espropriati che erano anche scopritori di queste, costoro hanno domandato la nomina del collegio di tecnici ai sensi dell’art. 21 del T.U. espr. e chiesto di liquidare il premio dovuto loro che si sarebbe dovuto determinare con l’atto di concessione.

Poichè nella concessione a favore di Acoset s.p.a. la determinazione del premio di rinvenimento non vi era stata, e tale istanza è stata accolta nella relazione finale di stima del collegio di tecnici, impugnata alla Corte d’appello, senza rilevare che la stessa non rientrava nella indennità ed era dovuta ad altro titolo, come dedotto nel primo motivo di ricorso, per tale profilo quest’ultimo è da ritenere inammissibile.

In ordine al diritto al premio per gli scopritori, la Corte d’appello ha correttamente rilevato che in fatto, al C. e al P. tale premio competeva, per avere gestito l’impianto espropriato solo il C.A.E., come da convenzione conclusa con SAICOP s.r.l., e, in diritto, che nessuna concessione era stata rilasciata agli scopritori, per cui il premio spettava a questi ultimi; il primo motivo di ricorso non coglie nel segno in ordine alla dedotta insussistenza del diritto al premio e deve ritenersi per tale profilo infondato e da rigettare, non censurando con successo la ratio decidendi della sentenza oggetto di ricorso.

2.2. Il secondo motivo di ricorso, che impugna la omessa pronuncia sulla richiesta di porre a carico dell’espropriato le spese del collegio dei tecnici e di arbitrato ai sensi del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 21, comma 6, è assorbito dal rigetto del primo, che ha confermato la relazione finale del collegio dei tecnici, che si era largamente discostata dalla indennità provvisoria offerta dagli espropriati, per cui nulla costoro dovevano pagare per le spese di funzionamento del collegio e di difesa, dovendo le stesse rimanere a carico del beneficiario dell’espropriazione come previsto dal T.U. espr. Non va configurata come omessa pronuncia ma come rigetto della domanda di porre a carico degli espropriati le spese dell’art. 21, comma 6, correttamente erogate dal beneficiario dell’espropriazione come sancito da tale norma.

3. In conclusione, va rigettato il ricorso e le spese del giudizio di legittimità, per la soccombenza, devono porsi a carico della Acoset s.p.a. e liquidarsi in solido a favore dei controricorrenti come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a pagare ai contoricorrenti in solido le spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 6.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali e agli accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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