Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 13-10-2011) 11-11-2011, n. 41352

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con la ordinanza in epigrafe, il Tribunale di Catanzaro ha rigettato l’appello proposto da B.M. avverso il provvedimento del G.i.p. del medesimo Tribunale di reiezione della richiesta di declaratoria di perdita di efficacia della misura cautelare della custodia in carcere per decorrenza dei termini di fase delle indagini preliminari, previa retrodatazione dei termini medesimi, ai sensi dell’art. 297 cod. proc. pen., comma 3.

B.M. era stato sottoposto alla misura cautelare della custodia in carcere con ordinanza emessa dal G.i.p. distrettuale in data 2 luglio 2009, in ordine ai delitti di partecipazione all’associazione mafiosa "clan degli zingari", operante in (OMISSIS) con permanenza, e di plurimi omicidi aggravati dall’agevolazione a detta cosca, con connessi reati in materia di armi, in danno di C.G., G.V. F. e C.V..

Successivamente, in data 17 luglio 2010, in altro procedimento della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Catanzaro, delegato al medesimo P.M., era stata emessa dallo stesso G.i.p. nei confronti del B. altra ordinanza di custodia cautelare in carcere per i reati di partecipazione all’associazione a delinquere di stampo mafioso "Locale di Corigliano" operante in (OMISSIS) fino all’attualità, nonchè, tra l’altro, di una serie di estorsioni (consumate e tentate), aggravate dal metodo mafioso, commesse a partire dal 2004.

Il Giudice dell’appello cautelare riteneva inapplicabile il meccanismo invocato di retrodatazione, per difetto dei requisiti richiesti, vertendosi nell’ipotesi di ordinanze emesse per fatti non avvinti da connessione qualificata – trattandosi di due diverse consorterie criminali, come era dato desumere dalla diversa collocazione territoriale, dalla diversa tipologia dei reato in contestazione (omicidi da un lato ed estorsioni dall’altro) e dai soggetti coinvolti. Difettava invero il requisito della desumibilità dei fatti oggetto della seconda ordinanza cautelare, in quanto non a disposizione dell’Ufficio di Procura e quindi non valutabili fin dall’epoca della sua emissione. I fatti oggetto della seconda ordinanza sarebbero risultati invero da uno sviluppo successivo, e non artificiosamente procrastinato, dell’attività investigativa, essenzialmente connessa all’acquisizione degli esiti del compendio intercettativo, ad accertamenti di natura amministrativo-contabile, nonchè al fondamentale contributo delle persone offese delle estorsioni ( C., O., R., V.) e dei collaboratori di giustizia C.A. e C.V., che avevano ulteriormente arricchito ed approfondito le proprie dichiarazioni – rispetto a quelle già rese in precedenti verbali – nel corso di più recenti interrogatori. Secondo il Tribunale, il complessivo coacervo indiziario posto a fondamento del secondo titolo cautelare a carico del B., pur composto in parte da atti acquisiti dagli investigatori tempo prima dell’emissione della seconda ordinanza – ma comunque in altra buona parte da fonti indiziarie invece prossime o successive a detta ordinanza -, non era in ogni caso, al momento dell’emissione del primo provvedimento custodiate nella materiale disponibilità della Procura procedente in modo tale da poter essere globalmente esaminato e valutato. Pertanto, la separazione dei due procedimenti non poteva essere ritenuta il frutto di una scelta del Pubblico ministero.

2. Avverso la suddetta ordinanza, ricorre per cassazione il difensore di B.M., denunciando:

– la violazione dell’art. 297, comma 3, e art. 125 cod. proc. pen., comma 3, il vizio di motivazione ed il travisamento dei fatti. Il ricorrente, dopo aver illustrato la giurisprudenza costituzionale e di legittimità sull’art. 297 cod. proc. pen.,, comma 3, con l’integrale riproduzione delle rilevanti sentenze, deduce la sussistenza dei presupposti per l’applicabilità della retrodatazione dei termini di durata della custodia cautelare, poichè la seconda ordinanza riguardava fatti anteriori e connessi in via qualificata, in quanto facenti parte del medesimo disegno criminoso, con quelli oggetto della seconda ordinanza, dei quali il P.M. procedente era già a conoscenza fin dal 2007-2008.

– la manifesta contraddittorietà ed illogicità della motivazione del provvedimento impugnato, poichè gli atti processuali dai quali sono stati desunti i fatti provvisoriamente contestati con la seconda ordinanza risulterebbero già disponibili sin dall’emissione della prima ordinanza, posto che le dichiarazioni indicate dal Tribunale non avrebbero apportarono nulla di nuovo rispetto alle precedenti acquisizioni (in particolare l’audizione dei due collaboratori C. ed A. e le dichiarazioni rese dalle parti offese C. e R.). Si denuncia inoltre che le associazioni oggetto delle distinte ordinanze non sono altro che la medesima organizzazione.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è infondato.

Le Sezioni Unite di questa Suprema Corte hanno stabilito, in tema di "contestazione a catena", che quando nei confronti di un imputato sono emesse in procedimenti diversi davanti alla stessa autorità giudiziaria più ordinanze cautelari per fatti diversi in relazione ai quali esiste la connessione qualificata, di cui all’art. 297 cod. proc. pen.,, comma 3, il meccanismo ivi previsto della retrodatazione opera solo se gli elementi giustificativi della seconda ordinanza erano già desumibili dagli atti al momento della emissione della prima e la loro separazione possa essere quindi frutto di una scelta del pubblico ministero (Sez. U, n. 14535 del 2007, ud. 19/12/2006, Librato, Rv. 235909). La Corte ha chiarito che, mentre in presenza di una connessione qualificata il meccanismo della retrodatazione opera automaticamente, e dunque è sufficiente che le condizioni richieste dall’art. 297 cod. proc. pen., comma 3, risultino dagli atti, nell’ipotesi in cui la connessione qualificata manca, la retrodatazione costituisce un rimedio rispetto a una scelta indebita dell’autorità giudiziaria (in tal senso, Corte cost. n. 408 del 2005), sia nel caso in cui la scelta sia avvenuta procrastinando, nell’ambito di uno stesso procedimento, l’adozione della misura, sia nel caso in cui essa sia avvenuta procrastinando l’inizio del secondo procedimento o tenendolo separato dal primo, come può avvenire per esempio non iscrivendo tempestivamente o separando alcune delle notizie di reato, ricevute o acquisite di propria iniziativa dal pubblico ministero. Pertanto, non giustifica di per sè la retrodatazione – in quanto non immediatamente sintomatico di una scelta indebita – il fatto che l’ordinanza, emessa nel secondo procedimento, si fondi su elementi già presenti nel primo, perchè in molti casi gli elementi probatori non manifestano immediatamente e in modo evidente il loro significato. Perciò il solo fatto che essi fossero già in possesso degli organi delle indagini non dimostra che questi ne avessero individuato tutta la portata probatoria e fossero venuti a conoscenza delle notizie di reato per le quali si è proceduto, in un secondo momento, separatamente. A volte infatti la presa di conoscenza e la elaborazione degli elementi probatori da parte degli organi delle indagini richiede tempi non brevi, che danno ragione dell’intervallo di tempo trascorso tra l’acquisizione della fonte di prova e l’inizio del procedimento penale (si pensi ai casi in cui ci si trova in presenza di una grande quantità di documenti sequestrati o di complessi documenti contabili, da sottoporre all’esame di un consulente tecnico, o di numerose intercettazioni, protrattesi per lungo tempo).

2. Nel caso in esame, come esposto in premessa, il Tribunale ha, con motivazione adeguata e priva di vizi logici, escluso la sussistenza tra i fatti provvisoriamente contestati con la prima ordinanza cautelare e quelli oggetto della seconda di una connessione qualificata. A fronte di tali argomenti, il ricorrente si limita ad affermare che le due associazioni prese in considerazione dai diversi titoli cautelari siano in realtà un unico sodalizio criminale, invitando questa Corte all’esame degli atti. Va ribadito che il ricorso per cassazione che denuncia il vizio di motivazione deve contenere, a pena di inammissibilità e in forza del principio di autosufficienza, le argomentazioni logiche e giuridiche sottese alle censure rivolte alla valutazione degli elementi probatori, e non può limitarsi a invitare la Corte alla lettura degli atti indicati, il cui esame diretto è alla stessa precluso (Sez. 6, n. 29263 del 08/07/2010, Cavanna, Rv. 248192).

3. Quanto al secondo presupposto (desumibilità degli elementi giustificativi), il Tribunale, facendo buon governo dei principi sopra esposti delle Sezioni unite, ne ha escluso la ricorrenza, osservando che gli elementi corroboranti i gravi indizi di colpevolezza, legittimanti l’adozione della seconda ordinanza custodiale nei confronti del B., si erano concretizzati soltanto all’esito di uno sviluppo successivo dell’attività investigativa, che non si era limitato alla mera riaudizione dei collaboranti e delle persone informate su fatti già noti, ma si era articolato nell’acquisizione di documentazione amministrativo- contabile presso le parti offese, nello svolgimento di controlli incrociati presso le imprese interessate alle operazioni estorsive, nell’acquisizione di ulteriori dichiarazioni che avevano completato il quadro indiziario, così da offrire i necessari riscontri alle dichiarazioni delle parti offese e dei collaboranti. Non era infatti sufficiente che il p.m. avesse una generica conoscenza della notizia di reato, ma era necessario che lo stesso fosse concretamente nella materiale disponibilità degli atti ed in grado di esaminare compiutamente la sufficienza e la fondatezza degli elementi probatori raccolti, potendo solo all’esito di una compiuta disamina contestualizzare eventualmente le varie fattispecie oggetto di distinte contestazioni.

Sul punto, il ricorrente contesta che nessun elemento di novità sarebbe stato apportato da queste ultime acquisizioni, ma in tal modo introduce una quaestio facti, come tale sottratta alla valutazione del giudice di legittimità, al quale spetta soltanto di verificare che l’ordinanza impugnata sia sorretta da una motivazione logica e coerente alle descritte emergenze processuali e probatorie.

4. Al rigetto del ricorso segue per legge la condanna del ricorrente al pagamento delle spese dell’attuale giudizio. La cancelleria curerà gli incombenti di comunicazione connessi allo stato di detenzione cautelare del B..

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. cod. proc. pen., comma 1 ter.
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *