Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 13-10-2011) 11-11-2011, n. 41351

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con la ordinanza in epigrafe, il Tribunale di Catanzaro rigettava l’istanza di riesame proposta da P.A. avverso l’ordinanza della Corte di appello di Catanzaro che aveva applicato al predetto la misura cautelare della custodia in carcere per il reato di cui al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 74.

All’esito del giudizio di primo grado, con sentenza del 2 marzo 2010, il Tribunale di Castrovillari aveva ritenuto colpevole il P. dei reati di cui al capo 1) (art. 416 bis cod. pen.) e al capo 98) (art. 74, commi 1, 2, 3 e 5, in relazione al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80, comma 1, lett. c) e comma 2), condannandolo alla pena di anni quattordici di reclusione.

Era stato accertato che il P. era organico alla consorteria di stampo ‘ndranghetistico dei Forastefano, egemone in Cassano allo Ionio ed in tutta la zona della Sibaritide, e operante in diversi settori criminali (estorsioni in danno di imprenditori e commercianti della zona, prestito ad usura, truffe ad enti pubblici, l’agevolazione della immigrazione clandestina, violazioni in materia di armi e spaccio di stupefacenti) ed intraneo anche alla parallela e collegata organizzazione associativa costituita nel settore del traffico di stupefacenti. All’esito del giudizio di primo grado, il P. risultava sottoposto a custodia intramuraria solo per il primo capo.

Secondo il Tribunale adito, non vi erano sono ragioni per ritenere superata, in capo al ricorrente, la presunzione cautelare di cui all’art. 275 cod. proc. pen., comma 3, dovendo pertanto trovare applicazione la presunzione assoluta ivi prevista quanto all’adeguatezza della misura di massimo rigore.

Il Tribunale riteneva che lo stretto rapporto di solidarietà e cointeressenza delinquenziale, proprio delle associazioni di stampo mafioso e corroborato dall’appartenenza del prevenuto ad un gruppo stabilmente dedito al traffico di droga, unitamente all’elevata pena inflitta in primo grado ed ai suoi precedenti penali (tre condanne per violazioni in materia di armi), costituivano elementi sintomatici sia di un elevatissimo e concreto pericolo di reiterazione criminale sia, allo stesso tempo, del pericolo di fuga, potendosi l’indagato avvalere del fitto reticolo di complicità e di assistenza proveniente dagli ambienti di criminalità organizzata in cui era inserito.

2. Avverso la suddetta ordinanza, ricorre per cassazione l’imputato, denunciando:

– la violazione dell’art. 274 cod. proc. pen., per mancanza dell’attualità e concretezza del pericolo di fuga e di reiterazione del reato. Risulterebbe accertata in primo grado la mancanza di attualità della condotta ascritta all’imputato, posto che l’associazione finalizzata al traffico di sostanza stupefacente sarebbe rimasta attiva ed operante fino al luglio 2007, per essere stata smantellata con la cd. Operazione Omnia avvenuta in quel periodo, e non sussisterebbe alcun elemento idoneo per ritenere ancora operante l’associazione stessa. Inoltre, mancherebbe la concretezza delle esigenze cautelari invocate, in quanto l’imputato avrebbe riportato un unico precedente penale, costituito da un patteggiamento per un episodio di detenzione e ricettazione di un’arma del novembre 2006. Il Tribunale non avrebbe poi considerato il tempo trascorso dai fatti, che aveva motivato nel corso delle indagini preliminari il rigetto da parte del G.i.p. di applicazione della misura cautelare per tale titolo di reato.

– la violazione dell’art. 275 cod. proc. pen., comma 3, in quanto il titolo di reato contestato non esimeva il giudice dal ricorrere ai criteri di adeguatezza e proporzionalità previsti dalla norma e prendere in considerazione la possibilità di tutelare tali esigenze mediante l’applicazione di una misura meno afflittiva, quale quella degli arresti domiciliari che ben avrebbe potuto impedire ad un tempo tanto il pericolo di fuga quanto la reiterazione dei reati, tenendo nel giusto riguardo l’entità del tempo trascorso dalla commissione del reato, circostanza questa che certamente fa scemare la pericolosità dell’imputato e, quindi, orientare la scelta del Giudice verso una misura meno gravosa della custodia in carcere.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è fondato, nei termini di seguito indicati.

2. Con sentenza n. 231 del 2011, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 275 c.p.p., comma 3, secondo periodo, come modificato dal D.L. 23 febbraio 2009, n. 11, art. 2 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonchè in tema di atti persecutori), convertito, con modificazioni, dalla L. 23 aprile 2009, n. 38, nella parte in cui – nel prevedere che, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine al delitto di cui al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 74, è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari – non fa salva l’ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure.

Il Giudice delle leggi, nel ribadire i principi costituzionali che devono guidare il legislatore nella disciplina delle misure cautelari, ha rilevato che la disciplina dettata dal secondo e dal terzo periodo dell’art. 275 cod. proc. pen., comma 3 – inserita tramite una serie di interventi novellistici – si discosta vistosamente dalle coordinate che devono caratterizzare il sistema cautelare, consistenti nel predisporre una gamma di misure alternative, connotate da differenti gradi di incidenza sulla libertà personale (modello della "pluralità graduata"), e nel prefigurare, in corrispondenza, criteri per scelte "individualizzanti" del trattamento cautelare, coerenti ed adeguate alle esigenze configurabili nei singoli casi concreti. Al contrario, la norma scrutinata stabilisce, rispetto ai soggetti raggiunti da gravi indizi di colpevolezza per taluni delitti, una duplice presunzione: relativa, quanto alla sussistenza delle esigenze cautelari; assoluta, quanto alla scelta della misura, reputando il legislatore adeguata, ove la presunzione relativa non risulti vinta, unicamente la custodia cautelare in carcere, senza alcuna possibile alternativa.

Pur nella particolare gravità che il delitto di cui all’art. 74 cit. assume nella considerazione legislativa, la presunzione assoluta di adeguatezza della sola custodia carceraria, secondo la Corte costituzionale, non risulta assistita da adeguato fondamento razionale, trattandosi di fattispecie, per così dire, "aperta", che, descrivendo in definitiva solo lo scopo dell’associazione e non anche specifiche qualità di essa, si presta a qualificare penalmente fatti e situazioni in concreto i più diversi ed eterogenei: da un sodalizio transnazionale, forte di una articolata organizzazione, di ingenti risorse finanziarie e rigidamente strutturato, al piccolo gruppo, talora persino ristretto ad un ambito familiare, operante in un’area limitata e con i più modesti e semplici mezzi.

Pertanto, secondo il Giudice delle leggi, la presunzione assoluta di adeguatezza sancita dalla norma censurata deve essere trasformata, in rapporto al delitto associativo in esame, in presunzione solo relativa, dovendo pertanto il giudice verificare che non siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure.

4. La pronuncia del Giudice delle leggi incide in modo centrale sul percorso logico-giuridico dell’impugnata ordinanza che si basava proprio sulla presunzione di adeguatezza ex lege della misura carceraria.

Si impone pertanto annullamento con rinvio della ordinanza impugnata, perchè, avuto riguardo a tale sentenza della Corte costituzionale, il Tribunale valuti se, in relazione agli elementi emersi nel caso concreto, le esigenze cautelari possano essere soddisfatte, eventualmente, con altre, meno gravose, misure.

Nel nuovo esame, il Tribunale dovrà anche rivalutare il quadro cautelare ed in particolare l’incidenza dell’elemento del "decorso del tempo", che può essere utilmente apprezzato ai fini di superare la presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari, quando – come prospettato dal ricorrente – la stessa associazione criminale si sia sciolta da tempo.

La cancelleria provvederà alla comunicazione prevista dall’art. 94 disp. att. cod. proc. pen., comma 1 ter.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Catanzaro. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. cod. proc. pen., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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