Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 12-10-2011) 11-11-2011, n. 41134

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza del 2 maggio 2011 il Tribunale di Cagliari, costituito ai sensi dell’art. 310 c.p.p., rigettava l’appello proposto da C.A. avverso il provvedimento in data 11 aprile 2011 con il quale il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Cagliari aveva respinto la domanda di sostituzione della misura della custodia cautelare in carcere, disposta in relazione al delitto di danneggiamento seguito da incendio commesso in concorso con il figlio F., con quella degli arresti domiciliari ai sensi del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 89.

Il Tribunale sottolineava la inadeguatezza ed inidoneità della documentazione offerta a supporto della invocata applicabilità, al caso di specie, della disciplina di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 89, attesa la estrema genericità del programma allegato all’istanza, non sufficientemente articolato nelle concrete modalità di applicazione e non dissimile da quello ordinariamente previsto per la frequentazione del servizio per le tossicodipendenze.

Sottolineava, inoltre, la sussistenza di esigenze cautelari di particolare rilevanza, attesa l’elevata pericolosità sociale dimostrata da C.A., gravato da numerosi precedenti specifici, tra cui una recente condanna per sequestro di persona, lesioni aggravate e violenza privata, mediante la commissione di un delitto di particolare allarme sociale (incendio appiccato in ora notturna ad un’abitazione privata quale forma di ritorsione per uno sgradito scherzo telefonico). Richiamava, anche, il fatto che il 3 febbraio 2011 il Tribunale di Cagliari aveva respinto analoga istanza presentata dall’indagato nella quale non era in alcun modo prospettata la volontà di C. di sottoporsi ad un programma terapeutico nè risultava che lo stesso stesse seguendo alcuna attività tesa al recupero dalla dipendenza e al reinserimento sociale. Argomentava, infine, che C., all’epoca di consumazione del delitto di cui all’art. 424 c.p. aveva già in corso un programma terapeutico-riabilitativo, documentato da certificazione del Sert che, peraltro, non attestava nessuna pregiudizio eventualmente derivante all’indagato dall’interruzione del programma stesso.

2. Avverso la predetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione, tramite i difensore di fiducia, C.A., il quale lamenta inosservanza del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 89 e illogicità della motivazione, alla luce: a) dell’ingiustificata critica al contenuto del programma terapeutico che il giudice non poteva disattendere in presenza della indicazione del metodo di diagnosi, della certificazione della tossicodipendenza o alcool dipendenza e della sua astratta idoneità al recupero del soggetto; b) del contraddittorio richiamo ad una recente condanna, che in realtà concerne un fatto risalente ad otto anni prima; c) dell’insussistenza di esigenze di eccezionale rilevanza idonee a giustificare il diniego del beneficio invocato, rispondente a preminenti esigenze di reinserimento sociale.

Motivi della decisione

Il ricorso è manifestamente infondato.

1. Il D.P.R. n. 309 del 1990, art. 89 detta una speciale disciplina in tema di misure cautelari personali concernenti i tossicodipendenti o gli alcooldipendenti, derogatoria di quella ordinaria e più favorevole, al fine di favorirne il recupero e la riabilitazione in coerente applicazione dei principi di adeguatezza e proporzionalità delle misure cautelari, espressa dall’art. 275 c.p.p.: le modifiche apportate alla norma dalla L. n. 49 del 2006 rispondono all’esigenza di contemperare le esigenze di tutela della sicurezza pubblica con quelle della salute della persona che abbia problemi legati all’abuso di sostanze stupefacenti o di alcolici.

Il giudice ha l’obbligo di disporre la sostituzione della misura con quella degli arresti domiciliari qualora: a) non sussistano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza; b) la persona intenda sottoporsi ad un programma di recupero presso una struttura pubblica o una struttura privata autorizzata; c) ne faccia richiesta, allegando idonea certificazione attestante il suo stato, la procedura con la quale è stato accertato, l’uso abituale delle sostanze stupefacenti o alcoliche, nonchè la dichiarazione di disponibilità all’accoglienza.

Al giudice spetta, in ogni caso, la verifica, formale e sostanziale, della congruità del programma terapeutico in corso o progettato, sulla prospettiva del recupero del soggetto.

Con riguardo alle esigenze cautelari "particolari" che giustificano, come detto, un trattamento di minore favore e alle esigenze cautelari di "eccezionale rilevanza" che comportano l’inapplicabilità assoluta della disciplina in esame, il giudice deve fare riferimento ai parametri dettati dall’art. 274 c.p.p..

2. Il provvedimento impugnato ha fatto corretta applicazione di questi principi. I giudici di merito, infatti, da un lato, facendo corretto esercizio dei poteri loro conferiti dalla legge, hanno sindacato la congruità del programma terapeutico, mettendone in luce la genericità e l’inadeguatezza rispetto alle peculiari esigenze poste dal caso concreto e, dall’altro, con motivazione immune da vizi logici e giuridici, ha specificamente indicato le esigenze cautelari di particolare rilevanza desumibili dalla particolare gravità del fatto, dalle sue modalità di consumazione, dalle relative motivazione, dalla negativa personalità del ricorrente che, esponendo a pericolo l’interesse di tutela della collettività, prevalgono sul valore sociale rappresentato dal recupero del soggetto e, per la loro intensità, fanno ritenere insostituibile la custodia in carcere.

D’altra parte il ricorso, più che individuare singoli aspetti del provvedimento impugnato da sottoporre a censura, tende a provocare una nuova, non consentita valutazione delle circostanze di fatto, in quanto tali insindacabili in sede di legittimità, laddove l’ordinanza impugnata ha correttamente valutato gli elementi risultanti agli atti, con motivazione congrua, adeguata e priva di erronea applicazione della legge penale e processuale.

3. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue di diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di prova circa l’assenza di colpa nella proposizione dell’impugnazione (Corte Cost., sent. n. 186 del 2000), al versamento della somma di mille euro alla cassa delle ammende.

La cancelleria dovrà provvedere all’adempimento prescritto dall’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di mille euro alla cassa delle ammende.

Dispone trasmettersi a cura della cancelleria copia del provvedimento al Direttore dell’istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *