Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 12-10-2011) 11-11-2011, n. 41131

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza del 5 novembre 2010 la Corte d’appello di Milano, in funzione di giudice dell’esecuzione, rigettava l’istanza presenta dalla difesa di L.G.L., volta ad ottenere la riforma del provvedimento di cumulo della Procura generale di Milano del 16 aprile 2007 e, in particolare, un nuovo calcolo della pena mediante la somma algebrica delle pene inflitte con le sentenze indicate ai punti 7, 8, 9 10 del suddetto provvedimento e, fatto salvo il criterio moderatore di cui all’art. 78 c.p., la riduzione di un terzo per il rito abbreviato.

La Corte osservava che il giudicatosi formatosi preclude al giudice dell’esecuzione ogni valutazione sulla determinazione della pena, posto che un’eventuale correzione in sede esecutiva è possibile solo quando vi sia l’irrogazione di una pena illegale, frutto di un errore macroscopico non giustificabile, e non già quando l’irrogazione della pena sia conseguenza di una diversa opzione interpretativa. Nel caso in esame i giudici di merito non avevano commesso un errore di calcolo, bensì, in adesione ad un orientamento giurisprudenziale antecedente all’intervento delle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. Un. N. 25 ottobre 2007, n. 45583), avevano argomentato che il limite dell’art. 78 c.p. opera sulla pena solo dopo la diminuzione di un terzo prevista per la scelta del rito, applicata alle singole sentenze di condanna.

2. Avverso il suddetto provvedimento ha proposto ricorso per cassazione, tramite il difensore di fiducia, L.G., il quale deduce violazione di legge con riferimento alla ritenuta sussistenza della preclusione ad un diverso calcolo della pena in sede esecutiva derivante dal giudicato e all’omessa rilevanza attribuita al mutamento di giurisprudenza intervenuto sulla questione concernente i rapporti tra criterio moderatore ex art. 78 c.p.p. e riduzione correlata alla scelta del rito.

Con una successiva memoria difensiva depositata presso la cancelleria di questa Corte il 10 ottobre 2011 la difesa di L.G. osservava che i principi espressi dal recente intervento delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione comportano un contrasto con l’art. 3 Cost. per ingiustificata disparità di trattamento, laddove prevedono che la riduzione di un terzo in caso di condanna nel giudizio abbreviato deve essere effettuata dal giudice dopo che la pena è stata determinata in osservanza delle norme sul concorso di reati e di pene, pur quando tutti i fatti sono anteriori all’inizio della detenzione, sono in continuazione e sono stati tutti giudicati con il rito abbreviato.

Motivi della decisione

Il ricorso non è fondato.

1. Ai sensi del combinato disposto dell’art. 663 c.p.p., comma 1 e art. 80 c.p., quando nei confronti della stessa persona sono state pronunziate più sentenze (o sono stati emessi più decreti penali di condanna) per reati diversi, il pubblico ministero determina la pena da eseguire nel rispetto dei criteri dettati dalle norme sul concorso di pene. Poichè il codice di rito non contiene alcuna disposizione derogatrice di tale principio di carattere generale che deve essere, a sua volta, coniugato con la regola dell’intangibilità del giudicato e con il carattere eccezionale della potestà del giudice dell’esecuzione di rideterminare la pena in sede esecutiva, la diminuente per il rito abbreviato non può essere applicata nel procedimento di esecuzione di pene concorrenti, inflitte al medesimo imputato in distinti ed autonomi procedimenti.

La finalità dell’art. 442 c.p.p., comma 2, è quella di garantire all’imputato la possibilità di ottenere, nell’ambito dei singoli processi in cui abbia chiesto di essere ammesso al giudizio abbreviato, in caso di condanna, la riduzione di un terzo della pena.

Per ovvie ragioni di razionalità e di coerenza del sistema è fatto, invece, divieto al condannato di ottenere una duplicazione di tale beneficio, laddove si debba procedere al cumulo materiale o giuridico delle pene inflitte per più reati oggetto di distinti procedimenti nell’ambito dei quali l’imputato abbia, di volta in volta, ritenuto o meno di accedere al rito semplificato.

Tale disparità di moduli applicativi nelle sequenze procedurali di determinazione della pena trova un razionale elemento di giustificazione non solo nella oggettiva diversità giuridica delle situazioni processuali, ma anche nell’efficacia preclusiva derivante dall’intangibilità del giudicato. Occorre, inoltre, sottolineare che la regola dettata dall’art. 78 c.p., pur essendo indubbiamente operante anche nella fase dell’esecuzione ( art. 80 c.p.), ha una portata e un perimetro applicativo circoscritti, nel senso che l’obbligatorietà della formazione del cumulo nell’esecuzione di pene concorrenti non è preclusivo della possibilità che il soggetto, il quale abbia riportato più condanne a pene detentive temporanee, possa rimanere complessivamente detenuto, nel corso della sua vita, per un periodo di tempo eccedente quello massimo indicato in trent’anni (Sez. Un. N. 45583 del 2007).

2. Il principio della eccezionalità della potestà del giudice dell’esecuzione – tassativamente circoscritta ai soli casi indicati dalla legge – di rideterminare la pena (cfr. ex plurimis Sez. 1, 18 giugno 2006, n. 31429) e la regola dell’intangibilità del giudicato sono stati, quindi, correttamente richiamati nel provvedimento impugnato che è esente da censure nella parte in cui, dopo avere sottolineato l’esistenza della preclusione derivante dal giudicato formatosi sulle deliberazioni adottate nei confronti di L.G. in senso diverso da quello prospettato dal ricorrente, ha messo in rilievo l’irrilevanza dell’intervenuto mutamento di giurisprudenza sui rapporti tra criterio moderatore ex art. 78 c.p. e riduzione della pena ai sensi dell’art. 442 c.p.p., comma 2, rispetto ad una pena che non è illegale e non è frutto di un macroscopico errore interpretativo, bensì è espressione della mediata adesione ad un’opzione ermeneutica, pur se successivamente superata.

Una conclusione del genere appare rispettosa dei criteri espressi dall’ordinamento processuale, coerente con le esigenze di razionalità e certezza dallo stesso perseguite e non determina alcuna ingiustificata disparità di trattamento, lesiva del parametro costituzionale ( art. 3 Cost.) a fronte dell’opportunità, concessa a L.G. in sede di cognizione, di usufruire della diminuente per il giudizio abbreviato nell’ambito dei singoli processi in cui è stato giudicato e condannato.

Al rigetto del ricorso consegue di diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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