Cassazione civile anno 2005 n. 1596 Proroga legale

LOCAZIONE DI COSE

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Svolgimento del processo
Con atto notificato il 20.1.1988 la s.p.a. R. P. S. intimava alla s.p.a. S. licenza per finita locazione alla data del 14.3.1988 in relazione a locazione non abitativa stipulata il 7.3.1979 per la durata di anni nove e la citava contestualmente per la convalida davanti al Pretore di Roma.
L’intimata si opponeva; eccepiva che, trattandosi di un diniego di rinnovo alla prima scadenza, doveva essere seguita la procedura prevista dall’art. 46 della legge n. 392 del 1978; in via riconvenzionale chiedeva dichiararsi la nullità delle clausole n, 2 e 5 con le quali aveva preventivamente rinunziato ai diritti di rinnovazione e prelazione ed all’indennità di avviamento, e della clausola n. 16 con la quale era previsto, in caso di contestazione sull’esclusione della rinnovazione, che la rinnovazione avrebbe avuto una durata triennale, fino al 14.3.1991.
Il pretore negava l’ordinanza di rilascio e rimetteva le parti davanti al tribunale.
Riassunto il giudizio, la R. P. S. chiedeva dichiararsi la cessazione del contratto alla data del 14.3.1988, o, in subordine, del 14.3.1991. La S. chiedeva l’accoglimento della riconvenzionale.
Il tribunale, con sentenza del 6.4.1990, rigettava sia la domanda che la riconvenzionale; compensava le spese.
Proponeva appello la R. P. S., insistendo per l’accoglimento della domanda. Resisteva la S. che proponeva a sua volta appello incidentale chiedendo l’accoglimento della riconvenzionale.
La Corte d’appello di Roma, con sentenza del 25.6.1992, accoglieva l’appello principale e dichiarava cessato il contratto alla data del 14.3.1988; rigettava l’appello incidentale nella parte relativa ai punti della controversia investiti dall’impugnazione principale e lo dichiarava inammissibile nella parte relativa alle questioni di nullità sollevate sulle rinunzie alla prelazione ed all’indennità di avviamento.
Pronunciando sul ricorso della S., la Corte di Cassazione, con sentenza n. 10270/95, lo accoglieva parzialmente, cassando la sentenza impugnata nella parte in cui aveva ritenuto valida la preventiva rinunzia alla rinnovazione.
La Corte d’appello di Roma, in sede di rinvio, con sentenza del 20.7.2000, dopo aver dichiarato, facendo applicazione del principio di diritto enunciato dalla Cassazione, la nullità della clausola di rinunzia preventiva del conduttore alla rinnovazione, ha esaminato la domanda subordinata di cessazione del rapporto alla data del 14.3.1991, ed ha ritenuto valida la clausola n. 16, con la quale si prevede, nel caso di contestazione sull’esclusione del diritto di rinnovazione alla prima scadenza novennale (14.3.1988), che la rinnovazione non si sarebbe potuta protrarre oltre il 14.3.1991, e cioè per tre anni, ed ha quindi dichiarato cessata la locazione a tale data. Ha considerato la corte che l’indicata pattuizione appare del tutto valida, in quanto rispetta comunque la previsione di legge che, dando tutela alle esigenze dei conduttori, ha voluto assicurare la disponibilità del bene, in via normale, per la durata di dodici anni.
Avverso la sentenza la S. ha proposto ricorso per Cassazione affidandone l’accoglimento a due motivi.
Ha resistito, con controricorso, la R. P. S..

Motivi della decisione
1. Con il primo motivo, denunciando violazione e/o falsa applicazione degli artt. 384 c.p.c., 1418 e 1419 c.c., 27, 28 e 79 della legge n. 392 del 1978, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, in riferimento all’art. 360, n, 5, c.p.c., il ricorrente censura l’impugnata sentenza nella parte in cui ha ritenuto valida la clausola con la quale le parti hanno previsto, in relazione a locazione non abitativa stipulata per la durata di nove anni, che la eventuale rinnovazione avrebbe avuto la durata di anni tre, così determinando una complessiva durata di dodici anni.
Sostiene: che l’art. 28 della legge n. 392 del 1978 prescrive che il contratto di locazione ad uso diverso dall’abitazione si rinnova di sei anni in sei anni; che il contratto in oggetto, dopo la prima scadenza convenzionale di nove anni, deve intendersi rinnovato per il periodo previsto dalla legge di sei anni; che la clausola sulla durata del contratto che, nel suo complesso, prevedeva la cessazione del rapporto alla prima scadenza ed il rinnovo, in subordine, per soli tre anni, è quindi nulla, perchè contraria all’art. 79 della citata legge, posta a tutela inderogabile dell’art. 28. 2. Il motivo è fondato.
2.1. Questa Corte, esaminando una fattispecie analoga, ha avuto modo di statuire che, in tema di locazione di immobili per lo svolgimento di una delle attività indicate nell’art. 27 della legge n. 392 del 1978, la previsione di un termine di durata del contratto superiore a quella minima di legge non esclude la applicabilità della disciplina del rinnovo alla prima scadenza di cui al successivo art. 28, ancorchè la durata del contratto inizialmente pattuita sia uguale o superiore a quella di dodici (o diciannove) anni risultante dalla somma della durata minima legale iniziale e da quella minima di rinnovo, rispettivamente disposta per le attività indicate nei primi due commi dell’art. 27 e nel terzo comma del medesimo articolo (sent. n. 22129/04).
Con la citata sentenza, ha osservato la Corte, che, nel disciplinare la locazione di immobili urbani adibiti ad uso diverso da quello abitativo, il legislatore ha inteso assicurare al conduttore, in ragione di alcune particolari attività da questi svolte nell’immobile condotto in locazione, una congrua durata del rapporto ed una continuità dello stesso.
A tale scopo sono state previste due distinte norme dirette a soddisfare le due esigenze sopra indicate: la prima (art. 27) è infatti volta ad assicurare una durata minima iniziale del contratto;
la seconda (art. 28, completata dall’art. 29) è invece diretta ad assicurare la continuità del rapporto.
La disciplina contenuta nell’art. 27 costituisce una deroga all’art. 1574 c.c., nel senso che la locazione senza determinazione della sua durata si intende stipulata per il periodo minimo di sei o nove anni, ed un limite all’autonomia delle parti, nel senso che la locazione non può essere stipulata per un periodo inferiore a quelli minimi;
nel caso ciò avvenisse la locazione si intenderà pattuita per la durata minima legale. Le parti restano naturalmente libere di stabilire una durata superiore a quella minima, nel qual caso la durata pattuita sarà quella vincolante per le parti.
La disciplina dettata dall’art. 28 costituisce una deroga all’art. 1596, primo comma, c.c., nel senso che la locazione, pur essendo a termine (quello minimo di legge o quello superiore pattuito dalle parti) non cessa con lo spirare dello stesso, senza che sia necessaria la disdetta, ma si. rinnova se questa non sia data.
Il primo comma dell’art. 28 afferma che la locazione, indipendentemente dalla misura della durata iniziale e quindi anche se la stessa è stata pattuita in misura superiore a quella minima legale, si rinnova di sei anni in sei anni o di nove anni in nove anni, da intendersi come durata minima, potendo le parti nella loro autonomia stabilire una durata superiore indipendentemente dalla durata iniziale ovvero corrispondente a quella iniziale già pattuita in misura superiore a quella minima.
Il secondo comma dell’art. 28 detta poi una disciplina particolare con riferimento alla prima scadenza; recita infatti la norma che "alla prima scadenza contrattuale, rispettivamente di sei o di nove anni, il locatore può esercitare la facoltà di diniego della rinnovazione soltanto per i motivi di cui all’articolo 29 con le modalità e i termini ivi previsti".
Dalla lettera del secondo comma dell’art. 28 si è voluto inferire che la disciplina del diniego di rinnovazione alla prima scadenza sia applicabile solo nel caso in cui il contratto abbia la durata minima iniziale corrispondente a quella minima di legge, sostenendosi che l’art. 28 della legge n. 392 del 1978 prevede espressamente per il locatore l’obbligo di motivare ai sensi dell’art. 29 il diniego di rinnovazione, soltanto alla prima scadenza contrattuale, rispettivamente di sei o nove anni, soltanto cioè nel caso in cui la durata del contratto sia non superiore a quella minima di legge, ed argomentando altresì che la finalità dell’art. 28 è evidentemente quella di assicurare al rapporto una durata minima pari, rispettivamente, ad anni dodici o ad anni diciotto, salvo che il locatore opponga una diniego di rinnovazione, motivato ai sensi del successivo art. 29.
Tale interpretazione non può essere seguita.
Essa, infatti, non tiene conto, sul piano sistematico, del diverso fine, sopra indicato, che la norma sulla durata minima iniziale del contratto persegue rispetto alla norma che regola la disciplina della rinnovazione; confonde, inoltre, la durata minima complessiva del rapporto, risultante dalla somma tra il termine minimo iniziale di durata ed il termine minimo di rinnovo, che risulta di dodici o di diciotto anni, con la durata del rapporto risultante da una diversa volontà delle parti, le quali nel fissare una durata iniziale del rapporto superiore a quella legale, derogano legittimamente alla durata minima fissata dall’art. 27, (che parla di durata non inferiore), ma senza per ciò derogare alla autonoma e distinta disciplina della rinnovazione; non tiene, infine, conto del fatto che, attenendosi alla interpretazione letterale sostenuta, ove fosse stabilita una durata iniziale superiore a quella minima di legge (ma inferiore a dodici o diciotto anni) con negazione del diritto al rinnovo, il rapporto avrebbe una durata complessiva inferiore a dodici o diciotto anni, che è quella minima legale, derivante dalla somma tra la durata minima iniziale e quella conseguente al rinnovo del contratto alla prima scadenza.
La lettera della legge (secondo comma dell’art. 28) non è un ostacolo alla interpretazione della disciplina del rinnovo alla prima scadenza nel senso che essa si applica anche nelle ipotesi in cui sia stata pattuita un durata della locazione superiore a sei o nove anni;
il richiamo alla prima scadenza di sei o nove anni contenuto nell’art. 28 secondo comma, sebbene possa essere fonte di equivoco, si spiega con il fatto che di sei o nove anni è la durata minima iniziale del contratto dettata dall’art. 27 e pertanto tali termini sono stati presi a riferimento dal legislatore, senza che per ciò possa escludersi che la medesima disciplina si applichi anche alla prima scadenza di un contratto il cui termine iniziale di durata sia superiore a quello minimo, atteso che, come si è visto, l’art. 27 parla di durata non inferiore a sei o nove anni.
2.2. Alle suesposte considerazioni il Collegio aderisce, facendole proprie.
Consegue che l’impugnata sentenza, incentrata sul riconoscimento della validità di una pattuizione diretta a limitare ad anni tre la rinnovazione di un contratto ad uso non abitativo originariamente stipulato per la durata di anni nove, "in quanto rispetta comunque la previsione di legge che, dando tutela alle esigenze dei conduttori, ha voluto assicurare la disponibilità del bene, in via normale, per la durata di dodici anni", va cassata.
3. Resta assorbito il secondo motivo, con il quale, denunciando violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1341 e 1418 c.c., viene addebitato alla corte territoriale di non aver rilevato d’ufficio la nullità della clausola sotto il diverso profilo del difetto di specifica approvazione.
4. In conclusione, la sentenza va cassata con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Roma, che si atterrà al seguente principio di diritto:
In tema di locazione oli immobili per lo svolgimento di una delle attività indicate nell’art. 27 della legge n. 392 del 1918, la iniziale pattuizione di un termine di durata del contratto superiore a quella minima di legge non esclude la applicabilità della disciplina del rinnovo alla prima scadenza di cui al successivo art. 28, con la conseguenza che è affetta da nullità, ai sensi dell’art. 79 della legge n. 392 del 1978, la clausola diretta a limitare la durata della rinnovazione sino al compimento di una complessiva durata di anni dodici.
5. Il giudice di rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio di Cassazione.

P. Q. M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della Corte d’appello di Roma.
Così deciso in Roma, il 25 ottobre 2004.
Depositato in Cancelleria il 26 gennaio 2005

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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