Cass. civ. Sez. I, Sent., 18-05-2012, n. 7905 Filiazione naturale

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Svolgimento del processo

1 – Con decreto depositato in data 15 ottobre 2009 il tribunale per i Minorenni di Roma dichiarava inammissibile il ricorso con il quale A.F. aveva chiesto che si provvedesse in merito all’affidamento e al mantenimento del figlio naturale M. N., nato il (OMISSIS), affermando che, essendo al momento della proposizione della domanda la predetta ancora convivente con il padre del minore, N.G., non sussistesse il presupposto della cessazione della convivenza, ravvisato nel disposto dell’art. 317 bis c.c..

1.1 – La Corte di appello di Roma, sezione per i minorenni, con il provvedimento indicato in epigrafe affermava che la domanda era ammissibile, sia perchè il rapporto dei genitori era da qualificarsi, a seguito della crisi della coppia, in termini di coabitazione e non di convivenza, sia perchè nelle more della decisione l’ A. si era allontanata, trasferendosi altrove, dall’abitazione comune.

Nel merito, dispostosi, come richiesto da entrambi i genitori, l’affidamento condiviso del minore, collocato prevalentemente presso la madre, venivano disciplinate le modalità di frequentazione dello stesso con il padre, a carico del quale veniva posto, con decorrenza dalla domanda, un contributo mensile di Euro 400,00, oltre all’onere di contribuire, nella misura del settanta per cento, alle spese straordinarie.

1.2 – Per la cassazione di tale provvedimento il N. propone ricorso, affidato a due motivi, cui l’ A. resiste con controricorso, illustrato da memoria.

Motivi della decisione

2 – Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 317 bis c.c., nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione, rispettivamente, all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5. Si sostiene che correttamente il giudice di primo grado aveva affermato l’inammissibilità della domanda, in considerazione della convivenza dei genitori del minore, costituente, secondo il disposto di cui all’art. 317 bis c.c., un presupposto della domanda.

2.1 – Con il secondo motivo il N. lamenta falsa applicazione dell’art. 156 c.c. e dell’art. 11 preleggi, sostenendo che la decorrenza dell’assegno dalla data della domanda, essendo la convivenza, come accertato dalla stessa corte di appello, cessata in epoca successiva, non era giustificata, in quanto solo dalla cessazione della convivenza può decorrere l’obbligo di un genitore alla contribuzione al mantenimento del figlio collocato o affidato all’altro.

3 – Deve preliminarmente rilevarsi l’infondatezza dell’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dall’ A. in relazione alla natura del provvedimento impugnato. Deve, in proposito, richiamarsi l’orientamento, condiviso dal Collegio, secondo cui la L. 8 febbraio 2006, n. 54, dichiarando applicabili ai procedimenti relativi all’affidamento di figli nati fuori dal matrimonio le regole da essa introdotte per quelli (legittimi) in materia di separazione e divorzio, esprime, per tale aspetto, una evidente assimilazione della posizione dei figli di genitori non coniugati a quella dei figli nati nel matrimonio, in tal modo conferendo una definitiva autonomia al procedimento di cui all’art. 317-bis c.c. rispetto a quelli di cui agli art. 330, 333 e 336 c.c., ed avvicinandolo a quelli in materia di separazione e divorzio con figli minori, senza che assuma alcun rilievo la forma del rito camerale, previsto, anche in relazione a controversie oggettivamente contenziose, per ragioni di celerità e snellezza. Deve pertanto ribadirsi che i provvedimenti emessi in sede di reclamo dalla corte di appello in materia di affidamento di figli naturali sono impugnabili con ricorso per cassazione Cass. 8 giugno 2009 n. 13183; Cass. 30 ottobre 2009, n. 23032; Cass., 4 novembre 2009, 23411).

Parimenti inassecondabili sono le ulteriori deduzioni di inammissibilità, essendo stato il provvedimento impugnato chiaramente indicato ed essendo consentito il ricorso per cassazione ex art. 111 Cost. anche per difetto di motivazione, a seguito delle modifiche introdotte all’art. 360 c.p.c. dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 2. 3 – Il primo motivo è infondato.

Il ricorrente erroneamente qualifica la cessazione della convivenza fra i genitori naturali quale presupposto processuale, trattandosi invece di una condizione dell’azione. Essa, infatti, non incide sulla esistenza o validità del rapporto giuridico processuale (come si verifica, ad esempio, in mancanza o nullità della domanda giudiziale, oppure nell’ipotesi in cui la domanda sia rivolta a giudice incompetente), ma incide sul diritto ad ottenere una sentenza favorevole. Essendo una condizione dell’azione (condizione della sentenza positiva di accoglimento), è necessario che sussista non nel momento in cui viene introdotto il giudizio, ma nel momento in cui la lite viene decisa. Pertanto detta condizione può venire ad esistenza, senza alcun pregiudizio per l’attore, anche in corso di causa, com’è avvenuto nel caso di specie.

4 – La verificazione della circostanza inerente alla cessazione della convivenza in corso di causa, come risulta pacificamente, determina la fondatezza del secondo motivo di ricorso. Ed invero, se l’obbligazione di contribuire al mantenimento del figlio decorre dal momento in cui viene a cessare la convivenza fra i genitori, operando, quanto al periodo anteriore, la presunzione di una partecipazione, in misura proporzionale alle proprie risorse, di ciascuno di essi alla cura e al mantenimento della prole, la decisione impugnata, facendo decorrere l’assegno posto a carico del N. dal momento della domanda, viola il suddetto principio, creando peraltro un obbligo a carico di un soggetto che risulta al riguardo già adempiente, e così determinando una inammissibile duplicazione dell’obbligazione di cui all’art. 147 c.c.. D’altra parte, se l’obbligo di contribuire al mantenimento del figlio naturale – attribuito alla competenza del giudice minorile in base al principio della concentrazione delle tutele (Cass., ord., 3 aprile 2007,n. 8362) – è in qualche misura caudatario dell’affidamento o della collocazione della prole presso l’altro genitore, è evidente che solo dal momento in cui cessi effettivamente la convivenza divengano efficaci le statuizioni in materia di affidamento, e, con esse, i consequenziali provvedimenti di natura economica.

5 – In ‘accoglimento del secondo motivo il provvedimento impugnato deve essere quindi cassato, con rinvio, alla Corte di appello di Roma, che, in diversa composizione, applicherà il principio testè enunciato, provvedendo altresì al regolamento delle spese processuali relative al presente del giudizio.

P.Q.M.

Rigetta il primo motivo di ricorso, accoglie il secondo. Cassa il provvedimento impugnato in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione.

Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti menzionati in sentenza.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della prima sezione civile, il 7 febbraio 2012.

Depositato in Cancelleria il 18 maggio 2012

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