Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 11-10-2011) 11-11-2011, n. 41015

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Hanno proposto ricorso per cassazione C.P. e L. F., per mezzo dei propri difensori, avverso la sentenza della Corte di Appello di Genova del 18.10.2010, che in riforma della sentenza di condanna pronunciata dal Tribunale di Massa, sez. distaccata di Carrara il 3.2.2009, nei confronti del C. per i reati di cui all’art. 485 e art. 61 c.p., nr. 2, art. 640 c.p., comma 2, nr. 1 e nei confronti del L. per il reato di cui all’art. 479 c.p., dichiarò prescritto il reato di falso ascritto al C., e ridusse la pena inflittagli, confermando nel resto la decisione di primo grado.

2. Nell’interesse del C. la difesa deduce il vizio di violazione di legge della sentenza per non avere i giudici di appello rilevato e dichiarato la nullità del giudizio di primo grado per violazione del diritto di difesa.

Il decreto che dispone il giudizio era stato infatti bensì notificato al difensore dello stesso imputato, ma risultava indirizzato al coimputato L. e non al C..

3. Con il secondo motivo, il difensore deduce il vizio di violazione di legge della sentenza in relazione alla dichiarazione di prescrizione del reato di falso, rilevando che in assenza di qualunque prova il giudice di appello avrebbe dovuto pronunciare sentenza assolutoria nel merito, e in relazione alla ribadita responsabilità del C. per il reato di truffa, rilevando che non potrebbe ritenersi artificio o raggiro la mancata comunicazione all’INPS. Da parte dell’imputato, della morte del padre.

4. Il difensore del L. deduce il vizio di violazione di legge e il difetto di motivazione della sentenza ai sensi dell’art. 606, lett. b) ed e), per avere affermato la responsabilità dell’imputato per il reato di cui all’art. 479 c.p. trascurando di considerare che le modalità del fatto e le prassi burocratiche escludevano all’evidenza l’elemento psicologico del reato.

Motivi della decisione

I ricorsi sono manifestamente infondati e vanno pertanto dichiarati inammissibili.

1. Circa la questione processuale sollevata nell’interesse del C., correttamente la Corte territoriale ha rilevato che l’indicazione del nominativo del L. nella copia del decreto di citazione a giudizio indirizzata invece al difensore del C., destinatario della notifica ai sensi dell’art. 159 c.p., corrisponde ad un mero errore materiale facilmente riconoscibile, considerato che l’avv. Beretta era l’unico difensore del C., e difendeva soltanto quest’ultimo, nel procedimento chiaramente indicato nel decreto.

2. La sentenza impugnata non si presta a censura alcuna nella valutazione della responsabilità degli imputati in ordine ai reati per i quali è stata pronunciata condanna. Va condivisa infatti l’ovvia valutazione in termini di indiscutibile concludenza probatoria, della circostanza che alla data della fantomatica delega apparentemente rilasciata al C. dal padre, certificata dal L. come funzionario dell’INPS, il delegante era già deceduto, e non poteva quindi nè rilasciare la firma di delega, nè essere fisicamente presente all’atto, come risulta invece dalla certificazione. Nè può seriamente discutersi della sussistenza degli elementi costituivi della truffa in relazione alla formazione di un falso documento da utilizzare per l’indebita riscossione di assegni previdenziali spettanti al soggetto deceduto, e del falso ex art. 479 c.p. a carico del funzionario che attestò la presenza e la personale apposizione della firma sull’atto di delega da parte dell’apparente delegante, per quanto potessero essere disinvolte e superficiali le prassi burocratiche del caso.

3. Quanto al reato di falso ex art. 485 c.p., dichiarato prescritto, le deduzioni difensive vanno agevolmente rovesciate, nel senso che non si comprende come potrebbe risultare la prova dell’autenticità di una sottoscrizione rilasciata da soggetto anteriormente deceduto.

Alla stregua delle precedenti considerazioni, i ricorsi vanno pertanto dichiarati inammissibili, con la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno della somma di Euro 1000,00 alla Cassa delle Ammende, commisurata all’effettivo grado di colpa degli stessi ricorrenti nella determinazione della causa di inammissibilità. ricorrenti vanno condannati inoltre alla rifusione delle spese sostenute in questo grado dalla parte civile INPS, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno della somma di Euro 1000,00 alla Cassa delle Ammende, nonchè alla rifusione delle spese sostenute in questo grado dalla parte civile INPS, che liquida in complessivi Euro 2251,00, oltre I.V.A., C.P.A. e spese generali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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