Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 29-09-2011) 11-11-2011, n. 41039

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale del riesame di Roma, con ordinanza in data 26 aprile 2011, confermava l’ordinanza emessa dal Gip presso il Tribunale di Frosinone, in data 7 aprile 2011, con la quale veniva applicata nei confronti di L.R. la misura cautelare della custodia in carcere con riferimento ai reati, in concorso, di tentata estorsione e detenzione di esplosivo, attribuendo allo stesso il ruolo di mandante dell’attentato subito da T.M. il (OMISSIS).

Il difensore dell’indagato proponeva ricorso per cassazione deducendo i seguenti motivi:

a) omessa e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla sussistenza di gravi indizi di colpevolezza essendosi limitato il Tribunale del riesame ad una asettica elencazione di "fonti probatorie", senza alcuna valutazione critica e senza, quindi ridurre ad unità – e dunque armonizzare – gli elementi di prova.

Evidenziava, inoltre, l’illogicità della motivazione con riferimento alla valutazione delle conversazioni intercettate da cui il Tribunale avrebbe tratto gravi indizi di colpevolezza a seguito delle due diverse interpretazioni, fornita dall’indagato, alle minacce profferite;

b) omessa e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla sussistenza delle esigenze cautelari, acriticamente assunte in termini di certezza anche in considerazione nel tempo trascorso tra il reato e l’emissione dell’ordinanza cautelare che avrebbe imposto una valutazione concreta ed effettiva dell’attualità del pericolo di reiterazione del reato;

c) omessa e manifesta illogicità della motivazione in relazione ai criteri di scelta della misura massimamente afflittiva.

Motivi della decisione

Il ricorso è manifestamente infondato e va dichiarato inammissibile.

1) In tema di motivazione dell’ordinanza applicativa della custodia cautelare, l’obbligo di cui all’art. 125 c.p.p., comma 3, è soddisfatto anche mediante l’esplicito riferimento alla precedente ordinanza coercitiva, trattandosi di provvedimento ritenuto valido nei suoi contenuti sostanziali, la cui valutazione è, così, fatta consapevolmente propria dal giudice che procede e risulta idonea a rendere edotto l’interessato dell’"iter" logico seguito per pervenire alla decisione adottata. Il Tribunale del riesame ha desunto gravi indizi di colpevolezza nei confronti dell’indagato dalle dichiarazioni rese al Pubblico Ministero dalla persona offesa T.M. che ha fornito un plausibile movente dell’attentato ai suoi danni e sui responsabili, movente confortato dall’esito della perquisizione presso l’abitazione del L. che portava al rinvenimento di documentazione amministrativa e contabile relativa alla Maxauto, in relazione alla cui cessione, di fatto, all’indagato la parte offesa vantava ancora pretese economiche.

Ulteriori elementi sono stati tratti dal Tribunale del riesame dalle conversazioni telefoniche intercettate nel corso delle quali l’indagato aveva formulato minacce, a cui fornisce, a distanza di soli tre giorni, due diverse interpretazioni in relazione alla espressione: "gli faccio vedere io quello che ci faccio, ci faccio un lavoro e se lo ricorda vita natural d.". Il Tribunale evidenzia, al riguardo, la contraddittorietà delle diverse giustificazioni fornite in quanto dapprima l’indagato affermava farsi riferimento all’intenzione di far pagare l’Iva, mentre successivamente giustificava tali espressioni con la volontà di rivolgersi a un avvocato. I giudici del riesame valutano anche le ulteriori conversazioni telefoniche e i riscontri dei tabulati telefonici per dedurne elementi sintomatici di responsabilità, sia pure a livello indiziario, a carico dell’indagato. Secondo l’orientamento di questa Corte, condiviso dal Collegio, "la modifica apportata all’art. 292 c.p.p., comma 2, con la L. 8 agosto 1995, n. 332 che ha introdotto la partizione c) bis, non impone al giudice del riesame un onere di motivazione tale da rendere necessaria un’analisi puntuale di ogni elemento fornito dalla difesa, quando l’irrilevanza di simile elemento risulti chiara dall’esposizione delle specifiche esigenze cautelari o degli indizi che legittimano in concreto la misura disposta" (Cass. Sez. 1 sent. 990 del 04.03.1996 dep. 04.04.1996 rv 205048).

2) Anche il secondo motivo è inammissibile.

La disposizione di cui all’art. 292 c.p.p., comma 2, lett. c) – che prevede tra i requisiti dell’ordinanza lo specifico riferimento al "tempo trascorso dalla commissione del reato" – impone al giudice di motivare circa il punto menzionato sotto il profilo della valutazione della pregnanza della pericolosità del soggetto in proporzione diretta al "tempus commissi delicti" dovendosi ritenere che ad una maggiore distanza temporale dai fatti corrisponda un affievolimento delle esigenze cautelari. Sez. 2, Sentenza n. 21564 del 08/05/2008 Cc. (dep. 28/05/2008) Rv. 240112). L’arco temporale (circa 1 anno e sei mesi) trascorso tra il verificarsi dei fatti addebitati e l’applicazione della misura cautelare, pur non essendo elemento da solo sufficiente ad escludere l’attualità e la concretezza del pericolo di cui all’art. 274 c.p.p., comma 1, lett. c), necessita di giustificazione sul dato relativo alla lontananza nel tempo dei fatti contestati e la acquisizione di positive e specifiche emergenze atte a suffragare l’ipotizzato periculum in liberiate, desunto dalla tipologia dei reati contestati, dalla particolare natura della ricettazione e dal ruolo svolto dai protagonisti.

Nel caso di specie il Tribunale ha esaminato, sia pure implicitamente, tale elemento, dimostrando di aver tenuto in debito conto la pregnanza del periculum di reiterazione di fatti criminosi in proporzione diretta con il tempus commissi delicti, ritenendo insussistente, anche alla luce di tale circostanza, l’affievolimento delle esigenze di cautela. 3) Inoltre, il Tribunale – contrariamente a quanto affermato dal ricorrente – ha fornito una motivazione sufficiente, logica e non contraddittoria sull’esigenze cautelari.

Ha, infatti, evidenziato la oggettiva gravità dei fatti, la capacità di reclutare noti e pericolosi pregiudicati locali, rivelatrice di una preoccupante contiguità con ambienti criminali, ponendo in rilievo l’attitudine dimostrata al recupero del denaro mediante la commissione di truffe, la spregiudicatezza palesata nel regolare i rapporti con gli avversari, ritenendo sussistenti le esigenze cautelari di prevenzione speciale di cui all’art. 274 c.p.p., lett. c).

Tale motivazione appare adeguata a spiegare la scelta della custodia cautelare in carcere quale unica misura idonea a prevenire il pericolo di reiterazione di reati della stessa specie e di fuga, alla luce dell’orientamento di questa Corte, condiviso dal Collegio, secondo il quale in tema di scelta e adeguatezza delle misure cautelari, ai fini della motivazione del provvedimento di custodia in carcere non è necessaria un’analitica dimostrazione delle ragioni che rendono inadeguata ogni altra misura, ma è sufficiente che il giudice indichi, con argomenti logico-giuridici tratti dalla natura e dalle modalità di commissione dei reati nonchè dalla personalità dell’indagato, gli elementi specifici che, nella singola fattispecie, fanno ragionevolmente ritenere la custodia in carcere come la misura più adeguata ad impedire la prosecuzione dell’attività criminosa, rimanendo in tal modo superata e assorbita l’ulteriore dimostrazione dell’inidoneità delle subordinate misure cautelari. (Cass. Sez. 1, sent.n. 45011 del 26.9.2003 dep. 21.11.2003 rv 227304). Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di Euro mille, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

Non conseguendo dalla presente sentenza la rimessione in libertà dell’indagato, si dispone che la cancelleria, ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter, trasmetta copia di questo provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario nel quale è detenuto il ricorrente.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille alla Cassa delle ammende. Si provveda a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p..

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