Cassazione civile 11482/2011 Prima chiede l’accertamento dell’usucapione abbreviata, poi di quella ordinaria: non è domanda nuova!

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

…omissis…

Riassunto il giudizio di rinvio, la Corte di appello rigettava la domanda sul rilievo che non era maturato il termine ventennale per l’usucapione, escludendo che con la sentenza emessa dal Pretore e poi con quella del Tribunale si fosse formato un giudicato implicito su tale questione;

dichiarava inammissibile, perchè nuova, la domanda formulata ex art. 1159 bis cod. civ., nel corso del giudizio.

Ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi T. A. Ha resistito l’intimata proponendo ricorso incidentale.

2. Il ricorso principale può essere trattato in camera di consiglio ai sensi degli artt. 376, 380 bis e art. 375 cod. proc. civ., essendo manifestamente infondato, mentre va dichiarato inammissibile quello incidentale.

RICORSO PRINCIPALE. Il primo motivo lamenta la violazione del principio di intangibilità degli effetti della sentenza della Cassazione, non potendo il giudice di rinvio esaminare questioni che costituiscono il presupposto della sentenza di annullamento, tanto più nel caso – come nella specie – di cassazione per violazione di legge: infatti, la S. C. aveva considerato pacifico il decorso del termine per usucapire accertato dalla sentenza di appello.

Il secondo motivo deduce che la sentenza del Tribunale di Messina aveva ritenuto che era decorso il termine utile per l’usucapione con statuizione che, non essendo stata impugnata dal T. – il quale aveva denunciato l’errore della decisione per avere escluso l’animus possidenti – era passata in cosa giudicata, giacche semmai sarebbe stata la controparte- risultata al riguardo soccombente – a doverla impugnare.

Il terzo motivo denuncia la violazione da parte del giudice di rinvio del principio della riformano in peius, atteso che la Corte di appello non avrebbe potuto emettere una statuizione in contrasto con il giudicato formatosi con la sentenza della Cassazione-tribunale.

In primo, il secondo e il terzo motivo, che per la stretta connessione vanno esaminati congiuntamente, vanno disattesi.

La sentenza della Cassazione non ha neanche implicitamente statuito in ordine all’avvenuto decorso del termine utile ad usucapire, avendo esaminato esclusivamente la questione, che aveva carattere pregiudiziale, circa la natura della relazione con il bene intrattenuta dell’attore ovvero che ricorresse l’animus necessario per configurare come possesso l’attività dal medesimo esercitata:

ogni indagine relativa al maturarsi del periodo necessario per usucapire era evidentemente subordinata alla verifica di una situazione configurabile come possesso e di tale verifica era stato investito il giudice di rinvio.

Nessun giudicato favorevole al T. era configurabile a proposito della sentenza di appello, che avendo rigettato la domanda di usucapione per assenza dell’animus possidendi, era stata integralmente cassata, dovendo qui comunque ricordarsi che il giudicato non si forma su quelle enunciazioni puramente incidentali o sulle considerazioni prive di relazione causale con quanto abbia formato oggetto della pronuncia e, perciò, prive pertanto di efficacia decisoria ma è limitata alle statuizioni necessarie ed indispensabili per giungere alla decisione; allo stesso modo il giudicalo implicito può ritenersi formato solo quando tra la questione risolta espressamente e quella considerata implicitamente decisa sussista non soltanto un rapporto di causa ad effetto, ma un nesso di dipendenza così indissolubile che l’una non possa essere decisa senza la preventiva decisione dell’altra, poichè, diversamente, ne risulterebbero illegittimamente pregiudicati i diritti delle parti. (Cass. 11672/2007; 13003/2006).

Il quarto motivo censura la sentenza laddove, in contrasto con i principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di diritti autodeterminati, aveva considerato domanda nuova quella relativa all’usucapione di cui all’art. 1159 bis cod. civ. Anche tale motivo è infondato.

Occorre considerare che il principio secondo cui in tema dei diritti "autodeterminati", che sono individuati in base alla sola indicazione del loro contenuto, rappresentato dal bene che ne costituisce l’oggetto, l’allegazione, nel corso del giudizio, di un titolo diverso da quello posto inizialmente a fondamento della domanda, costituisce soltanto un’integrazione delle difese sul piano probatorio, integrazione non configurabile come domanda nuova, trova applicazione semprechè tali allegazione non comporti la necessità di indagini di fatto completamente diverse ed estranee all’originario thema decidendum ovvero quando le relative circostanze di fatto siano state comunque ritualmente dedotte in giudizio con l’originaria domanda. Orbene, a prescindere che i precedenti di legittimità citati dal ricorrente fanno riferimento all’ipotesi inversa rispetto a quella in esame – ivi la domanda originaria era stata di usucapione abbreviata, che integra una fattispecie costituita da specifici e ulteriori elementi rispetto a quella di cui all’art. 1158 cod. civ. e poi mutata in quella di usucapione ventennale – in ogni caso, pure in questi casi, è stato anche di recente ribadito che, introdotto il giudizio per il riconoscimento dell’usucapione abbreviata di cui all’art. 1159 bis cod. civ., il giudice, ove ne sussistano ipresupposti, può accogliere la domanda di usucapione ordinaria senza incorrere nel vizio di extrapetizione, nè tale domanda può ritenersi inammissibile ove sia proposta per la prima volta in grado di appello, se il decorso del più ampio termine sia stato oggetto di specifiche allegazioni e prove ufficialmente introdotte in causa (Cass. 12607/2010). Appare di tutta evidenza che, essendo la fattispecie costitutiva di cui all’art. 1159 bis cod. civ. integrata da elementi estranei a quella di cui all’usucapione ventennale, la relativa domanda era da considerarsi nuova e, come tale, inammissibile, perchè involgeva un tema di indagine completamente diverso rispetto a quello oggetto della domanda originaria.

Il quinto motivo denuncia la regolamentazione delle spese processuali che erano state integralmente poste a suo carico anche relativamente al giudizio di cassazione nonostante l’integrale accoglimento di quel ricorso. Il motivo è infondato.

La regolamentazione delle spese processuali deve essere compiuta in base all’esito finale della controversia, in relazione al quale soltanto può determinarsi evidentemente la soccombenza, che costituisce il criterio previsto dall’art. 91 cod. proc. civ., irrilevante essendo pertanto l’esito di alcune fasi del giudizio:

correttamente le spese sono state poste interamente a carico dell’attore la cui domanda era stata rigettata.

RICORSO INCIDENTALE. Con l’unico motivo la ricorrente censura la sentenza laddove aveva erroneamente calcolato il tempo in cui l’attore aveva posseduto il bene in oggetto.

Il ricorso è inammissibile, tenuto conto che – essendo la resistente risultata vittoriosa – l’eventuale interesse a impugnare sarebbe sorto a seguito e per effetto dell’accoglimento del ricorso principale, per cui il ricorso avrebbe dovuto essere ad esso condizionato (Ord. 15362/2008)".

Pertanto, va rigettato il ricorso principale e dichiarato inammissibile quello incidentale.

Le spese vanno poste a carico del ricorrente principale risultato soccombente.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso principale dichiara inammissibile l’incidentale.

Condanna il ricorrente principale al pagamento in favore della resistente delle spese relative alla presente fase che liquida in Euro 2.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi ed Euro 2.000,00 per onorari di avvocato oltre spese generali ed accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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